Alessandro Cortesi op, "I domenica di Quaresima- anno C"

Marc Chagall, L'ebreo errante 1923-25 olio su tela - Musée du Petit Palais Ginevra

I domenica di Quaresima- anno C – 2019
Dt 26,4-10; Rm 10,8-13; Lc 4,1-13

“Mio padre era un arameo errante; scese in Egitto… gli egiziani ci maltrattarono e ci imposero una dura schiavitù… Il Signore vide la nostra oppressione e ci fece uscire dall’Egitto… e ci diede questo paese, dove scorre latte e miele”.

Israele professa così la sua fede: non è un elenco di definizioni su Dio, ma è il racconto di una storia di schiavitù e di liberazione. In questa storia Israele ha incontrato il Dio vicino e liberatore. E’ un Dio che agisce, libera, ascolta il grido degli oppressi scende a liberarli. I suoi pensieri non sono i pensieri dell’uomo; eppure nello stesso tempo è il Dio che si prende cura dei più deboli.

La sua azione è descritta nei termini del far uscire dalla terra di oppressione: ‘ci fece uscire dall’Egitto’. Da qui sorge un camino per Israele e la terra diviene segno di fedeltà alla promessa.

Iniziare il cammino di Quaresima significa situarsi in questa storia, aprirsi a vivere un cammino di fede in ascolto di Dio che libera e salva. Il grido che saliva dal popolo d’Israele oppresso nella schiavitù d’Egitto continua oggi nel grido di tanti popoli. Quaresima è tempo di riscoperta di un cammino nel rapporto con Dio che fa uscire ancora.

Anche Luca nel suo vangelo presenta la scena delle tentazioni di Gesù: il suo racconto può essere letto in parallelo a Matteo che descrive tre momenti e tenendo presente quanto solamente accenna Marco che vede le tentazioni come chiave di lettura dell’intero cammino di Gesù.

Nella versione di Luca appare un elemento particolare: la conclusione delle tre tentazioni di Gesù non avviene su di un alto monte (come fa invece Matteo) ma sul pinnacolo del Tempio di Gerusalemme, al cuore quindi della città santa. La città di Gerusalemme ha per Luca un’importanza particolare: da lì tutto inizia, al cuore del tempio, con l’annuncio dell’angelo a Zaccaria, e a Gerusalemme tutto si compie nei giorni della passione e della morte.

Nel racconto delle tentazioni Luca intende comunicare che la prova non costituisce un momento passeggero ed unico nella vicenda di Gesù. E’ piuttosto un’esperienza che attraversa tutta la sua vita. E a Gerusalemme trova il suo culmine. Nel momento della morte Gesù si affida fino in fondo al Padre: ‘nelle tue mani affido il mio spirito’.

Così di fronte alle diverse ‘tentazioni’, la risposta di Gesù non è altro che un ripetere la sua fiducia e il suo affidamento in Dio Padre: “Solo al Signore tuo Dio ti prostrerai Lui solo adorerai”.

In primo luogo Gesù non risponde alle attese di chi vuole un salvatore che risponda alle esigenze immediate: ‘se tu sei figlio di Dio, dì a questa pietra che diventi pane’. Gesù non intende essere un messia funzionale alle richieste di risolvere i problemi della vita come la sussistenza.

La sua non è nemmeno la risposta ad un’attesa di potere, sia esso di natura politica o religiosa: ‘ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani e io la do a chi voglio. Se ti prostri davanti a me tutto sarà tuo’. Gesù rifiuta di essere un messia di tipo politico e del successo. Non si piega al potere che tutto vuole comprare con il denaro e con la propria arroganza.

Si oppone infine – ed è il terzo momento – a manifestarsi come un messia che suscita meraviglia: ‘se tu sei figlio di Dio, buttati giù’. Gesù rigetta di essere un messia che viene con potenza, con colpi di scena. I suoi gesti di bene, il suo agire attraversa il quotidiano ed invita a scoprire che l’incontro con Dio non è questione di eventi eccezionali, ma è vicino nel tessuto della vita. I suoi sono gesti di guarigione, di cura, di dono, di speranza. Per lo più sono attuati prendendo le distanze dalla folla che ricerca spettacolarità e prodigi. La sua scelta, il cuore della sua missione sta nell’essere un messia povero.

Luca pone l’episodio delle tentazioni di Gesù dopo aver indicato la sua genealogia che lo unisce ad Adamo: Gesù riprende nella sua vita la storia dell’umanità. Gesù indica il senso più profondo di questa storia nell’affidamento a Dio, il Padre di misericordia che salva e apre cammini di liberazione.

Alessandro Cortesi op


Un arameo errante

L’ebreo errante è figura che richiama elementi diversi e lontani. Alcuni risalgono ad antichissime leggende: nel suo profilo evoca la sorte di chi a causa di un atto sacrilego è costretto a pellegrinare nell’esistenza preso dal rimorso per il proprio peccato, come Caino. Per altri aspetti richiama le leggende attorno a figure presenti alla passione di Gesù e che lo offesero. In racconti medioevali come la Historia maior del benedettino inglese Matthew Paris del XIII secolo si trova il ricordo - proveniente dall’Armenia - di un certo Cartaphylus, portiere del palazzo di Pilato che aveva esortato Gesù a muoversi e che ricevette come risposta: "Io vado, ma tu aspetterai fino a che io ritorni".

