don Gennaro LAMURO Commento DOMENICA DI PENTECOSTE



DOMENICA
DI
PENTECOSTE
Anno C
Atti 2, 1-11
Salmo 103
Romani 8, 8-17

Giovanni 14, 15-16.23b-26
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 15 “Se mi amate, osserverete i miei
comandamenti; 16 e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito,
perché rimanga con voi per sempre.
23 Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo
a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24 Chi non mi ama, non osserva le mie
parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha
mandato.
25 Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26 Ma il Paràclito, lo
Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi
ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Gesù sarà sempre in mezzo ai discepoli per stimolarli ad un cammino di
identificazione con lui e con il Padre.
Il cammino stesso si identifica con lui (via, verità e vita). Nel cammino i
discepoli, oltre Gesù ed il Padre, che abiteranno in ogni discepolo, potranno contare
su un altro aiuto: “…lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché
non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e
sarà in voi” (Gv 14,17).
15 VEa.n a vgapa/te, me( ta.j evntola.j ta.j evma.j thrh,sete\
Lett. Se amate me, i comandamenti quelli miei praticherete;
CEI Se mi amate, osserverete i miei comandamenti;
Per la prima volta Gesù parla di amore nei suoi confronti. La pratica dei
comandamenti diventa espressione dell’amore a Gesù. Non sono comandamenti
imposti dall’ esterno all’uomo, ma sono la manifestazione esteriore di una esigenza
interiore.
Gesù sottolinea che i comandamenti, quelli suoi, sono in relazione a quelli di
Mosè.
I comandamenti al plurale sono la manifestazione concreta dell’unico
comandamento dell’amore (13,34); sono la risposta dell’amore alle necessità
dell’uomo.
16 kavgw. evrwth,sw to.n pate,ra kai. a;llon para,klhton dw,sei u`mi/n( i[na meqV
u`mw/n eivj to.n aivw/na h=|(
e io pregherò il Padre e (un) altro consolatore/difensore/avvocato darà a voi,
affinché con voi per sempre sia.
e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito, perché rimanga
con voi per sempre,
Gesù è colui che come pastore ha dato la sua vita per evitare ogni danno ai
suoi (10,11.28; 17,12; 18,8), colui che li ha sempre soccorsi (1Gv 2,1: avvocato).
Ora quest’azione verrà proseguita dallo Spirito Consolatore/Confortatore.
Consolare non è solo confortare ma eliminare alla radice la causa di ogni
sofferenza: la solitudine.
23 avpekri,qh VIhsou/j kai. ei=pen auvtw/|\ eva,n tij avgapa/| me to.n lo,gon mou thrh,sei(
kai. o` path,r mou avgaph,sei auvto.n kai. pro.j auvto.n evleuso,meqa kai. monh.n parV
auvtw/| poihso,meqaÅ
Rispose Gesù e disse a lui: Se qualcuno ama me, la parola di me praticherà, e
il Padre di me amerà lui e da lui verremo e dimora presso di lui faremo.
Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre
mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.
24 o` mh. avgapw/n me tou.j lo,gouj mou ouv threi/\ kai. o` lo,goj o]n avkou,ete ouvk
e;stin evmo.j a vlla. tou/ pe,myanto,j me patro,jÅ
Il non amante me le parole di me non pratica; e la parola che ascoltate non è
mia ma dell’avente inviato me Padre.
Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate,
non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Questa di Gesù non è una promessa per l’aldilà, ma la risposta del Padre a un
comportamento tenuto in questa vita (praticare la parola).
Nell’Esodo Dio prende la dimora in una tenda (Es 26) in mezzo al suo popolo.
In questo nuovo Esodo ogni membro della comunità diventa questa dimora. L’uomo
aveva sacralizzato Dio. Dio ora, mediante la comunicazione dello Spirito, santifica
l’uomo.
Dio non è più una realtà esterna all’uomo e lontana da lui, ma interiore
all’uomo (cfr. 1,14). La relazione con questo Dio aveva bisogno di
mediatori/mediazioni: l’intimità col Padre le rende superflue. Non esistono ambiti
sacri al di fuori dell’uomo.
La santificazione dell’uomo desacralizza tutto quel che prima veniva
concepito come sacro.
Quando l’uomo comprende questo, cambia il rapporto con Dio. Comprende
che Dio non chiede che l’uomo sia per lui, ma che, vivendo di lui, sia come lui;
dono di sé, amore totale: questo è il comandamento trasmesso da Gesù.
L’uomo che comprende il comandamento di Gesù sperimenta che l’adesione a
Dio non lo diminuisce bensì lo potenzia. Gesù conferma che la parola del Padre è
una parola che comunica vita.
25 Tau/ta lela,lhka u`mi/n parV u`mi/n me,nwn\
Queste cose ho detto a voi presso voi rimanendo;
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi.
26 o ` de. para,klhtoj( to. pneu/ma to. a[gion( o] pe,myei o` path.r evn tw/| ovno,mati, mou(
evkei/noj u`ma/j dida,xei pa,nta kai. u`pomnh,sei u`ma /j pa,nta a] ei=pon u`mi/n Îevgw,ÐÅ
il poi consolatore, lo Spirito quello santo, che invierà il Padre nel nome di me,
quello a voi insegnerà tutte le cose e farà ricordare a voi tutte le cose che ho
detto a voi io.
Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui
vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Lo Spirito è la forza d’amore di Dio, per questo è santo, cioè totalmente
separato dal male e nello stesso tempo forza separatrice dal male per quanti lo
accolgono.
Gesù aveva detto che colui infatti che Dio ha mandato dice le parole di Dio:
senza misura egli dà lo Spirito (Gv 3,34).
Quanti accolgono e praticano il messaggio di Gesù ricevono lo Spirito: tanto
più grande è la risposta dell’uomo nell’amore agli altri, tanto più grande è
l’accoglienza/liberazione dell’effusione dello Spirito.
