Don Marco Ceccarelli,Pasqua di Risurrezione “C”

Pasqua di Risurrezione “C” – 21 Aprile 2019
I Lettura: At 10,34.37-43
II Lettura: Col 3,1-4 (opp. 1Cor 5,6-8)
Vangelo: Gv 20,1-9
- Testi di riferimento: Is 25,8; 26,19; Lc 1,74; Gv 8,12; 11,25-26; At 26,17-18.23; Rm 5,17; 6,3-
14.22; 8,11; 1Cor 15,54-55; 2Cor 4,10; 13,4; Gal 2,19-20; Ef 5,14; 1Ts 1,9; 2Tm 1,10-11; 2,11-12;
Eb 2,14-15; 9,14; 1Pt 1,18-19; 2,16; 1Gv 1,2.5-7; Ap 5,6
1. La Pasqua antica.

- La Pasqua ebraica ci è descritta nel suo nascere dal libro dell’Esodo. Gli ebrei avevano verso il Faraone un rapporto di schiavitù (la parola usata è ‘abodah: Es 1,13-14; 5,9.11.18; 6,5-6.9; ecc.). Mosè chiede al Faraone di lasciare andare Israele perché possa rendere a Jahvè un servizio (anche in
questo caso la parola è ‘abodah: Es 3,12; 4,23; 7,16.26; 8,20; 9,1.13; 10,3.7.8.11.24.26; 12,31). Gli
ebrei erano considerati proprietà del Faraone ed egli ne disponeva come voleva. Jahvè dunque
chiama gli ebrei non ad una libertà come la intenderemmo noi, una indipendenza svincolata da ogni
relazione e responsabilità, ma a passare da un tipo di ‘abodah, di un “servizio”, quello verso il Faraone, ad un altro, quello verso di Lui. Ciò implicava evidentemente anche un cambio di proprietà.
Per questo il Faraone non voleva consentire. Il momento chiave è la celebrazione della prima Pasqua, descritta in Es 12. Il sangue dell’agnello sparso sugli stipiti della casa realizza un cambio di
proprietà, il passaggio di appartenenza dal Faraone al Signore. Per questo gli ebrei non sono coinvolti nello sterminio dei primogeniti. Il passaggio del mar Rosso poi segnerà il compimento della
Pasqua, il momento in cui gli israeliti non sono più al servizio al Faraone e devono cominciare ad
esserlo verso Dio.
- Il servizio del popolo a Jahvè si concretizzerà nella celebrazione del Pesach, cioè della Pasqua (Es
13,4-5). Di anno in anno Israele deve celebrare questa ‘abodah della Pasqua (Es 12,25), e quando i
figli chiederanno ai padri che significa questa ‘abodah essi risponderanno che si tratta del sacrificio
della Pasqua (Es 12,25-27), cioè dell’agnello pasquale. Il rito pasquale che ha come fulcro il sacrificio dell’agnello che salva dalla morte e libera dalla schiavitù è il “servizio” che Israele offre a Dio
(Es 13,5), e che esprime il rapporto di servizio che ora ha con Jahvè (e non più con il Faraone).
L’attraversamento del Mar Rosso che segna il passaggio definitivo dall’appartenenza al Faraone
all’appartenenza a Dio, la pasqua che continuerà ad essere celebrata annualmente come memoriale
di questo passaggio, rimarrà insufficiente, nell’attesa di un suo compimento più perfetto. L’Egitto e
il Faraone rimangono una realtà, per così dire, ultratemporale, che continua a far sentire il suo influsso, la sua attrazione in modo costante in tutti i tempi.
2. La Pasqua di Cristo.
- «Cristo nostra Pasqua è stato immolato» (1Cor 5,7). Gesù, offrendosi in croce con il suo corpo e il
suo sangue, di cui ci ha lasciato il memoriale alla vigilia della sua passione, è il vero e definitivo
agnello pasquale che ci libera dall’appartenenza al Faraone per farci servi di Dio. Come dice 1Pt
1,18-19: «Non per mezzo di cose corruttibili, argento o oro, siete stati riscattati dalla vostra vuota
condotta, … ma per il sangue prezioso di Cristo come di agnello senza macchia né colpa». La pasqua di Cristo riscatta gli uomini, cioè li libera dalla loro condizione di servizio coatto al demonio
(Eb 2,14-15). Cristo risorto permette all’umanità di rendere culto all’unico vero Dio, di lasciare il
servizio agli idoli per servire il Dio vivente (1Ts 1,9; Eb 9,14). Rimane però sempre presente l’esistenza di un Faraone che non rinuncia alla perdita dei suoi servitori. Rimane la possibilità di usare