Attorno a questa figura si sviluppa in età medioevale la tradizione di un pellegrino dai contorni misteriosi e il racconto è utilizzato con forti accenti antiebraici. Dopo la Riforma soprattutto in Germania la leggenda trovò nuovo sviluppo in libri popolari. Nel Volksbuch tedesco, edito per la prima volta nel 1602 e più volte ripubblicato in diversi Paesi, compare la figura di un ebreo pellegrino dal nome Aashuerus con cinque soldi nelle sue tasche che si rinnovano: il suo vagare continuo per tutta l’Europa è un modo per manifestare la propria colpa, ma anche il proprio pentimento, senza mai trovare un porto di riposo al suo errare.

Nella ripresa del mito da parte di Goethe, Aashuerus diviene paradigma del vagabondo che non comprende la profondità del divino, ma peraltro manifesta lucida lettura della condizione umana. In epoche successive la figura dell’ebreo errante trovò espressioni letterarie diverse con vari accenti simbolici. Per un verso figura di chi nega la divinità e dopo un lungo errare si riconcilia con Dio, per altri aspetti figura del perenne camminare dell’umanità che continua a ricercare pace e giustizia.

L’ebreo errante manifesta nella cultura europea l’esempio della figura dell’ ‘altro’, che per un verso non si riconosce nella tradizione e nella fede cristiana e dall’altro è un testimone diretto della presenza di Cristo e della sua passione. E’ espressione dello straniero che inquieta e non cessa di interrogare sull’identità e sulla differenza proprio nella sua itineranza senza fine (cfr. R.Bernasconi, D. Wood (edd.), The Provocation of Lévinas. Rethinking the Other, London-New York, Routledge 1988).

Marc Chagall nei suoi quadri riprende questa antica figura. L’ebreo errante diviene nella sua interpretazione un riferimento alla sorte degli ebrei vittime dell'odio, costretti a fuggire di fronte alla persecuzione. Ebreo errante e Cristo crocifisso nell’arte di Chagall divengono simboli che si rinviano l’uno all’altro e richiamano alla persecuzione ed alla sofferenza inflitta al popolo ebraico.

Chagall capovolge nella sua lettura la prospettiva del mito: la figura dell’ebreo errante non è colui che ha offeso, ma la vittima costretta a fuggire e ad andare errando lontano. Così nella Crocifissione bianca, del 1938, l’ebreo errante è paradigma non dell’offensore ma di colui che è perseguitato, ed è vittima. Come Gesù sulla croce, che nella sua sofferenza è pienamente solidale con i patimenti del suo popolo.

Il dipinto dal titolo ‘L’ebreo errante’ (1923-1925) di Chagall riprende questo motivo. Sullo sfondo sono presentati alcuni elementi simbolici: si individua infatti la presenza dell'asino, animale tipico della campagna, la chiesa ortodossa di Vitebsk con i tetti delle isbe del villaggio dell’infanzia dell’artista, e quale figura imponente che occupa grande spazio della tela, il profilo del profugo in fuga con un sacco sulle spalle pieno di tutto ciò che un uomo in fuga può salvare. La figura dell’ebreo in cammino occupa quasi tutto lo spazio della tela. Il colore che si distingue tra gli altri è l'arancione. E’ un rinvio all’esperienza dell’errare propria del popolo ebreo a seguito dei pogrom e persecuzioni ma anche di Chagall stesso che fu costretto ad abbandonare Vitebsk per recarsi a san Pietroburgo e poi a Berlino e Parigi. Il bastone e il sacco sono simboli di un errare in cui si porta con sé la propria fede, la tradizione del popolo, il tesoro di un’identità ebraica che non è perduta. Una prima versione del dipinto, riportata su una fotografia e accompagnata da uno scritto di Bella Chagall, reca il titolo En route (In cammino).

Chagall con questa immagine evoca da un lato il cammino di una umanità sofferente che desidera pace e si trova a dover fuggire dalla violenza e dalla guerra. Dall’altro pone insieme il riferimento al cammino del popolo ebraico, cammino di vittime dell’odio e della malvagità associato alla figura di Cristo stesso, che ebreo di Galilea nel suo cammino ha condiviso il cammino di un popolo vittima dell’oppressione e dell’esilio e con esso il cammino delle vittime della storia.

Alessandro Cortesi op

Per approfondire: M.Massenzio, La passione secondo l’ebreo errante. I mitici itinerari del testimone vivente. Dalla passione di Cristo alla crocifissione di Chagall, Quodlibet 2007. M.Massenzio, L’ebreo errante di Chagall. Gli anni del nazismo, Editori Riuniti, 2018.

Fonte:alessandrocortesi2012.wordpress.com/


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