Tutto l’insegnamento di Gesù è rivolto all’amore:
quando l’Amore
 -viene annunciato diventa Messaggio
 -viene comunicato diventa Spirito
 -è norma di condotta diventa Comandamento
 -si rende visibile diventa Gloria.
Atti 2,1-11
1 Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme
nello stesso luogo. 2 Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento
che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. 3 Apparvero loro
lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, 4
e
tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel
modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
5 Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto
il cielo. 6 A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li
udiva parlare nella propria lingua. 7 Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia,
dicevano: “Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? 8 E come mai
ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? 9 Siamo Parti, Medi,
Elamiti, abitanti della Mesopotamia, dell
È giunto il momento per la realizzazione della promessa dello Spirito Santo,
annunciata da Gesù prima della sua ascensione (At 1,4-5; Lc 24,49 e Gv 14,26).
L’azione avviene a Gerusalemme.
1 Kai. e vn tw/| sumplhrou/sqai th.n h`me,ran th/j penthkosth/j h=san pa ,ntej o`mou/
evpi. to. auvto,Å
E nel compiersi il giorno della Pentecoste erano tutti uniti con uno scopo
comune.
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti
insieme nello stesso luogo.
I personaggi in questa scena sono gli stessi dell’episodio precedente, cioè il
gruppo dei “circa centoventi” (At 1,15), costituito dagli apostoli e dagli altri
discepoli che vedono se stessi come rappresentanti di Israele. Dopo, in questa stessa
sezione, saranno definiti “Galilei” (2,7). L’esatta locazione è più difficile da
stabilire e sarà esaminata più attentamente in 2,2. In questo testo è la prima volta
che vi si accenna.
La festa giudaica della Pentecoste, almeno secondo la tradizione biblica, si
celebra nel cinquantesimo giorno dopo il sabato della settimana della Pasqua
ebraica, cioè il giorno dopo il sabato, sette settimane dopo. Siccome Gesù è stato
elevato nel giorno dopo il sabato della Pasqua ebraica ed è asceso quaranta giorni
dopo la sua risurrezione, la scena attuale avviene circa dieci giorni dopo la sua
ascensione.
L’espressione greca che colloca l’evento in relazione con la Pentecoste può
essere intesa in due modi poiché il verbo utilizzato può significare sia “essere
completo” che “essere compiuto”: così potrebbe trattarsi sia di un riferimento al
conteggio dei giorni a partire dalla Pasqua ebraica fino alla Pentecoste, sia di un
modo per dire che il periodo è giunto al termine.
In ebraico l’uso del termine per descrivere un giorno che è “compiuto” in
riferimento al conteggio di un regolare periodo di giorni suggerisce che il
significato sottinteso comporti la traduzione seguente: “Quando il giorno della
Pentecoste era arrivato”.
Tuttavia, il tempo del verbo indica che il periodo non è ancora finito ma
piuttosto è nell’atto di terminare. Ciò conduce all’interpretazione che lo stesso
giorno di Pentecoste sta giungendo a termine dato che è cominciato, secondo il
metodo giudaico del calcolo dei giorni, al tramonto della sera precedente. (Per altra
indicazione, come in 2,15, è abbastanza plausibile pensare che le ricorrenze
religiose fossero computate secondo l’uso giudaico e il tempo ordinario fosse
computato alla maniera secolare su base quotidiana).
[È utile analizzare il significato della festa della Pentecoste:
- nella Bibbia giudaica la Pentecoste era un’importante celebrazione religiosa di
ringraziamento per il primo raccolto, una festa calcolata affinché coincidesse con la maturazione
del grano (Es 23,16a; Lv 23,15-20). Era concepita perché fosse celebrata da tutti i popoli, non solo
quello di Israele ma anche dagli stranieri (Dt 16,10-11). Poiché la sua data era calcolata contando
sette settimane dalla Pasqua ebraica e rappresentava il giorno in cui era offerto il frutto del primo
cereale dell’anno (cioè l’orzo che matura prima del grano; Lv 23,15), essa era comunemente
conosciuta come la festa delle settimane (Es 34,22a; Nm 28,26; cfr. Dt 16,9-10).
La Pentecoste perciò era strettamente legata alla Pasqua ebraica, non solo perché la sua data
dipendeva dalla Pasqua, ma perché proprio in questa occasione ci si scambiava il frutto del
raccolto.
L’occasione appropriata della Pentecoste per il dono dello Spirito Santo potrebbe derivare
dal fatto che essa simboleggia il periodo in cui si raccolgono i primi frutti della nuova creazione
scaturita dalla morte di Gesù, cioè i discepoli riempiti con lo Spirito ed emergenti come il centro
del nuovo popolo di Dio (Ger 31, [38 LXX] 33-34; Ez 36,22-32).
Il parallelismo inoltre concorda col fatto che l’effusione dello Spirito durante la Pentecoste
non rappresenta un avvenimento unico che non può più ripetersi ma è semplicemente il primo tra
tanti altri: ad ogni stagione si può sperimentare la ricchezza del dono di Dio e della terra.
- Al tempo del I sec. d.C., durante la Pentecoste aveva luogo ben più di una semplice
celebrazione dei primi frutti, così come con la venuta dello Spirito Santo ha avuto luogo ben più
della nascita di una sola nuova comunità.
Quale fosse esattamente il significato della festa giudaica nella metà degli anni trenta è
difficile sapere ma, nel resoconto di Luca, i richiami alla tradizione, conosciuti attraverso scritti
posteriori associati alla Pentecoste, indicano che alcuni sviluppi erano avvenuti a quel tempo e per
Luca erano abbastanza consolidati perché egli potesse ricavarne implicazioni teologiche.
- Lo sviluppo più chiaramente attestato era l’accostamento della Pentecoste con il rinnovo
del Patto. Nel “Libro dei Giubilei” (6,17-21), l’origine di questa celebrazione nel giorno della
Pentecoste risale a Noè con cui fu fatto il primo Patto (Gen 9,16-17). Anzi, le promesse più
importanti fatte da Dio a Israele vengono presentate come verificatesi in questo giorno, incluso il
Patto con Mosè sul Sinai (Es 19,5; cfr. 24,7-8).
