Don Marco Ceccarelli, "Il tempo delle apparizioni."

II Pasqua “C” – 28 Aprile 2019
I Lettura: At 5,12-16
II Lettura: Ap 1,9-13.17-19
Vangelo: Gv 20,19-31
Testi di riferimento: Gen 2,7; Gb 7,9; 33,4; 38,17; Sal 6,6; 33,6; 88,11-13; Sap 16,13-14; Is 38,10; Ez
37,9; Mt 14,33; 16,19; 18,18; 28,19-20; Mc 16,14; Lc 1,45; 24,25.36.39-41.47-49.52; Gv 7,13;
14,16.27; 15,26; 16,5-7.19-22.33; 19,38; At 1,8; 2,38; 10,40-41; 1Cor 15,5; 2Cor 5,16; 1Gv 1,1-3;
5,6; 1Pt 1,8; 3,19; 4,6
1. Il tempo delle apparizioni.
- I 40 giorni delle apparizioni sono importanti in riferimento alla testimonianza che gli apostoli dovranno rendere. Però non si tratta della testimonianza di qualcosa di esterno a loro. Gesù non appare a
tutti “ma a testimoni prescelti da Dio” (At 10,40-41). “Perché Gesù non appare a Pilato e ai sommi sacerdoti?”, si chiedeva nel secondo secolo l’intellettuale Celso schernendo la fede nella risurrezione. Di
fatto Gesù non ha voluto apparire a tutti. Anche se può sembrare strano, non è vedere un morto risuscitato che cambia la vita di una persona. Quando Gesù ha risuscitato Lazzaro il sinedrio decide di far
morire Gesù. Non è aver visto Gesù risorto che ha cambiato la vita degli apostoli. Quello che ha cambiato la loro vita è stato partecipare di quella risurrezione, ricevere in essi la risurrezione di Cristo attraverso lo Spirito Santo. Per questo essi devono «ricevere potere con la venuta dello Spirito Santo ed
essere testimoni» (At 1,8). Solo dopo la Pentecoste saranno testimoni (anche se già da tempo avevano
visto Gesù risorto) perché «è lo Spirito colui che dà testimonianza» (1Gv 5,6). È la presenza dentro gli
apostoli di Gesù risorto per mezzo dello Spirito che li costituisce testimoni. Essere testimoni di Cristo
significa testimoniare che Cristo risorto vive in loro; e la prova è che la loro vita è stata trasformata.
Per questo non c’è alcun vantaggio per chi ha visto Cristo nella carne rispetto alle generazioni future
(2Cor 5,16), perché tutti possiamo ricevere Cristo risorto in noi attraverso l’effusione dello Spirito. E
come si riceve lo Spirito? Attraverso la fede nella predicazione. Beati quelli che non avendo visto crederanno (Gv 20,29). Quando Pietro annuncia la buona notizia alla famiglia di Cornelio lo Spirito Santo scende sopra di loro (At 10,44).
- Cristo si mostra vivo a coloro che dovranno essere i suoi testimoni. La testimonianza consiste nel
fatto che lui è “il Vivente” il “vivo” per eccellenza, e che a lui è stato dato ogni potere, sulla vita e sulla morte (seconda lettura). Lui è venuto per liberare i prigionieri, per rimettere in libertà gli oppressi
(Lc 4,18). Per questo ha ricevuto le chiavi della morte e degli inferi. Lo Sheol, il regno dei morti, ha
delle porte attraverso le quali si può entrare, ma non uscire (Gb 7,9; 38,17; Is 38,10); chi attraversa
quelle porte rimane incarcerato per sempre. Solo Dio ha il potere di liberare un uomo sceso negli inferi (Sap 16,13-14). Ma Dio può scendere negli inferi per aprire queste porte? (Sal 6,6; 88,11-13). Solo
gli uomini scendono nello Sheol, Dio non vi può entrare perché non può morire. Allora per poter fare
uscire l’uomo dalle porte della morte Dio doveva farsi uomo. Questo si è realizzato in Cristo (1Pt
3,19; 4,6). La sua entrata nel cenacolo a porte chiuse è simbolo del potere che lui ha ricevuto e che
viene a donarci per vincere la paura della morte (Gv 20,19). Queste chiavi Cristo le ha consegnate alla
Chiesa attraverso gli apostoli (Mt 16,19; 18,18). Sono essi che devono continuare l’opera di Cristo, e
mostrare che egli è risorto perché continua a vivere in loro e attraverso di loro continua a liberare i
prigionieri da quella vera schiavitù che è vivere sotto il potere di satana (Lc13,16; At 10,38) e quindi
del peccato, e quindi della morte che ne consegue. La Chiesa ha questo potere di aprire le porte della
prigione, di aprire le catene dei prigionieri, ma anche di consegnare a satana, cioè lasciare coloro che
rifiutano questa salvezza in balia dei loro peccati (1Cor 5,5).
2. Il Vangelo, primo episodio (vv. 19-23).
- L’apparizione di Gesù risorto avviene nel primo giorno della settimana, lo stesso giorno in cui Gesù
non è stato ritrovato nel sepolcro ed è apparso a Maria di Magdala (v. 1ss.). Gesù appare in questo
giorno e riapparirà nello stesso giorno dopo una settimana (v. 24). Qui abbiamo il fondamento del-
l’importanza della domenica. Gli ebrei, e quindi anche i discepoli di Gesù, celebravano il settimo giorno della settimana. Ma da questo momento, da questa esperienza che gli apostoli fanno dell’apparizione di Gesù risorto in mezzo a loro, cominceranno a riunirsi nel primo giorno della settimana, che
sarà chiamato domenica, giorno del Signore (seconda lettura).
- Il farsi presente di Gesù in persona (v. 19) è il fattore decisivo. Gesù si mostra vivo, dopo essere
