JUAN J. BARTOLOME sdb, 14a Domenica T. Ordinario - Anno C Lectio Divina

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14a Domenica T. Ordinario - Anno C  Lectio Divina

Lectio Divina su: Lc 10,1-12.17-20
Nella narrazione della missione dei settantadue discepoli Luca presenta il programma di Gesù per la sua comunità che si trova occupata nella missione: la scarsità di operai mette in azione quelli che con la loro mansuetudine, povertà di risorse, disinteressi personali e decisione totale, devono annunciare il regno di Dio agli uomini in forma efficace e sensibile. La missione evangelizzatrice, supposto che non nasce dalla capacità dell'inviato, deve essere portata a termine secondo la volontà di chi invia: l'obbedienza capacita l'apostolo e lo rafforza.
Chi è inviato a predicare il Vangelo non può farlo secondo le sue idee; all'inviato si impone un compito, l'evangelizzazione, e le condizioni per la sua realizzazione. La gioia del discepolo avviene al ritorno della missione compiuta: compiere il proprio dovere, soddisfa chi lo fa. Dalle sue mani uscirono miracoli e Dio conosce già i suoi uomini. La ricompensa al lavoro missionario non può essere migliore. Però più che il trionfo sperimentato va avvalorato quello che è stato già considerato da Dio suddito del suo regno. Quello che soddisfa il missionario è sapersi conosciuto da Dio, mentre lo fa conoscere al mondo.
In quel tempo il Signore 1designò altri settantadue e li inviò avanti a sé in ogni città e luogo dove aveva intenzione di andare. 2 Ed egli disse loro:
"La messe è molta, ma gli operai sono pochi: pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe. 3Mettetevi in cammino! Ecco, io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi. 4Non portate borsa, né bisaccia, né sandali, e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. 5Quando entrate in una casa, prima dite: 'Pace a questa casa'. 6Se ci sono persone di pace, la vostra pace scenderà su di loro, se no, tornerà a voi. 7 Rimanete nella stessa casa, mangiando e bevendo ciò che essi forniscono, perché l'operaio è degno della sua mercede. Non cambiate casa. 8 Se entrerete in una città e vi accoglieranno bene, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, 9curate i malati, e dite: "è vicino a voi il regno di Dio'." 10 Quando entrerete in una città e non sarete accolti, andate nella piazza e dite: 11 'Anche la polvere della vostra città, che si è incollati ai piedi, noi la scuotiamo contro di voi. Comunque, sappiate che è vicino il regno di Dio ". 12 Vi dico che quel giorno sarà più tollerabile per Sodoma che per quella città".
17 I settantadue tornarono molto felice e gli dissero:
"Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome".
18 Egli rispose
"Io vedevo Satana cadere dal cielo come la folgore. 19 Guardate: vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e tutto l'esercito del nemico. E non vi fanno nessun male. 20Ma voi non siate felici, perché i demoni si sottomettono a voi, rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nel cielo ".
1. LEGGERE: capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice
Il passaggio è la cronaca della seconda missione apostolica che Gesù realizzò durante il suo ministero (Lc 10,1-16; cfr. Lc.9,1-6). La lamentabile soppressione, in questa versione liturgica, del passaggio che fa riferimento al rifiuto di Gesù e il suo grave rimprovero (Lc 10,13-15) assieme all'annuncio del rifiuto dei suoi inviati (Lc. 10,16), priva l'istruzione del suo carico drammatico. Solamente Luca menziona questa missione dei settantadue; Il compito affidato e il modo di realizzarlo segue il modello della prima (Lc 9,1-6); conclude, ed è significativo, annotando la gioia che causò tra gli inviati l'esito della missione (Lc10,17), confermando -e corretto- dallo stesso Gesù : è la prova del trionfo del vangelo: la vittoria sopra il male. Quello che maggiormente deve interessare chi evangelizza non sono i suoi poteri ma la propria salvezza (Lc 10,19-20).
La missione dei settantadue - il numero del popolo della terra secondo Gn10 o degli anziani eletti da Mosè per aiutarlo nel suo compito, secondo Nm 24 - non è giustificata: è una decisione totalmente personale di Gesù. Affinché la sua testimonianza sia credibile, andranno a due a due (cfr. Dt 19,15); Gesù vuole che la missione sia commissione, non compito individuale, ma impegno condiviso. Ha moltiplicato il numero dei suoi inviati, non solo per inviarli in tutti i posti dove lui pensava di andare (Lc 10,1), ma anche perché la messe è molta e gli operai sono pochi (Lc 10,2 Mt 9,27; Gn 4,35).
E' assai significativo che la prima consegna che da ai suoi inviati sia quella di pregare perché aumenti il loro numero (Lc 10,2): il lavoro di evangelizzazione deve iniziare pregando, chiedendo a Dio un gruppo numeroso di evangelizzatori. Quelli che vanno devono sapere poco in confronto al compito che intraprendono. Lo devono intraprendere affidandosi a Dio.
L'inviato non ha tempo da perdere, ha un'obbedienza da compiere; sapersi mandato lo pone immediatamente in cammino, deve sapere che va incontro alle minacce e che deve rinunciare alla sicurezza che danno i normali provvedimenti, a non distrarsi durante il cammino (Lc 10,3-4). Chi accoglie il messaggio potrà accogliere il messaggero; chi rifiuta il vangelo sarà rifiutato, e senza contemplazione per l'evangelizzatore: l'inviato di Gesù vive e riposa dove il vangelo è stato accettato; all'apostolo di Gesù non appartiene neppure la polvere del posto dove non è stata accettata la sua predicazione.
Non è casuale che la missione ha successo quando i missionari danno ragione al loro agire e testimoniano la gioia che sentono per essere degli evangelizzatori: hanno sperimentato il potere del vangelo sopra il male (Lc 10,17). Gesù segnala un altro motivo di grande gioia: ammesso che i suoi uomini sono già registrati nel libro della vita (Es. 32,32; Sal.69,28; 138,16), possono stare certi di essere definitivamente salvi (Lc 10,20). Possono avere maggior ricompensa per una missione di un sicuro compimento?
 2. MEDITARE: applicare alla vita quello che dice il testo!