Questo aspetto della festa della Pentecoste aggiunge un altro elemento al radicamento della
discesa dello Spirito nella tradizione religiosa giudaica, poiché Gesù prevede specificamente
l’evento come “la promessa del Padre” (1,4).
La natura universale del patto fatto con Noè (“tra Dio ed ogni essere che vive in ogni carne
che è sulla terra” Gen 9,16) viene evidenziato nella successiva narrazione di Atti 2 e sarà il tema
principale della prima parte del discorso di Pietro in 2,14-21.
- Questo aspetto di rilevanza universale sottolinea anche le allusioni alla torre di Babele
(Gen 11,3-9; cfr. At 2,5), un evento cioè che distrusse l’unità dell’umanità e che Luca adesso
presenta come ribaltato dal potere unificante dello Spirito.
- Nel periodo rabbinico, la festa della Pentecoste si era trasformata in anniversario del dono
della Torah sul Sinai, aspetto specifico questo del rinnovo del Patto che rafforza la connessione
della Pentecoste con l’Esodo. Nel resoconto degli Atti, l’importanza della Torah in quanto tale
non è posta in evidenza (al contrario, la libertà dello Spirito Santo può anche definirsi in
contraddizione alle disposizioni della Legge); e, fino al II sec. dell’era volgare, non c’è
un’attestazione esplicita che il dono della Torah sia associato alla Pentecoste.
In questo periodo, d’altronde, c’è la prima evidenza di tradizioni (rabbinica e dei Targumin,
per esempio) che si sono sviluppate a partire dal resoconto biblico della Rivelazione di Dio sul
Sinai. Tutto questo sarebbe senza nessuna conseguenza se non si considerasse il fatto che nella
narrazione degli Atti si trovano tracce delle tradizioni posteriori riguardanti la storia dell’Esodo,
così come di elementi dello stesso resoconto biblico, il che suggerisce, perlomeno, che la
rivelazione di Dio sul Sinai era uno degli elementi della celebrazione della Pentecoste e che Luca
cerca di attivarlo nel suo resoconto relativo all’effusione dello Spirito.
Insomma, la rivelazione di Dio sul Sinai a Mosè è stata rinnovata e superata dalla
rivelazione di Dio, attraverso lo Spirito, ai centoventi che sono in attesa a Gerusalemme. È questa
una rivelazione propria dell’era messianica (Gl 3,1-2) in cui il popolo stesso, piuttosto che Dio,
proclamerà la parola divina (At 2,4.11).
I riferimenti fatti da Gesù, prima della sua dipartita, all’imminente adempimento della
promessa del Padre e alla discesa dello Spirito devono aver sollevato un notevole sentimento di
speranza nel gruppo dei discepoli che aspettano a Gerusalemme].
Il tempo è quasi scaduto per il ritardo provocato dalla decisione del gruppo
apostolico di scegliere il sostituto di Giuda. Questa decisione è contraria non solo
alla disposizione data da Gesù di “restare” in città/Gerosolima (Lc 24,49; At 1,4),
ma non tiene conto nemmeno del fatto che Gesù non ha provveduto a sostituire
Giuda prima di lasciarli.
Adesso poiché il giorno sta per terminare, essi tutti stanno condividendo gli
stessi pensieri e gli stessi sentimenti (evpi. to. au vtó=epì tò autó), senza dubbio
sentimenti di speranza e forse perfino di paura di rimanere delusi. La frase usata per
dare un senso alla loro unità è la stessa che è impiegata per i centoventi discepoli in
1,15 (evpi. to. au vtó) dove l’unità che Luca ha in mente non ha una localizzazione
spaziale ma comporta piuttosto una condivisione di pensieri e scopi tra i centoventi
e soprattutto solidarietà all’interno del gruppo ampliato di cui essi fanno parte.
È importante chiarire che a questo punto i discepoli rimangono ancora
attaccati al Tempio anche se essi adesso cominciano ad essere sotto la leadership dei
dodici apostoli (vedi 1,26).
2 kai. evge,neto a;fnw evk tou/ ouvranou/ h=coj w[sper ferome,nhj pnoh /j biai,aj kai.
evplh,rwsen o[lon to.n oi=kon ou- h=san kaqh,menoi
E ci fu d’improvviso dal cielo (un) suono come di irrompente soffio violento
e riempì intera la casa dove erano seduti;
Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte
impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano.
In questo punto, in corrispondenza dell’attesa dei discepoli, avviene ciò che
essi stanno aspettando. Il primo segno che qualcosa sta accadendo è il rumore di un
vento che si abbatte impetuoso e ciò indica che è presente una sorta di resistenza
che dev’essere vinta prima dell’arrivo dello Spirito. La forza della scena, che sarà
rievocata nel terremoto durante la seconda manifestazione dello Spirito negli Atti
(4,31), contrasta con l’aura di leggiadria dell’esperienza di Gesù durante il suo
battesimo quando lo Spirito Santo scende su di lui “come una colomba” (Lc 3,22).
Il forte vento richiama alla mente la manifestazione di segni che
preannunciano la potenza divina ad Elia (1Re 19,11) ed è tipica della confusione
cosmica che precede la rivelazione di Dio al suo popolo (per esempio, sul monte
Sinai, Es 19,16-19 e cfr. la citazione di Gioele nel discorso di Pietro in At 2,16-21).
Si deve notare che il rumore è creato dal vento e non dallo Spirito. Il nome
pneu/ma=pnȇuma che designa lo Spirito significa anche “vento” ma usando un altro
termine, pnoh,=pnoḗ, Luca indica che in questo passaggio non vuole che ci sia
confusione tra i due termini.
