FIGLIE DELLA CHIESA, Lectio "Santissimo Corpo e Sangue di Cristo"


Santissimo Corpo e Sangue di Cristo

 Lun, 17 Giu 19  Lectio Divina - Anno C

Per noi, gente di questo mondo, non potremmo trovare definizione più espressiva di Dio che quella di dire che Dio è amore. Tutti infatti abbiamo fatto e facciamo esperienza di che cosa è l'amore nelle sue varie gamme e in questo siamo stati aiutati dalla Lettera Enciclica “Deus caritas est” del Santo Padre, Benedetto XVI.

Ma l'amore vero che attinge la sua forza in Dio è l'agàpe che è amore di comunione, di compenetrazione nella sfera più intima dell'anima. Quando Paolo ci parla del Mistero nascosto da secoli in Dio e rivelato a noi da Gesù Cristo, ci sta appunto ad indicare una conoscenza interiore, spirituale che è appunto esperienziale. L'anima in questa esperienza avverte una Presenza che la trascende. Creati ad immagine di Dio, vi è in noi quel germe divino, oggi si direbbe il DNA che ci rende idonei a scorgere, intuire, percepire l’amore di Dio, la sua Presenza in noi. Nella liturgia di questo giorno che celebra la solennità del Corpo e Sangue di Cristo, noi abbiamo un’ulteriore prova dell’amore di Dio, manifestata a noi dal suo Figlio Gesù Cristo.
Seguiamo la Parola nel Vangelo di Luca (9, 11b-17):

v.11: Gesù prese a parlare alle folle del Regno di Dio
Gesù, annuncia, insegna e cerca di far comprendere che cosa è il Regno, il fine della nostra esistenza: la comunione beata con la Trinità. Il suo parlare del Regno è segno di quell’accoglienza che prepara al banchetto eterno ove avrà luogo quella famiglia dei figli di Dio che come germogli d’ulivo siederà attorno alla mensa benedicendo e lodando il Signore.

e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
Gesù è uomo e partecipa ai dolori dell’umanità proteso a sollevare l’uomo non solo nella sua fisicità, ma a ristabilire uno spirito libero, capace di gustare la vita nella sua totalità e verità.
Luca, quale medico, evidenzia l’attenzione verso i bisognosi, verso chi è provato non solo nel corpo ma anche nello spirito ed è infatti lui che ci parla della pecorella smarrita che il buon Pastore pone sulle spalle dopo averla cercata per ricondurla all’ovile.

v.12: Il giorno cominciava a declinare
L’espressione volutamente citata da Luca, ci richiama all’episodio dei discepoli di Emmaus (Lc 24,29) “Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino”. Essi riconobbero Gesù allo spezzare del pane, ma è anche l’ora del tramonto che ci ricorda l’Ultima Cena in cui Gesù istituisce il grande sacramento dell’Amore, l’Eucaristia.
Tutti questi segni: Regno di Dio, la cura dei malati, il giorno che volge al declino, sono piccoli dettagli premonitori che preparano ad un clima davvero di vera Koinonia, ma i dodici non se ne avvedono.

e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: “Congeda la folla, perché vada nei villaggi e nelle campagne dintorno per alloggiare e trovare cibo, poiché qui siamo in una zona deserta”.
E’ importante notare come a preoccuparsi sono i Dodici e non la folla che continua ad ascoltare Gesù. Essa non è preoccupata di sfamarsi, sarebbe andata via per tempo, giacché la zona era deserta. Ma è spontaneo pensare anche al desiderio degli apostoli di stare con Gesù per condividere con Lui la loro prima esperienza di evangelizzazione.
Infatti al v. 10, in questa pericope non citato, Luca dice appunto che al ritorno della missione dei Dodici, Gesù li prese con sé e si ritirò verso una città chiamata Betsaida. Da qui il suggerimento di congedare la folla.
Quando gli interessi personali prendono il sopravvento sul bene comune è ovvio che ci sfuggano le vere necessità degli altri e anziché prodigarsi si tenta di eliminare l’ostacolo.
Luca però vuole aiutarci ad entrare in quella logica trascendentale, ossia nella logica di Dio che non è certamente la logica umana. Parlando di deserto, Luca conduce il nostro pensiero alle pagine dell’Esodo capitolo 16, quando Dio sazia il suo popolo provvedendolo del cibo necessario, ma anche per farci intendere che Gesù è il Kyrios, il Signore capace di risolvere qualsiasi problema, poiché a Dio nulla è impossibile.