morto. Questo farsi presente è qualcosa di veramente reale. Non possiamo intenderlo come una specie
di evocazione, di ricordo. Se così fosse non ci sarebbe alcuna gioia perché si accentuerebbe ulteriormente la realtà della assenza. Il fatto è che Gesù è veramente presente, anche nel momento in cui non
fosse visibile con gli occhi. E questa “visione” di Cristo è il fattore determinante della nostra fede. Noi
possiamo pensare che dobbiamo credere che Gesù è vivo per il fatto che egli è risorto. Ma è piuttosto
il contrario. Noi crediamo che Cristo è risorto perché lo abbiamo visto vivo, benché fosse morto. Nessuno ha visto Gesù risuscitare, nemmeno gli apostoli. Ma essi lo hanno visto vivo – realmente vivo,
non un fantasma – dopo la sua morte. Questa è la prova che egli è risorto. E non solo. Il fatto che egli
continui a farsi presente nel corso del tempo, significa che ormai la morte non ha più potere su di lui.
È questa presenza di Cristo in mezzo a noi il fondamento della nostra fede.
- “Pace a voi”. Ovviamente non è soltanto un saluto. Quello che Gesù dà è lo shalom messianico. Shalom indica la totalità del bene. È la pienezza, la totalità dei beni messianici che viene offerto agli apostoli. E il bene per l’uomo è innanzitutto la possibilità di essere liberato dai propri peccati. Gesù offre
il perdono dei peccati che ha ottenuto con la sua morte in croce e di cui i primi beneficiari sono quelle
stesse persone che lo avevano abbandonato. Gesù ricomincia con gli stessi, ed essi ricominciano con
l’esperienza del perdono. Questo perdono dovranno poi portarlo agli uomini. La pace che Gesù dà non
è la pace del mondo (14,27), perché la pace del mondo non dura. Il benessere, la gioia che offre il
mondo è assolutamente effimera, inconsistente. La pace di Cristo è quella gioia che nessuno può togliere (Gv 16,22), quella pace profonda che rimane in mezzo a qualsiasi tribolazione.
- Gesù mostra le mani e il costato. Questo gesto è importantissimo perché lega indissolubilmente la
risurrezione con l’evento della croce. Innanzitutto egli è veramente il Gesù che quegli uomini hanno
seguito dalla Galilea e che hanno visto morire in croce, non qualcun altro. In secondo luogo quelle
piaghe, sono un marchio indelebile di quello che lui ha compiuto. Il Gesù che appare non è soltanto il
Risorto, ma il morto-e-risorto. Questo può sembrare bizzarro, ma è essenziale. Gesù porta in eterno i
segni del suo sacrificio in croce, della sua morte per i nostri peccati, dell’agnello sgozzato che si è caricato del peccato del mondo. In ogni eucarestia celebriamo questo sacrificio e “ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo di questo calice noi annunciamo la sua morte” (1Cor 11,26). Quel
Cristo che è in mezzo a noi ogni volta che celebriamo l’eucarestia continua, in forma sacramentale, ad
offrirsi sul calvario per la nostra salvezza. Quelle piaghe sono il segno dell’amore eterno che Dio ha
avuto per noi. In terzo luogo quei segni rimandano all’annuncio dell’effusione dello Spirito prefigurato nel colpo di lancia sulla croce. Mentre Luca dice che Gesù mostrò le mani e i piedi, Gv dice “mani
e costato”. Il costato è quello trafitto dalla lancia e da cui erano usciti sangue ed acqua (Gv 19,34).
Grazie al dono della vita di Cristo ci è dato accesso allo Spirito Santo e al perdono dei peccati. Per
questo ora i discepoli possono riceverlo e con Esso rimettere i peccati degli uomini.
3. Il Vangelo, secondo episodio (vv. 24-29).
- Anche se i primi testimoni della Risurrezione di Gesù hanno potuto vederlo fisicamente, in seguito
non sarà più così. Ma ciò non significa che Cristo non continui a farsi veramente presente e a donare
la sua vita attraverso il suo Spirito a quelli che credono in lui. Così l’episodio di Tommaso ci dice cosa sarà la Chiesa del dopo Pentecoste. Tommaso rappresenta tutti i discepoli che d’ora in poi sono
chiamati a toccare Cristo, cioè ad avere una esperienza di lui, non attraverso la visione diretta ma attraverso la fede. Nei due versetti conclusivi (30-31) l’evangelista afferma che i segni da lui narrati sono il mezzo per condurre alla fede, con la quale si ha la vita. Alla fine della missione di Gesù, il segno
ultimo e definitivo che rimarrà sempre in mezzo agli uomini affinché possano credere e ricevere la vita in Cristo è la comunità dei discepoli, è la Chiesa. Nella prima lettura si evidenzia chiaramente come
la Chiesa, che ha Pietro come suo capo, continui in mezzo agli uomini la stessa opera di Cristo. Cristo
rimane vivo e presente nella Chiesa e gli uomini potranno conoscerlo e incontrarlo e ricevere lo stesso

Spirito e la vita eterna riconoscendo e credendo alla testimonianza di coloro che hanno udito, visto,
contemplato e toccato con mano (Gv 19,35; 1Gv 1,1ss.).

Fonte:www.donmarcoceccarelli.it/


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