Il significato de “la casa”, riempita dal rumore, deve essere chiarito. Ci sono
due parole usate da Luca nei suoi scritti per riferirsi ad una casa: oîkoj= ôikos e
oik…a=oikía; entrambe possono indicare un edificio materiale, ma hanno anche un
senso metaforico: la prima è usata (in generale, non solo da Luca) per far
riferimento ad un gruppo tribale o ad un gruppo etnico (come in “la casa di
Giacobbe”, 7,46); l’altra è adottata da Luca come termine per designare una
comunità di discepoli (v. “la casa della Maria” 12,12).
In questo punto viene impiegato il primo dei due termini con riferimento al
significato di edificio, il luogo dove il gruppo è “seduto”. Non viene specificato
questo luogo, ma sembra logico che sia l’ultimo luogo menzionato, la stanza
superiore (1,13), dove i discepoli si stabiliscono in attesa dopo l’ascensione di Gesù.
È noto che la “stanza superiore” corrisponde al “Tempio” in Lc 24,53 e òikos è
esattamente un termine con cui il Tempio era conosciuto.
Tutto ciò evidentemente implica che non una casa qualunque viene riempita
dal rumore del vento ma il Tempio stesso, e sarà nel Tempio che le persone si
riuniranno una volta sentito il rumore e dove ascolteranno Pietro (2,6). In forza
dell’intento teologico rilevabile fino a questo punto come componente del
messaggio degli Atti, “questa casa” acquisisce un ulteriore significato simbolico e
cioè “l’intera casa” equivale a “l’intero Israele”. In altre parole questa è una
rivelazione non solo per pochi prescelti ma a beneficio di tutto il popolo.
3 kai. w;fqhsan auvtoi/j diamerizo,menai glw/ssai w`sei. puro.j kai. evka,qisen evfV
e[na e[kaston auvtw/n(
e apparvero loro divise lingue come di fuoco e sedette/si posò su ciascuno di
loro
Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano , e si posarono su
ciascuno di loro,
La manifestazione dello Spirito Santo è primariamente una percezione visiva
dei discepoli riuniti in assemblea. Questa manifestazione in forma visiva della
presenza di Dio si è verificata spesso in casi precedenti, ma qui essa non si
configura come una rappresentazione privata di Dio (come è stata, ad esempio, per
Abramo [At 7,2; cfr. Gen 15,1-6]) o di altri esseri spirituali (per esempio, l’angelo
del Signore [Lc 1,11] o Gesù) o di una creatura simbolica (per esempio, la colomba
durante il battesimo di Gesù, Lc 3,22): essa appare nell’aspetto di “lingue, come di
fuoco” (=manifestazione in forma visiva della presenza di Dio).
Tale iniziale manifestazione dello Spirito ha quindi una connotazione, in un
certo senso, metaforica, e verrà attualizzata nel versetto successivo in cui Luca
gioca sul doppio senso della parola “lingue”.
Allorché le lingue si separano e si dispongono su ciascun individuo, questi
ricevono allora la “promessa del Padre” che Gesù ha presentato come il dono dello
Spirito Santo (Lc 24,49; At 1,4). Originariamente, la promessa fatta da Dio al suo
popolo consisteva nel possesso della terra di Israele che era stata divisa tra le dodici
tribù (diemeri,sqh=diemerísthē Gen 10,25=1Cr 1,19; Gs 21,43 [LXX]).
Luca usa lo stesso termine tecnico diamerizo,menai=diamerizómenai
(lett.“divise”) per riferirsi alla nuova promessa, la condivisione dello Spirito. Questa
volta non si tratta di una spartizione/divisione di un possesso terreno, ma di un
potere profetico condiviso che consente di proclamare i prodigi divini a tutti coloro
che vogliono ascoltare.
Sebbene Giovanni il Battista abbia proclamato che colui che verrà dopo di lui
battezzerà “con lo Spirito Santo e fuoco” (Lc 3,16), Gesù ha omesso qualsiasi
riferimento all’aspetto di punizione e di purificazione contenuti nel concetto del
fuoco escatologico (cfr. Lc 3,9.17).
Con tutto ciò Luca non può ignorare un legame tra il fuoco della profezia di
Giovanni e il fuoco adesso rappresentato simbolicamente dallo Spirito anche se il
fuoco della Pentecoste non è simbolo di distruzione ma di vigore di vita.
4 kai. evplh,sqhsan pa,ntej pneu,matoj a`gi,ou kai. h;rxanto lalei/n e `te,raij
glw,ssaij kaqw.j to. pneu/ma evdi,dou avpofqe,ggesqai auvtoi/jÅ
e furono riempiti tutti di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue
come lo Spirito dava di dichiarare a loro.
e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre
lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro di esprimersi.
Il significato del simbolo del fuoco ora è chiarito: “e tutti furono colmati di
Spirito Santo”, cioè, il gruppo dei discepoli nel suo insieme ed altri (cfr. 2,1). In
questo versetto si può intravedere un richiamo alla scena della discesa dello Spirito
Santo su Gesù in occasione del suo battesimo, cioè si può constatare un rapporto tra
l’inizio del ministero di Gesù e l’inizio della missione della Chiesa di Gerusalemme.
In verità Luca ci mostrerà un profilo più aderente al battesimo di Gesù
allorché presenterà la missione della chiesa di Antiochia (At 11,19-30).
In questo punto il confronto ha come riferimento la promessa fatta da
Giovanni il Battista ad Israele (vedi 2,3). In tale contesto qualsiasi richiamo al
battesimo di Gesù ha una connotazione negativa non positiva, poiché nel caso di
Gesù è stato detto che egli era “pieno dello Spirito Santo” (Lc 4,1), e tale pienezza
sarà una caratteristica solo dei futuri discepoli ellenisti (At 6,3) soprattutto di
Stefano (6,5.8; 7,55) e di Barnaba (11,24).