v.13: Gesù disse loro: “Dategli voi stessi da mangiare”.
Si ripete qui lo stesso evento di 2 Re 4,42-44 quando appunto Eliseo moltiplicherà i 20 pani per 100 persone e ne avanzerà. Ma gli apostoli sono ancora ignari del procedere del loro Maestro proprio come i due discepoli di Emmaus ai quali Gesù dovette dire: “Stolti e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti” (Lc 24,25). Infatti rispondono quasi con tono di meraviglia: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci”.
Tra riga e riga possiamo anche intendere come Gesù ci vuole rendere partecipi del suo operato, vuole la nostra corrispondenza al dono offrendo quel poco che abbiamo, cinque pani e due pesci. Una piccola entità di fronte ad un numero esorbitante: cinquemila persone da sfamare.

v.14: C’erano infatti circa cinquemila uomini.
I numeri nella Bibbia hanno sempre un significato teologico che in questo caso richiamano la sovrabbondanza del dono da parte di Dio per chi sa ascoltare la sua parola. Il dono di Gesù è infatti più grande di quello di Eliseo: là 20 pani per 100 persone, qui 5 pani per 5.000 persone come a dire un pane per ogni mille persone. Così come nella parabola del seme caduto in terra che dà il cento per uno (cf. Lc 8, 8).

Egli disse ai discepoli: “Fateli sedere per gruppi di cinquanta”. E così fecero e li invitarono a sedersi tutti quanti.
L’atteggiamento dello stare seduto è proprio di colui che si pone in ascolto, di colui che è invitato al banchetto e si siede per condividere il pasto, il suo tempo, la sua amicizia.

v.16: Allora egli prese i cinque pani e i due pesci e, levàti gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Qui la narrazione assume tutta la sua chiarezza in quanto è evidente la formula che ricorda la prassi eucaristica. I verbi: prendere, levare, benedire, spezzare, dare, riecheggiano proprio quanto fece Gesù nell’Ultima Cena. Ed il miracolo della moltiplicazione dei pani si rinnova in ogni Eucaristia. Gesù è quel pane che continua ad essere spezzato e condiviso tra noi e non cessa di esaurirsi perché è pane vivo disceso dal cielo per nutrire il suo popolo in cammino verso il Regno.
E’ pane che crea la comunione tra noi perché tutti mangiamo dello stesso Corpo e beviamo dello stesso Sangue. “Sacramentum caritatis”, così lo definisce Benedetto XVI nella sua ultima esortazione apostolica, sacramento dell’amore e l’amore per sua natura è sempre diffusivo, si irradia ad onde concentriche, si dilata per raggiungere ogni uomo.
E Dio vuole dimorare nel cuore dell’uomo e ci attira continuamente a sé, desidera solo che gli apriamo le porte del nostro cuore.
C’è un frase di S. Agostino che reputo importante per sottolineare quanto Dio rispetti la nostra libertà: “Dio che ti ha creato senza di te non può salvarti senza di te”.
La grandezza dell’uomo sta proprio nel rispondere liberamente all’amore di un Dio che pur di salvare l’uomo e farlo partecipe della sua vita divina, non ha disdegnato di farsi carne ed essere mangiato. Tocca a noi conoscere, esperire, gustare, vivificare comunicare questo Amore di Dio.

v.17: Tutti ne mangiarono e si saziarono e delle parti loro avanzate furono portate via dodici ceste.
Il dono diventa reciprocità e la reciprocità fa scaturire l’abbondanza che è benedizione e la benedizione è già promessa che prepara alla beatitudine del Regno.
L’Eucaristia è pegno di vita eterna. E la vita eterna è il presente che viviamo se sappiamo essere anche noi pane spezzato, dono per gli altri, capaci di condivisione, di gratuità. Allora le ceste saranno sempre piene per essere sempre pronte a distribuire quel Pane capace di saziare ogni fame.

Fonte:www.figliedellachiesa.org/it


Commenti

Post più popolari