Annunciando per l'urgenza del Regno e desiderando di moltiplicare la sua predicazione, un giorno Gesù si decise a condividere la sua missione personale con un gruppo scelto di discepoli. Ammesso che gli preoccupava trovare nuovi uditori per il suo vangelo, sentì la necessità di ricorrere a nuovi predicatori. E non trovò di meglio mandare che quelli che vivevano con lui e che ben lo conoscevano. Inviò a due a due quanti aveva potuto riunire attorno a sé. Coloro che lo avevano seguito, erano ora chiamati a precederlo: dove pensava di andare lui, dovevano arrivare prima loro… Questa decisione di Gesù, oltre ad essere un episodio storico, ci fa scoprire uno degli elementi più importanti e meno sottolineati, della naturalezza del discepolato: Gesù trasforma i suoi seguaci in missionari. Invia chi conosce: solo con gli apostoli egli è stato intimo. Premesso che l'invio di Gesù suppone l'obbedienza degli inviati, Gesù manda coloro che prima gli hanno obbedito. Si fa rappresentare da chi ha condiviso con lui. Saranno i suoi luogotenenti coloro che sono stati i suoi compagni di cammino.
Il discepolo di Gesù deve mettere in conto, perciò, che, presto o tardi, il suo Signore lo invierà nel mondo al suo posto e con il suo potere. Gesù chiede e continua a chiedere seguaci che lo precedono annunciando il Regno. I discepoli non sono tali perché rimangono sempre con Gesù. Finiranno un giorno per trasformarsi in suoi testimoni. Gesù ha bisogno di conoscere tutto di colui che sostiene di essere suo discepolo per preparare il suo cammino. Senza gli inviati che lo precedono, non potrà preparare la sua venuta ne potrà contare su una meritata accoglienza. Il mondo, come la Galilea al tempo di Gesù, ha bisogno di Dio, perché occorrono, a Dio ed al mondo, dei testimoni che lo annunciano prossimo. La scarsità fu, ed è, tanto grande, l'urgenza tanto grave, al punto che Gesù non solamente chiede il compromesso personale, ma anche la preghiera: non basta avere la disponibilità di alcuni uomini, bisogna contare sulla benedizione di Dio. La preghiera è la migliore preparazione, la tappa previa, prima di essere inviati. Non lo devono dimenticare tutti quelli che, come seguaci di Gesù, siamo ora o saremo un giorno suoi inviati. Gli evangelizzatori devono pregare prima di evangelizzare.
Dobbiamo domandarci se possiamo accontentarci chiedendo solamente che Dio mandi apostoli nel mondo e non accettando di essere noi gli inviati. Poco affidabile è una preghiera che non ci renda disponibili a fare la volontà di Dio. Ci crediamo buoni discepoli di Gesù, solo perché vogliamo essergli fedeli; siamo veramente preoccupati di allontanarci da lui e perdere così il suo amore. E anche se ci lamentiamo che non tutti condividono la nostra gioia, non per questo non ci sentiamo chiamati a rappresentarlo nel mondo. Pensiamo di fare il necessario per mantenerci al suo seguito. E lasciamo gli altri a testimoniarlo nel mondo. Gesù non vuole al suo lato discepoli che non esitano a soppiantarlo quando incontrano difficoltà; desidera contare su coloro che non lo abbandonano mai, neppure quando, nel suo nome e con la sua direttiva, prendono il suo posto e annunciano Dio.
Non possiamo continuare a sentirci tanto tranquilli quando chiediamo al Signore apostoli migliori, ma temiamo che lui conti su di noi o su qualcuno dei nostri. Se tanta è la necessità che il nostro mondo ha di Dio, tanto più probabilmente sarà che Gesù ci è necessario. E se la prima cosa che ordinò a coloro che stava inviando fu di pregare perché Dio potesse mandare operai alla sua messe, è certo che un modo di sapersi inviato è aver sentito la necessità di chiedere missionari per il nostro mondo. Suole accadere tra i migliori cristiani di lamentarsi dell'allontanamento del nostro mondo da Dio, che desiderano sinceramente un cambiamento radicale e che, incluso, lo chiedono con insistenza nelle loro preghiere, ma nello stesso tempo non permettono a Dio che conti su di loro. Quando questi non desiderano essere inviati e non aspirano ad essere apostoli di Cristo nel suo mondo, non devono chiedere nuovi missionari, ne possono considerarsi buoni discepoli.