Al contrario, nel caso dell’assemblea nella stanza superiore, si dice
semplicemente che essi sono “riempiti con lo Spirito Santo”. L’aggettivo “pieno”
(plh,rhj=plḗrēs) implica uno stato permanente mentre l’aoristo del verbo
“riempire” (evplh,sqhsan=eplḗsthēsan da pi ,mplhmi=pímplēmi) denota il risultato di
un’azione, che può o non può durare (cfr. riempito/colmato = Pietro in 4,8; pieno =
Stefano in 6,5 e in 7,55 e Barnaba in 11,4).
Quindi successivamente si dirà, di coloro che sono presenti, che essi saranno
di nuovo “riempiti/colmati” (v. Pietro in 4,8 e tutti coloro riuniti durante la
Pentecoste insieme con gli altri che si erano aggiunti a loro in 4,31), il che implica
che gli effetti della venuta dello Spirito Santo qui descritti sono validi soltanto per
questa scena. Luca volutamente distingue tra l’esatto momento nel quale un
individuo o un gruppo inizia o ricomincia ad agire sotto l’impulso dello Spirito
Santo da una parte e lo stato, invece, di persistenza dell’azione dello Spirito
dall’altra.
Finché non viene detto che un individuo o un gruppo è “pieno” dello Spirito
Santo, non c’è nessuna garanzia che tutte le successive azioni narrate siano
intraprese sotto la sua ispirazione. Solo quando è esplicitamente affermato, si può
avere una sicurezza (per esempio 4,8 Pietro; 13,9 Saul/Paolo). La conseguenza di
questa distinzione è che “essere riempito/colmato” con lo Spirito Santo non rende
infallibile il credente e questo sarà valido sia per gli apostoli che per chiunque altro.
Quando Pietro, a seguito degli eventi accaduti nella casa di Cornelio (11,16),
farà riferimento a questo episodio, descriverà l’attuale avvenimento coi termini del
compimento della profezia di Gesù riguardo al battesimo nello Spirito Santo (1,5).
È un battesimo che appartiene distintamente a Gesù, in contrasto col battesimo con
acqua che era di Giovanni (Lc 3,16). Esso sarà di nuovo menzionato, in successivi
episodi, come segno dell’accettazione, da parte di Dio, dei credenti in Gesù, così da
rappresentare, insieme col battesimo di acqua nel nome di Gesù, una dimostrazione
materiale della conversione di una persona a Dio.
L’effetto qui procurato alle persone riempite con lo Spirito è che essi iniziano
a fare dichiarazioni in lingue mai conosciute fino ad ora. Se sono lingue intelligibili
e conosciute o lingue incomprensibili, “spirituali” (il fenomeno noto come
“glossolalia”), è questo un quesito importante a cui non si può rispondere che in un
punto successivo della narrazione. È da notare per ora la valenza profetica quale
principale caratteristica del battesimo nello Spirito Santo.
[Il significato di ciò emerge dalla descrizione dell’evento così come Luca la riporta, con la
disposizione a chiasmo degli elementi metaforici e delle relative conseguenze:
Metafora:
[a] esse apparvero loro, ώφθησαν αυτοις=ṓfthēsan autois, aoristo passivo: si sottolinea l’inizio
della visione,
[b] mentre esse erano divise, διαμεριζόμεναι=diamerizómenai, participio presente progressivo
[c] lingue, come di fuoco, γλèσσαι=glṓssai
[d] che si posò/posarono su ciascuno di loro, εκάθισεν /-αν(Cod. D)=ekáthisen /-an, aoristo
puntuale
Azione risultante:
[d’] tutti furono riempiti con lo Spirito Santo, επλήσθησαν=eplḗsthēsan, aoristo puntuale
[c’] essi iniziarono a parlare in altre lingue, γλώσσαις=glṓssais
[b’] mentre lo Spirito venne a donare loro, εδίδου=edídou, imperfetto progressivo
[a’] i mezzi per fare proclamazioni, αποφθέγγεσθαι=apofthénghesthai, infinito ordinario, che
sottolinea il risultato persistente.
In questa disposizione, c’è una stretta corrispondenza tra tutti i componenti tranne quelli
esterni in cui ricorre un cambio marcato tra l’inizio della visione [a], percepita solo dai presenti, e
il risultato finale [a’] che è una proclamazione pubblica in via di sviluppo. Il battesimo nello
Spirito Santo risulta sorreggere esattamente l’obiettivo indicato da Gesù, cioè la testimonianza di
Gesù stesso (cfr.1,8)].
Allo scopo di seguire lo sviluppo della narrazione, è fondamentale
riconoscere che, per tutto il secondo capitolo degli Atti, Luca usa un registro duale
cioè scrive su un doppio livello, storico e metaforico, che poi sovrappone
continuamente facendoli interferire l’un l’altro. La scena d’apertura è presentata
come realtà letterale ma poco dopo è introdotto nella storia un elemento
immaginario che deve essere separato dall’elemento letterario.
La scena storica vede la presenza dall’inizio alla fine di personaggi giudei,
cioè il gruppo apostolico e successivamente i Giudei presenti a Gerusalemme. Un
altro gruppo, che rappresenta tutta l’umanità, prende parte all’episodio ma la sua
presenza è uno strumento di finzione letteraria: questo gruppo non è presente
realmente ma nel contesto della scena storica funge da contrasto perché, attraverso
una sua reazione positiva, mette in risalto quella negativa del gruppo giudaico.
L’impiego di elementi immaginari e dalle sfumature universalistiche al fine
di spiegare eventi della storia di Israele è caratteristica di un certo tipo di esegesi
giudaica, specialmente quando si fa riferimento alla rivelazione di Dio sul Sinai che,
come è stato già indicato (vedi 2,1 precedente), è inserita nella struttura della
narrazione della Pentecoste.
Il modo con cui Luca utilizza i personaggi fittizi che agiscono da contrasto
per mettere in evidenza le debolezze di alcuni personaggi dominanti sia nel Vangelo
che negli Atti è tipico della sua arte narrativa e ricomparirà di nuovo, specialmente
in occasione dell’anonimo “noi”- gruppo, nella seconda metà del libro.
