FIGLIE DELLA CHIESA, Lectio IV Domenica di Pasqua

IV Domenica di Pasqua
 Lun, 06 Mag 19  Lectio Divina - Anno C

La quarta domenica di Pasqua è denominata come la domenica del Pastore e della vocazione. Nel piccolo brano, che oggi è proposto dalla liturgia, si proclama l´ultima parte della parabola, e mette in rilievo la relazione che esiste tra le pecorelle e il pastore, Gesù, che presenta se stesso come il vero pastore. Questa relazione è caratterizzata da alcuni verbi: ascoltare, conoscere, seguire. Attraverso questi verbi è possibile ricostruire la storia integrale della vocazione cristiana. Si parte da una voce che risuona all’esterno di noi, infatti, san Paolo al capitolo 10 della lettera ai Romani, scrive: “Io, il Signore, mi sono fatto trovare anche da quelli che non mi cercavano, mi sono manifestato anche a quelli che non si rivolgevano a me”. La grazia divina precede ogni storia personale e rompe ogni nostro silenzio. L’uomo che vuole comprendere se stesso fino in fondo … deve con la sua inquietudine e incertezza e anche la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e morte, avvicinarsi a Cristo. “In verità gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell'uomo. È proprio all'interno dell'uomo che molti elementi si combattono a vicenda. Da una parte, infatti, come creatura, esperimenta in mille modi i suoi limiti; d'altra parte sente di essere senza confini nelle sue aspirazioni e chiamato ad una vita superiore. Sollecitato da molte attrattive, è costretto sempre a sceglierne qualcuna e a rinunziare alle altre. Inoltre, debole e peccatore, non di rado fa quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe” (GS 10). Egli deve, per così dire, entrare in lui con tutto se stesso, deve “appropriarsi” e assimilare tutta la realtà dell’incarnazione e della Redenzione per ritrovare se stesso (Redemptor hominis n° 10).

Il dialogo tra Dio e l’uomo, che è una delle caratteristiche della vocazione cristiana, ha dunque il suo centro in Cristo. “Chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto, diventa anch'egli più uomo” (GS 41). L’uomo deve ascoltare, e rifacendoci al testo di Neemia 8, possiamo considerare come dovrebbe essere l’ascolto del discepolo, di colui che vuole seguire il Maestro:

Ascoltare. «Essi ascoltavano, porgevano l’orecchio». Nella Bibbia lo stesso verbo shama’ indica sia "ascoltare" che "obbedire". Quindi shema’ Israel non è soltanto "ascolta, Israele!", ma anche "aderisci!". «Adonài elohénu adonài ehàd» (il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo) è non soltanto una conoscenza di tipo intellettivo, ma è la scoperta di una relazione (cf Dt 6,4ss). È per questo che «lo amerai con tutto il cuore ...». Amerai viene subito dopo ascoltare. Per questo nel Salmo 40,7 si dice letteralmente: «Tu mi hai forato l’orecchio», come si fa allo schiavo; io sono il tuo schiavo, ho l’orecchio forato, nel senso che aderisco completamente a te.

E sempre nel testo di Neemia, “Gli occhi si colmano di lacrime”: gli ascoltatori si mettono a piangere, cioè si convertono. La parola di Dio ti fa piangere i tuoi peccati. Ecco un altro elemento prodotto da una vera lezione: essa inquieta le coscienze; la Parola di Dio artiglia l’anima, altrimenti è una semplice informazione. Lo scrittore ultra-novantenne Julien Green affermava: «Se io dovessi riassumere tutto quello che ho scritto, lo esprimerei con questa frase: "Finché si è inquieti, si può stare tranquilli"». Finché c’è questa inquietudine, che è quella agostiniana ("inquietum est cor nostrum"), allora si può stare in pace.

Il Maestro, colui che insegna, il Pastore, colui che guida con il suo insegnamento, non lo fa solo in modo intellettuale, e non è solo colui che insegna o guida, ma colui che sa anche imparare. Il vero maestro è uno che impara anche, e il vero discepolo alla fine è capace di insegnare. Se il circuito non si chiude, non si ha un vero magistero. Il maestro, che non è attento al discepolo, è di sua natura condannato alla solitudine, alla torre d’avorio della sua elaborazione, ma non lascerà traccia. Le mie pecore ascoltano la mia voce, perché per primo il Pastore, ha imparato ad ascoltare la loro voce, il loro cuore, entrare nel loro intimo, scendere nelle profondità dei loro inferi, dei loro desideri, dei loro affetti. Altrimenti si va avanti nel parlare, ma l’altro non dialoga. Insegnare è dialogare. Anche se l’altro tace. Ci si deve accorgere di entrare nell’interno della comunicazione, grazie anche alle domande presentate dall’altro. Oscar Wilde diceva: «A dare le risposte sono capaci tutti; per fare le vere domande ci vuole un genio». Cioè per fare domande vere è necessario scendere nelle nostre profondità, lasciarci interrogare, lasciarci trafiggere. E di fatto la domanda, anche graficamente, noi la esprimiamo non con l’esclamazione, che è una linea retta, ma con qualcosa che si aggroviglia in sé, che quindi lacera, che artiglia, che fa sanguinare.

