Don Marco Ceccarelli,Commento XIII Domenica Tempo Ordinario “C”

XIII Domenica Tempo Ordinario “C” – 30 Giugno 2019
I Lettura: 1Re 19,16.19-21
II Lettura: Gal 5,1.13-18
Vangelo: Lc 9,51-62
- Testi di riferimento: Gen 19,26; Nm 14,4; 2Re 1,10-14; Sal 44,19; 78,9; Is 50,5.7; Ger 2,27;
32,33; Mal 3,1; Mt 4,19-22; 6,33; 9,9; 10,37-38; Lc 9,2; 10,1; 12,50; 14,26.33; 17,31-32; 18,22-23;
Gv 4,20; 6,66; 13,37; At 1,25; 7,39; 20,24; 1Cor 9,16; 2Cor 8,9; Fil 3,13-14; Eb 10,38-39; 12,1-2;
Gc 1,6-8; 2,5; 1Pt 2,21-23; 2Pt 1,10; 2,21-22
1. Seconda lettura: lo Spirito e la libertà.
- I figli di Dio sono coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio (Rm 8,14). Nella seconda lettura
odierna Paolo aggiunge che chi è guidato dallo Spirito non è più sotto la legge (v. 18). Qualcuno
potrebbe interpretare questa affermazione nel senso di un affrancamento dalla sottomissione ai comandamenti. Vale a dire: se uno è rinato dallo Spirito è libero dalle imposizioni della legge,
dall’osservare questo o quel precetto. Costui semplicemente si lascia portare dallo Spirito e fa quello che di volta in volta gli suggerisce lo Spirito. Questo concetto di libertà però finisce facilmente
per essere confuso con quello in voga nelle nostre società, dove essere libero corrisponde a fare
quello che piace. Se chiedessimo a qualcuno: se tu fossi completamente libero di fare quello che ti
pare, cosa faresti?, ne sentiremo delle belle. Chi andrebbe in banca a rubare tutti i soldi che vuole;
chi si vendicherebbe dei torti subiti; chi invece di lavorare dormirebbe tutto il giorno; ecc. Questo è
grossomodo il concetto di libertà che va per la maggiore. Ma certamente non è la libertà dello Spirito. Anzi, non è libertà per nulla. Infatti, andare in banca a rubare non è segno di libertà, ma di schiavitù alla cupidigia; vendicarsi è schiavitù all’ira; dormire tutto il giorno è schiavitù alla pigrizia. In
altre parole, quello che pensiamo sia libertà è invece schiavitù alle proprie passioni.
- Liberi per servire. Cristo ci ha chiamati a libertà (v. 1) e ci rende liberi. Liberi da tutto. Ma non per
fare quello che ci pare, perché non è questa la libertà. La libertà è la possibilità di vivere amando
tutti. È la possibilità di non essere più succubi delle proprie passioni. È Cristo che ci può dare questa
libertà che è lo Spirito Santo, perché «dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà» (2Cor 3,17). Ma,
come dice san Paolo, la libertà non è per vivere secondo la carne cioè per soddisfare le proprie passioni, le proprie concupiscenze; piuttosto è per amare, cioè per vivere al servizio degli altri (v. 13).
E qui che si vede se uno ha ricevuto lo Spirito di libertà. Chi è schiavo non può amare, perché per
amare, cioè per donarsi, bisogna possedersi. Chi è schiavo non si possiede; è posseduto. Soltanto
chi è stato liberato e si possiede può donare se stesso ed essere al servizio di Dio e degli altri. Per
dirla con sant’Agostino: “Ama e fa quello che vuoi”; perché chi pecca non ama, e chi ama non pecca.
2. Il Vangelo: la missione di Cristo e dei discepoli.
- L’inizio del brano di Vangelo odierno coincide con il momento in cui Cristo inizia il suo cammino
verso il compimento della sua missione. Egli “rende risoluto il suo volto”, cioè si volge decisamente
verso Gerusalemme dove avrebbe compiuto la sua “ascensione” (il termine del v. 51 deriva dal verbo usato in At 1,2.11.22). Si sottolinea come l’azione di Gesù sia estremamente determinata. Egli
non tentenna davanti alla missione, ma guarda decisamente davanti a sé per andare lì dove il Padre
lo ha chiamato. Egli sa che ci sono soltanto due vie, quella larga e spaziosa che conduce alla perdizione e quella stretta e angusta che conduce al regno (Mt 7,13-14); e fra le due non c’è via di mezzo. Egli non ha altri luoghi dove posare il capo se non l’unico che gli ha dato il Padre che è la croce.