5
+Hsan de. eivj VIerousalh.m katoikou/ntej [VIoudai /oi]( a;ndrej euvlabei/j avpo.
panto.j e;qnouj tw/n u`po. to.n ouvrano,nÅ
Erano poi a Gerusalemme residenti dei Giudei, uomini devoti da ogni gente
di quelle sotto il cielo.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è
sotto il cielo.
Il focus della narrazione adesso si sposta da coloro che parlano in altre lingue
a coloro che sono testimoni di quest’evento. Queste persone sono introdotte nella
storia con una digressione (il filo narrativo continua in 2,6) che lascia intendere che
ciò che viene detto degli abitanti di Gerusalemme è particolarmente importante. Il
problema della loro identità deve essere risolto in questo punto così da poter capire
il resto dell’episodio. Una possibile soluzione è quella di considerare queste persone
tutte giudee, alcune delle quali residenti del luogo (da notare la presenza della
Giudea nell’elenco delle nazioni di 2,9); ma altre provenienti dalla Diaspora (i paesi
presenti nell’elenco di 2,9-11) potrebbero aver fatto un pellegrinaggio a
Gerusalemme per la Festa della Pentecoste. Questa soluzione, basandosi sul termine
“giudei” contenuto in questo versetto, considera il racconto alla stregua di un
resoconto storico e reale. Il termine “Giudei” è omesso da alcune importanti
testimonianze.
La sua presenza pone un serio problema: non solo è illogico dire che i Giudei
venivano da “ogni nazione sotto il cielo” dato che essi si consideravano come una
sola nazione ma, quel che più conta, l’idea che solo i Giudei ascoltino le
proclamazioni profetiche si scontra con le varie indicazioni, presenti nel resto del
capitolo, che mostrano che l’effusione dello Spirito Santo è universalmente valida
ed efficace per tutta l’umanità. Essenzialmente, prendere in considerazione tutti gli
abitanti di Gerusalemme come giudei significa non capire lo scopo teologico di
Luca (sembra plausibile suggerire, come qualche codice, che la parola “giudei” non
era originariamente presente in questo versetto).
Perciò qui Luca cambia registro e introduce nella narrazione una dimensione
simbolica. Egli presenta l’effusione dello Spirito Santo valida per tutta l’umanità
immaginata come presente alla scena della Pentecoste; questa dimensione diventerà
più chiara nell’elenco delle nazioni (2,9-11) e nella reazione di una parte della folla.
Non scompare, tuttavia, la realtà storica, poiché i giudei realmente presenti a
Gerusalemme, molti dei quali provenienti dalla Diaspora per la Festa della
Pentecoste, rimangono inclusi nella folla che confluisce, di cui al verso 2,6. Luca
quindi fonde la dimensione storica della sua narrazione con una realtà spirituale,
anticipando in questo modo il carattere universale del dono dello Spirito Santo e
dell’unificazione dell’umanità sotto un solo Dio.
Il paradigma delle Sacre Scritture per la scena della Pentecoste è complesso
poiché ci sono elementi tratti sia dalla rivelazione sul Sinai (Es 19-24) sia dalla
storia di Babele (Gen 11,1-9). Le tradizioni giudaiche, relative all’episodio sul
Sinai, spiegavano che tutta l’umanità era presente quando Dio rivelò la Torah e che,
sebbene la sua voce si fosse divisa in lingue differenti in modo che tutte le nazioni
potessero capire le sue parole, Israele era l’unico popolo pronto per accettare il dono
divino. Adesso quando lo Spirito è donato nella nuova rivelazione di Dio, Israele
sarà il popolo che lo rifiuterà: è questo un capovolgimento ironico dell’antica
posizione giudaica di superiorità. Così Luca, introducendo nella sua narrazione
l’intera umanità, sta mettendo insieme dettagli delle tradizioni del Sinai e sta
rendendo attuale la storia dell’Esodo.
Il parallelismo con la storia di Babele è già stato suggerito quando abbiamo
fatto riferimento al tema dell’universalità in 2,2. C’è infatti, tra il testo degli Atti e il
capitolo 11 della Genesi dei LXX, un’ampia serie di somiglianze verbali in virtù
delle quali si può effettivamente stabilire che la storia di Babele è utilizzata da Luca
come paradigma. Nel racconto lucano, il riferimento ai popoli “da ogni nazione
sotto il cielo” che vivono a Gerusalemme richiama il tema dei popoli provenienti da
tutta la terra che si stabilirono a Sennaar dove si costruiva la torre che avrebbe
raggiunto il cielo (Gen 11,1-2).
È probabile che nella tradizione giudaica la storia di Babele fosse già
collegata con la storia del Sinai prima che Luca le utilizzasse in rapporto l’una
all’altra; l’effetto prodotto dal loro utilizzo come struttura portante della rivelazione
della Pentecoste è quello di insistere molto sulla natura universale del dono divino
dello Spirito Santo. In ogni caso, sebbene questo sia il messaggio di Luca, egli è
attento a distinguere l’intenzione divina e l’ideale spirituale dalla realtà attuale.
Quindi, sebbene Pietro, nella prima parte del suo discorso, esprimerà
un’interpretazione spirituale e universalistica dell’effusione dello Spirito Santo
(2,14-21), ripiegherà poi su una considerazione più limitata una volta che la realtà
storica prenderà il sopravvento laddove egli si rivolgerà agli “uomini di Israele”
(2,22).
6 genome,nhj de. th/j fwnh/j tau,thj sunh/lqen to. plh/qoj kai. sunecu,qh( o[ti
h;kouon ei-j e[kastoj th/| ivdi,a| diale,ktw| lalou,ntwn auvtw/nÅ
Essendo avvenuto ora la voce questa convenne la moltitudine e fu
turbata/confusa, perché udivano ciascuno nella propria lingua parlanti quelli.