Gesù invita alla preghiera e manda a predicare. Quelli che invia nel mondo, li ha fatti prima suoi confidenti, poi ha condiviso la loro vita e le loro preghiere; e infine li ha trasformati in suoi rappresentanti. Per loro, oltre al compito affidato, li fornisce dei suoi consigli. Il missionario deve sapere che evangelizzare non è facile.
I suoi apostoli, avverte Gesù, si sentiranno come agnelli in mezzo ai lupi, circondati e vicini. Ma non sarà questa la peggiore delle difficoltà: davanti alla vita minacciata, non promette troppa sicurezza; dovranno andare leggeri di equipaggiamenti, senza più provigioni che la pace e la fretta; perché il regno di Dio riempie il cuore dell'apostolo di Cristo, chi lo annuncia sa che Dio sta ascoltando i suoi bisogni; dedicarsi a Dio interamente, è lasciare che Dio si curi di colui che opera in lui: in lui si trova la pace promessa all'apostolo. E poiché si riconosce inviato, non potrà perdere tempo finché non arriva al suo destino; coloro che non sanno ascoltare il vangelo, non dovrebbero diventare vicini di casa dell'evangelizzatore. L'attenzione dell'apostolo di Gesù la ottiene chi attende al regno di Dio. Solo dove il Vangelo è accolto, in quel luogo ha inizio l'opera dell'apostolo; egli riposa dove vi è una famiglia che accetta Dio.
Ci possono sembrare esigenze inaudite, oggi irrealizzabili. E lo sono. Ma il problema è che, per portare il regno di Dio nel nostro cuore, ci sentiamo inviati da Cristo nel mondo. E' vero che Gesù impone la povertà all'evangelizzatore, però maggior verità è che non c'è povertà per chi tiene il regno di Dio nel suo cuore e nelle sue mani. E' vero che per gli apostoli di Cristo è consolante, a volte anche necessario, essere accettati; ma non è meno certo che il decisivo non è il conforto dell'apostolo ma l'accettazione del vangelo di Dio. E' innegabile che l'apostolo ha bisogno di un luogo dove si sente amato, per essere un buon apostolo; nonostante ciò, la famiglia dell'apostolo si trova dove Dio ha il suoi figli, perché hanno ricevuto la sua salvezza. E nessun luogo è migliore all'evangelizzatore che quello dove si è accolto Dio.
Ci possono sembrare straordinarie le pretese di Gesù. Però sono la logica conseguenza della chiamata di chi serve Dio; colui che serve ha di fatto rinunciato a progetti personali e si è spogliato di sicurezze. In cambio Dio gli concederà il suo potere. Noi, discepoli di Gesù, perdiamo la gioia di fare prodigi, perché dobbiamo presentarci al mondo come inviati di Dio. Non avendo l'audacia di rappresentarlo, neanche ci vantiamo del suo potere delegato: basta sapersi inviati da Gesù, per sapere che partecipiamo alla sua missione e al suo potere. Non è che Dio non fa più miracoli, è che non trova chi lo rappresenti bene.
Certamente, non è il poter realizzare dei prodigi, ciò che conta. Determinante è che l'apostolo è operatore, perché è suddito di Dio. Suddito del regno sarà domani chi oggi lo saprà proclamare vicino. L'apostolo di Cristo, il suo luogotenente nella terra, ha già il suo nome scritto nel cielo.
Che Dio sarà il nostro futuro dipende di cosa oggi noi siamo, non solo semplicemente buoni discepoli, ma di come saremo capaci di essere suoi testimoni credibili. Se non ci sforziamo di essere eccellenti apostoli non saremo sicuri di avere familiarizzato con Gesù oggi, e neppure sicuri della nostra salvezza domani. E' molto quello che rischiamo ritardando la nostra consegna alla missione che Gesù affida ai suoi seguaci.
Juan J. BARTOLOME sdb

Fonte:http://www.donbosco-torino.it/


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