“Ascolta, Israele...” (Dt 6,4). Perciò la sordità è considerata, nella Bibbia, una patologia grave, perché evoca il rifiuto della Parola di Dio. Quando Dio interviene per salvare il suo popolo, gli apre simbolicamente gli occhi, gli orecchi, la bocca ... perché possa vedere, ascoltare, parlare, saltare: entrare, cioè, in contatto con Dio e con i fratelli.

Conoscere: in Giovanni, conoscere indica un rapporto personale, come fra il Padre e il Figlio, fra Gesù e i suoi discepoli, fra i discepoli e Gesù o Dio. Conoscere abbraccia mente, cuore, azione, tutto l’uomo, da diventare sulle labbra del Gesù di Giovanni la definizione della vita eterna: “La vita eterna è conoscere te, unico vero Dio e colui che hai inviato, Gesù Cristo” (17, 3). L’uomo che ha ascoltato e si è fatto conoscere ed ha conosciuto Dio “segue” il Cristo come suo unico Pastore.

Seguire: è l'esperienza profonda della Pasqua, dono di grazia del Risorto, esperienza che ci fortifica e ci conforta nella sequela, anche quando si fa buio all'orizzonte, quando insorge la paura, e la vita diventa una salita faticosa, anche allora, la mano del Pastore ci soccorre, come canta il Salmista:

"Il Signore è il mio pastore ... se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me, Signore." (sl.23); " Ecco, io sono con voi, è la promessa del Risorto, tutti i giorni, sino alla fine del mondo." (Mt 28,20)"

E’ una sequela di tutti i giorni, feriale, continua, stabile, fedele, creativa, anche quando si intravedono nel buio i lupi. Anche allora noi non saremo perduti, perché nessuno potrà rapirci dalla mano sicura e onnipotente del Cristo. E’ quell’amore per Cristo, la certezza di quell’amore, che fece gridare a San Paolo: Chi ci potrà separare dall’amore di Cristo, la spada, la tribolazione, la nudità, la morte … niente ci potrà separare dal suo amore. (Rm 8,35).

La meta della vocazione cristiana non è incerta, ma si radica in: Io do loro la vita eterna, cioè do la vita divina, la comunione con Dio, essere con Dio stesso. E’ la possibilità che ci è donata di stare davanti al trono, davanti all’Agnello … e l’Agnello sarà il nostro Pastore e ci guiderà alle fonti delle acque della vita.

Dare la vita: tutto il Vangelo secondo Giovanni se lo ripercorriamo in ogni suo capitolo è intessuto di questa Vita, che trova la sua centralità nel dare la vita, sottolineando chi è il vero maestro e chi è il vero discepolo: colui che sa donare la sua vita. Colui che non trattiene per sé.

La vita eterna è conoscere Te, unico, vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” ( Gv.17,3); essa, dunque, non si realizza soltanto nel futuro, oltre il tempo, ma è possibile già ora, durante l’esistenza terrena, per la comunione profonda con Cristo, unico Maestro e Pastore, del quale, sempre, ascoltiamo la voce e seguiamo le orme.

Le mani: ogni uomo, dunque è nelle mani di Dio, quelle mani che lo hanno fatto e plasmato, come canta il Salmista (sl.118). La mano, nel linguaggio biblico, è segno di forza, di capacità di agire, la Sua mano è la stessa del Padre che ci difende dai ladri, dai lupi e dai briganti, dentro e fuori di noi.

Ma quelle mani, le Sue, hanno sanato e beneficato molti; ma quelle mani sono del Crocifisso Risorto. Per riconoscere il Pastore Buono e Bello è necessario fissare il nostro sguardo in quelle mani e non solo, ma lasciare che la sua mano afferri la nostra e la porti al suo costato per bere da quella sorgente, quell’acqua che dona la vita. Soprattutto possiamo affidarci a quelle mani, perché il nostro Signore per primo si è consegnato e abbandonato nelle mani sicure del Padre, quando dall’alto della croce ha detto: “Padre nelle tue mani consegno il mio spirito”.

Camminiamo dietro il Pastore, offrendo la nostra adesione a lui, talvolta debole, talvolta sicura, talvolta oscura, talvolta di luce, talvolta ferita, talvolta guarita. Restiamo dietro di Lui: ascoltando, conoscendo, seguendo … Si tratta di un legame forte, di intimità profonda e assoluta, di amore puro, incondizionato, di abbandono fiducioso a Lui, come il gregge segue fiducioso e totalmente il suo Pastore dal deserto verso l’oasi.

Fonte:www.figliedellachiesa.org


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