A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li
udiva parlare nella propria lingua.
L’episodio di Babele viene evocato dal ricorso al verbo
(συνeχύθη=siunechiúthē=confusa) applicato agli abitanti di Gerusalemme attirati
dal rumore (lett. “questa voce”): questo verbo richiama il nome greco dato a Babele
(Σύγχυσις=Siúnchiusis) quando il Signore “confuse le lingue” (Gen 11,7; 9 LXX)
di coloro che avevano “una sola voce”.
A differenza della volta precedente, adesso qui la confusione ha una valenza
positiva poiché la punizione divina è stata convertita in forza dello Spirito Santo, il
quale parla attraverso quelli che ha riempito e il cui rumore è udito dai
rappresentanti di tutte le nazioni della terra come linguaggio comprensibile.
Nel testo alessandrino, la confusione scaturisce dal fatto che tutti ascoltano
nelle loro diverse lingue, il che rispecchia l’interpretazione tradizionale della scena
della rivelazione di Dio sul Monte Sinai; (nel testo di Beza invece le persone sono
confuse dal fatto che coloro che hanno ricevuto lo Spirito stanno parlando nelle
varie lingue di chi, come loro, sta ad ascoltare, il che rispecchia più fedelmente la
scena di Babele).
In ogni caso, invece della confusione di linguaggio che porta alla dispersione e
alla discordia, qui la molteplicità dei linguaggi rende capaci di comprensione ed è
fonte di unità delle persone. L’umanità ha recuperato la capacità di capire in lingue
diverse l’unico linguaggio dello Spirito, e Dio ha quindi ristabilito l’unità della
creazione.
7 evxi,stanto de. kai. evqau ,mazon le,gontej\ ouvc ivdou. a[pantej ou-toi, eivsin oi`
lalou/ntej Galilai/oiÈ
Erano fuori di sé poi e si meravigliavano dicendo: Non ecco tutti questi sono i
parlanti Galilei?
Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano:«Tutti costoro che
parlano non sono forse Galilei?
8 kai. pw/j h`mei/j avkou,omen e[kastoj th/| ivdi,a | diale,ktw| h`mw/n evn h-| evgennh,qhmenÈ
E come noi sentiamo ciascuno nel proprio dialetto di noi in cui nascemmo?
E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa?
La narrazione procede riportando un dialogo immaginario che intercorre tra i
rappresentanti delle nazioni. Essi sono “stupiti”, aggettivo che sarà ripetuto alla fine
del discorso (2,12) e che esprime il loro assistere meravigliati alla scena.
La meraviglia sta nel fatto che i diversi popoli odono chiaramente e capiscono
le loro stesse lingue parlate da galilei, la cui lingua abituale è l’aramaico.
Da un punto di vista giudaico, il nome “galilei” comporta un certo tono di
irriverenza, poiché le persone provenienti dalla Galilea erano tenute in scarsa
considerazione dagli altri giudei e giudicate inferiori; il fatto che i Galilei fossero i
primi a ricevere il dono dello Spirito Santo e a proclamare le grandi azioni di Dio
(2,11) è perciò abbastanza sorprendente.
La domanda posta dagli astanti, “come mai ciascuno di noi sente parlare…”
sarà ripresa al termine dell’elenco dei popoli esposto in 2,9-11.
9 Pa,rqoi kai. Mh/doi kai. VElami/tai kai. oi` katoikou/ntej th.n Mesopotami,an(
VIoudai,an te kai. Kappadoki,an( Po,nton kai. th.n VAsi,an(
Parti e Medi ed Elamiti e gli abitanti la Mesopotamia, Giudea e Cappadocia,
Ponto e l’Asia,
Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e
della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia,
10 Frugi,an te kai. Pamfuli,an( Ai;gupton kai. ta. me,rh th/j Libu,hj th/j kata.
Kurh,nhn( kai. oi` evpidhmou/ntej ~Rwmai/oi(
Frigia e Panfilia, Egitto e le parti della Libia quella presso Cirene, e coloro da
Roma che temporaneamente risiedono qui:
della Frìgia e della Panfìlia, dell' Egitto e delle parti della Libia vicino a
Cirene, Romani qui residenti,
11 VIoudai/oi, te kai. prosh,lutoi( Krh/tej kai. :Arabej( avkou,omen lalou,ntwn
auvtw/n tai/j h`mete,raij glw,ssaij ta. megalei/a tou/ qeou/Å
tanto Giudei che proseliti, Cretesi e Arabi, sentiamo narranti loro con le
nostre lingue le grandezze di Dio.
Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue
delle grandi opere di Dio».
L’elenco dei popoli qui riportato costituisce come una parentesi tra la
domanda posta in 2,8b e il versetto 2,11b in cui tale domanda viene riproposta.
Poiché il registro utilizzato in questo brano non appartiene alla realtà letterale, non
bisogna intendere l’elenco come una testimonianza storica dei popoli presenti alla
Festa della Pentecoste a Gerusalemme quell’anno. Né bisogna considerarlo relativo
solo ai giudei, data la natura secondaria della variante “giudei” presente in 2,5.
I 15 nomi specificati nell’elenco corrispondono invece all’intera umanità: non
solo geograficamente, nel modo in cui sono distribuiti rispettando i quattro punti
cardinali, ma anche storicamente, considerate le loro connessioni con il passato, il
presente e il futuro. Luca potrebbe aver attinto da elenchi già esistenti per creare il
suo ma, così facendo, lo ha cambiato per ottenere il suo particolare scopo.
[Seguendo la struttura creata dalle congiunzioni del testo di Beza (quella del
testo alessandrino è meno chiara), i 15 paesi o popoli vengono divisi in tre gruppi
che sono evidenziati dalla presenza di tre verbi: “nati” (Parti, Medi e Elamiti),
“abitanti” (nove paesi dalla Mesopotamia alla Libia) e “che risiedono
temporaneamente” (Romani, Cretesi e Arabi)].