La stessa radicalità chiede ai discepoli. Chi si volta indietro non è adatto per il regno. Chi ha ricevuto una missione deve guardare soltanto davanti a sé, alla chiamata che ha ricevuto. Gesù non si cura
nemmeno di coloro che lungo il suo cammino non vogliono riceverlo. Egli sa dove sta andando e sa
che comunque nulla deve distrarlo dal proseguire diritto per la sua strada. Egli va a Gerusalemme a
dare la vita per la salvezza anche di quei samaritani a cui gli stessi discepoli saranno poi inviati (At
1,8). Non ci può essere compromesso o tentennamento. Per lo stesso motivo non si può seguire Cristo di propria iniziativa, perché nessuno di sua propria volontà riuscirà a seguire Cristo sulla croce.
- I tre personaggi. Nei tre personaggi di cui parla il Vangelo troviamo tre modalità di rapportarsi alla
chiamata.
• Il primo si offre spontaneamente per seguire Gesù, senza essere chiamato. Anche in Gv 1,37 troviamo una situazione simile. Due aspiranti discepoli seguono di loro iniziativa Gesù, e si sentono
chiedere: Che cercate? Sappiamo che essi effettivamente poi diventeranno suoi discepoli. Però è essenziale chiedersi che cosa si cerca nel seguire Gesù. Perché forse lo si può seguire attratti da qualcosa che non corrisponde alla missione che lui ha. Lo si può seguire pensando di andare verso una
meta che non è quella che invece ci si troverà di fronte; perché la meta di Cristo è la croce. Così in
Lc 14,26ss. Gesù dirà a quelli che lo seguono che se non sono disposti a rinunciare a tutto non saranno in grado di essere suoi discepoli. In realtà nessuno può seguire Cristo da se stesso, di propria
iniziativa, con le proprie forze. Anche Pietro dirà a Gesù che lo avrebbe seguito fino alla fine, ma
non ne sarà capace, almeno finché non sarà Gesù stesso a dirgli: Seguimi (Gv 21,19).
• Il secondo. Rispetto alla primo personaggio, qui abbiamo l’altra faccia della medaglia. Se da un
lato non si può seguire Cristo con le proprie forze, d’altro lato se egli chiama tutto diventa possibile.
La chiamata di Cristo ha priorità su tutto, anche sulle cose sacrosante come l’onore ai genitori e la
sepoltura dei defunti. Una tale radicalità non può essere richiesta da nessuna autorità umana. Soltanto Dio ha un’autorità assoluta, e soltanto a lui va data un’obbedienza assoluta. L’annuncio del regno
è un imperativo divino che chiama gli uomini a una presa di posizione immediata, in qualunque situazione si trovino. Davanti alla presenza di Dio e del suo regno tutto il resto diventa secondario.
• Il terzo. Come Gesù rende risoluto il suo volto verso la meta della sua missione, e va diritto per la
sua strada senza esitazioni (anche quando gli diranno che Erode vuole ucciderlo: Lc 13,31-33), così
anche i suoi discepoli. Voltarsi indietro significa rimpiangere le cose lasciate e volere tornare ad esse. Ci si volta indietro per paura di perdere qualcosa, le cose del mondo, gli affetti, ma in primo
luogo la vita. E voltarsi indietro diventa fatale. Così fu per la moglie di Lot (Gen 19,23-26). Così fu
per gli ebrei nel deserto che volevano tornare in Egitto. Eliseo, nella prima lettura, in realtà non torna a casa, ma fa un segno con cui rompe con quel tipo di vita per cominciarne una nuova da cui non
tornerà indietro. Cristo è sempre davanti a noi. Perciò chi vuole seguirlo non deve guardare indietro,
alle cose che stanno dietro, ma a ciò che è davanti. Occorre avere sempre davanti a noi, davanti ai
nostri occhi, la nostra vocazione e la nostra elezione, così da non inciampare mai (2Pt 1,10). Così il
cristiano che ha rinunciato al mondo, agli affetti e alla sua vita (Lc 14,26.33) per seguire Cristo, dice con san Paolo: «dimenticando ciò che sta dietro e proteso verso ciò che sta davanti, perseguo la
meta, verso il premio della celeste chiamata di Dio in Cristo Gesù» (Fil 3,13-14).

Fonte:www.donmarcoceccarelli.it


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