male la libertà che Cristo ci ha ottenuto e di diventare di nuovo schiavi (Gal 5,1). Raggiungere la
libertà consiste nel ritornare a quella terra del servizio a Dio da cui si era stati cacciati, a causa del
peccato. La libertà è la possibilità di non servire più le proprie passioni, di non vivere secondo la
carne ma secondo lo spirito (Gal 5,13; 1Pt 2,16).
- Non si può servire a due padroni (Mt 6,24). La libertà non consiste nell’assenza di un servizio, ma
nell’aver trovato il giusto referente del servizio. Per poter fare Pasqua, cioè passare al servizio verso
Dio, occorre rinunciare al servizio verso altri padroni. L’illusione di poter servire Dio e allo stesso
tempo continuare servire le proprie concupiscenze è assolutamente fallace. Per questo occorre rinunciare al lievito vecchio di cattiveria e malvagità per diventare pasta nuova (1Cor 5,7-8). Occorre
rinunciare, seriamente, a Satana e a tutte le sue seduzioni, come ogni anno la veglia pasquale ci invita a fare. Se il Figlio dell’uomo ci libererà saremo veramente liberi (Gv 8,36).
3. La vittoria sulla morte.
- «Cristo ha distrutto la morte e ha portato alla luce la vita» (2Tm 1,10). Come l’effetto del peccato
è la morte, così l’effetto della vittoria e della distruzione del peccato sulla croce da parte di Cristo è
la vita. La domenica di Risurrezione annuncia al mondo la vittoria sul peccato e sulla morte, poiché
colui che era appeso sulla croce come l’agnello che toglie i peccati del mondo ora è vivo e non
muore più (Ap 5,6); la morte non ha più potere su di lui (Rm 6,9). Questa è la vera novità della risurrezione di Cristo, ciò che fa della sua risurrezione qualcosa di unico e definitivo. Cristo non soltanto è ritornato in vita, ma ha vinto la morte per sempre. Egli non è tornato a morire, come per
esempio Lazzaro. Egli è ancora vivo dopo duemila anni; ed è per questo che può continuare ad apparire in mezzo ai suoi discepoli riuniti ogni primo giorno della settimana (Gv 20,19.24). Ed è per
questo che possiamo ricevere in noi la potenza della risurrezione di Cristo.
- La potenza della risurrezione. La vittoria sulla morte ci viene donata nel battesimo, nella vita nuova che Cristo ci trasmette attraverso il suo Spirito. La vita di Cristo che ci viene donata nel battesimo ci permette di essere uomini nuovi, risorti con Cristo, e di camminare in una vita nuova (Rm
6,4). Ci viene data la possibilità di amarci gli uni gli altri come lui ha amato noi, e quindi di non essere più nella morte, perché «chi non ama è nella morte». E «noi sappiamo che siamo passati dalla
morte alla vita perché amiamo i fratelli» (1Gv 3,14). La risurrezione di Gesù diventa una forza che
continua ad operare nell’esistenza dei cristiani. Chi crede in lui diventa partecipe della “potenza della sua risurrezione” (Fil 3,10). È la potenza della risurrezione di Cristo che permette di amarci come
lui ci ha amato. È la potenza della risurrezione di Cristo che ha permesso alla Chiesa di mantenersi
viva per duemila anni, che ha permesso a infinite schiere di cristiani di morire per Cristo, che ha
prodotto moltitudini di santi, di apostoli, di persone che hanno rinunciato a vivere per se stesse donando la vita a Dio e ai fratelli. Chi partecipa della potenza della risurrezione ha vinto la paura della
morte ed è veramente libero. Cristo ci chiama a diventare partecipi di questa eredità che lui ci ha
guadagnato, cioè la vita nuova di figli di Dio, la natura di Dio, che mi permette di vivere non più
nella carne, ma nello Spirito (Rm 8); cosicché se lo Spirito di Cristo abita in noi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai nostri corpi mortali (Rm 8,11).

Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it


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