L’uso del numero tre, che forma la base delle divisioni nell’elenco, esprime la
completezza simbolica di ogni gruppo in virtù di nomi rappresentativi: così facendo
diventa superfluo fornire un elenco di tutti i paesi conosciuti.
Geograficamente, i popoli e le nazioni sono ordinati nell’elenco secondo un
itinerario immaginario intorno ai quattro punti cardinali, che comincia ad oriente
con il primo gruppo di tre popoli e con la Mesopotamia; continua attraverso la
Palestina considerata il centro del mondo (Giudea), poi flette in direzione nord
(Asia) e ritorna in direzione sud (Egitto) per poi piegare verso l’estremo occidente
(Libia, lontana come Cirene), e ritornare al centro mediante l’ultimo gruppo di tre
popoli. Nell’elenco delle nove nazioni hanno l’articolo: la prima, la Mesopotamia
(situata nell’estremo oriente), quella centrale (l’Asia, nel nord) e infine la Libia
all’altro estremo. L’elenco può essere rappresentato geograficamente nel seguente
modo:
 N
 “i residenti di”
 Asia ← Ponto
 ↓ ↑
 Frigia Cappadocia
 ↓ ↑
 Panfilia Giudea – Mesopotamia ←
 ↓ ↑
 O E
 ↓ ↑
 “coloro provenienti da Roma “nei quali siamo nati Parti, ↑
 (giudei e proseliti), Cretesi e Medi e Elamiti” →
 Arabi che
 temporaneamente risiedono qui”
 ↑ ↓
 ← Libia (Cirene) ← Egitto


 S


Il punto di partenza ad est richiama alla mente la provenienza dei popoli che si
riunirono a Sennaar per costruire la torre di Babele, nei primi giorni dell’umanità. I
primi tre nomi appartengono a popoli del passato: un fatto confermato dal testo di
Beza dove le congiunzioni permettono al nome di ogni popolo di essere legato al
verbo al passato nella frase “lingue in cui noi siamo nati”.
Al centro di questa struttura vi sono coloro che vivono nei nove paesi che
rappresentano tutta l’epoca attuale (tre gruppi di tre). Tra di essi vi è la Giudea, che
si trova, come dimostrato dal diagramma, al centro degli assi delle coordinate
geografiche generate dai diversi popoli e nazioni presenti nell’elenco.
Il gruppo finale di tre popoli è introdotto dalla frase “che risiedono
temporaneamente”. Come i primi tre, questi sono gruppi etnici piuttosto che aree
geografiche, ma invece di richiamare il passato essi anticipano il futuro. I Romani
erano in una fase di espansione del loro impero, così come i Cretesi espandevano il
loro dominio sul mare e gli Arabi nel deserto.
La qualifica, rivolta ai Romani, di “giudei e proseliti”, sembra voler escludere
l’esercito romano d’occupazione da coloro che prendono parte alla scena. Questa
digressione conferma implicitamente che tutti gli altri popoli non si limitano ai
giudei o ai proseliti.
L’argomento del discorso ispirato è adesso specificato come “le grandi opere
di Dio”, espressione di lode questa che si trova di nuovo in 10,46 in un contesto
simile. Ciò chiarifica il significato di “…nel modo in cui lo Spirito dava loro di
esprimersi” che si trova in 2,4.
Riflessioni…
 È giunta ormai la festa della mietitura e dei primi frutti: il tempo è maturo,
gli spazi definiti. Si raccolgono anche le persone, si mettono in cammino,
invocano, sacrificano … E sono lì radunate, secondo il precetto mosaico
per la festa dei 50 giorni.
Coincidono i tempi, si chiude per sempre il passato: l’E-vento dello
Spirito conclude e inaugura.
 Un rombo divino distoglie da ogni rito. Sono cancellati gli spazi e
annullati i tempi. Ha inizio l’era dell’universalità: lo Spirito di Dio inabita
ogni uomo, si avvia l’era della parola santificante, della pacificazione
instaurata.
 Crollano tutti i muri e con essi i nazionalismi, i fondamentalismi, i
linguaggi codificati, e tutto comincia a rinnovarsi.
Crollano persino le mura del Cenacolo. Questo nel I secolo, 50 giorni
dopo il grande evento della vita risorta. E comincia il Tempo dello Spirito.
I Cristiani sono adusi ai crolli ideologici, a frantumazioni di pietre
murarie. E pertanto possono ben essere testimoni e banditori di ogni
universalità.
 E questo grazie a Gesù di Nazareth, Verbo che in principio era presso Dio,
grazie al volere del Padre, grazie all’azione dello Spirito che crea, ricrea e rinnova gli uomini e la loro storia.

 È il Tempo dell’azione dello Spirito.
Egli è il Consolatore, è con colui che sta solo, cioè l’uomo, e a lui si
accompagna per dare un nuovo senso alla storia di ognuno e della
Comunità umana.
Egli esprime la verità fondante di ogni esistenza: la condivisione (Amore)
e il sostegno (Paraclito) che danno senso e valore alla vita, un’autentica
interpretazione alla storia, che diventa storia di solidarietà, di progresso e
di civiltà, nell’ Amore.
 E tutti possono comprendere e condividere gli stessi pensieri/parole,
perché ne colgono la radice: tutti intendono l’unico linguaggio e l’unico
messaggio di salvezza, di libertà, di risurrezione, di donazione, perché di
ognuno l’Amore è la radice, come Dio è la radice dell’essere.
 E al primo, solenne, inaspettato e sorprendente annuncio di salvezza,
bandito tra rombi ed esultanzedi meraviglia/stupore/timore, i convenuti
rispondono danzando, nello Spirito, e cantando, nella Gioia: Vieni Padre
dei poveri, vieni datore dei doni, vieni luce dei cuori.
E, in compagnia dello Spirito, sperano e si impegnano a rinnovare la
faccia della Terra.

Fonte:www.ildialogo.org


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