Battista Borsato, "Prima l’ascolto"
XVI° DOMENICA del T. O.
Prima l’ascolto
Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: “Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Ma il Signore le rispose: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta”.
(Lc 10,38-42)
Dentro il cuore e la mente di molti di noi rintrona ancora il mordace messaggio della parabola del buon samaritano in cui Gesù ci incalza a prendere coscienza che se uno non si prende cura di chi è nel bisogno, di chi si dibatte nella povertà o nella umiliazione non può dirsi suo discepolo. Vivere e camminare senza vedere le ferite dei nostri fratelli e non prestarvi soccorso, non è in linea con il suo pensiero. Anche se siamo fedeli ai riti e compiamo atti liturgici, ma non siamo impegnati a promuovere i diritti e la dignità delle persone non possiamo dirci cristiani. Il cristiano è uno che lotta contro la povertà e si batte per la giustizia. Oggi il racconto evangelico di Marta e Maria ci conduce su una sponda opposta, o che sembra opposta, ma in realtà viene a completare il messaggio di Gesù: non basta compiere il bene, occorre anche domandarsi il “come” compierlo.
Tentiamo di soffermarci sull’episodio di Marta e Maria.
“Gesù entrò in un villaggio, e una donna di nome Marta, lo ospitò…. Marta era distolta per i molti servizi”.
Attira subito la nostra attenzione il frenetico dinamismo di Marta. Marta è preoccupata di fare una degna accoglienza a Gesù. Anche per Marta Gesù è il centro: offrirgli ospitalità dopo un lungo viaggio, mostrargli il calore di una tavola imbandita, era un modo per rasserenare Gesù dopo i conflitti, a volte aspri, con gli avversari e soprattutto con gli Scribi e i Farisei. Marta vuole bene a Gesù e lo fa attraverso le cose, attraverso i suoi affannosi servizi.
Marta può essere il simbolo di un modo di essere chiesa o di essere credenti. C’è una chiesa che si esprime in un operoso dinamismo per rispondere ai bisogni dell’uomo: ci sono poveri da sfamare, giovani da accogliere, persone da consolare, emigrati a cui dare cibo e casa. Enormi problemi attraversano l’umanità e domandano risposte. E questa constatazione di una umanità dolente può portarci a un senso di agitazione e di impotenza. Per quanto facciamo tutto sembra insufficiente e può nascere un senso di frustrazione.
Mi pare giusto rilevare che la nostra chiesa, attraverso le parrocchie e gli ordini religiosi, sia stata una chiesa attiva nel rispondere ai bisogni del tempo. È stata una chiesa operativa: sono sorti oratori per i giovani, scuole per i ragazzi, ospedali per i malati, brefotrofi per gli orfani, campi da calcio e giochi per aggregare e far crescere i giovani. Anche oggi ci sono iniziative a favore delle persone toccate dalla droga e dall’aids, vi sono proposte per rispondere alle varie ferite degli uomini e delle donne in campo affettivo-relazionale.
Il famoso volontariato è molto attivo e presente nella chiesa. Si fanno molte cose per l’uomo. Fare cose per l’altro è un giusto e lodevole atteggiamento, ma Gesù ci viene a dire che questa non è la prima cosa, né quella fondamentale. Prima c’è un altro atteggiamento che ci viene suggerito dalla figura di Maria.
“Maria seduta ai piedi di Gesù, ascoltava la sua Parola”. Facendo una trasposizione, ma non indebita, possiamo dire: “Maria stava ai piedi dell’uomo e cercava di capire le sue parole, i suoi bisogni”.
C‘è quindi una differenza evidente, se non sostanziale, tra Marta e Maria. Marta si preoccupa di fare cose per gli altri, per Gesù, per l’uomo, Maria invece sta con gli altri, con Gesù, con l’uomo. Il fare cose per gli altri e lo stare con gli altri non sono due atteggiamenti antitetici, ma complementari; ma il primo e fondamentale è stare con gli altri, prima di fare per gli altri. Prima occorre mettersi in ascolto dell’altro, della sua sensibilità, dei suoi reali bisogni o attese, poi si può tentare di rispondere, ma di rispondervi non secondo le nostre sensibilità o le nostre attese. Occorre un rovesciamento: non mettere al centro ciò che pensiamo, ma ciò che pensa e desidera l'altro.
Questo dovrebbe trasparire soprattutto nelle relazioni sposo-sposa, fidanzato-fidanzata. Lo sposo e viceversa, prima di fare cose per la sua sposa dovrà capirne le esigenze, le sensibilità, i desideri. Prima deve stare con lei e poi fare cose per lei.
Così la chiesa nei riguardi del mondo, prima dovrebbe mettersi in ascolto del mondo, delle sue reali necessità, di quello di cui ha bisogno e poi agire. Occorre una chiesa che si capovolga, che non metta al centro se stessa, ciò che pensa e vuole, ma ciò che pensa e vuole il mondo, l’uomo. Il centro è il mondo. Prima stare con il mondo, amarlo, stimarlo, coglierne le attese, poi operare. Prima capire ciò che è giusto e poi agire. In questo senso la chiesa (così pure noi), dovrebbe recuperare la dimensione contemplativa del mettersi in ascolto del suo Signore per percepirne le prospettive e cercare di tradurle. Mettersi in ascolto del Signore Gesù non vuol dire solo riflettere sulla sua Parola, ma anche sugli eventi, sulle attese e speranze della gente attraverso cui Dio parla anche oggi. La Chiesa dovrebbe essere prima e più Maria e dopo Marta.
“Una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella Maria”. Gesù entra in una casa, la casa di Betania. È una delle tante case. Lo straordinario, la presenza di Dio, non avviene più nell’alto di un monte riservato a profeti o a pochi eletti, ma succede, umilmente, nella stanza di una casa, mentre di là qualcuno sfaccenda tra le pentole. Teresa d’Avila osserva che “Dio va tra le stoviglie”. Le donne d’Israele, estromesse dal tempio, hanno il Signore che le va a trovare direttamente nella loro casa.
Gesù è libero di parlare alle donne, le escluse, metterle a parte dei più riposti segreti di Dio e affidare loro il grande compito di portarli al mondo. Anche le donne diventano discepole insieme con i discepoli. Perché la chiesa stenta a riconoscere questa pari dignità e responsabilità anche nell'ambito ecclesiale?
Due piccoli impegni:
- Imparare ad ascoltare.
- Valorizzare le donne anche in ambito ecclesiale e ministeriale.
Prima l’ascolto
Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: “Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Ma il Signore le rispose: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta”.
(Lc 10,38-42)
Dentro il cuore e la mente di molti di noi rintrona ancora il mordace messaggio della parabola del buon samaritano in cui Gesù ci incalza a prendere coscienza che se uno non si prende cura di chi è nel bisogno, di chi si dibatte nella povertà o nella umiliazione non può dirsi suo discepolo. Vivere e camminare senza vedere le ferite dei nostri fratelli e non prestarvi soccorso, non è in linea con il suo pensiero. Anche se siamo fedeli ai riti e compiamo atti liturgici, ma non siamo impegnati a promuovere i diritti e la dignità delle persone non possiamo dirci cristiani. Il cristiano è uno che lotta contro la povertà e si batte per la giustizia. Oggi il racconto evangelico di Marta e Maria ci conduce su una sponda opposta, o che sembra opposta, ma in realtà viene a completare il messaggio di Gesù: non basta compiere il bene, occorre anche domandarsi il “come” compierlo.
Tentiamo di soffermarci sull’episodio di Marta e Maria.
“Gesù entrò in un villaggio, e una donna di nome Marta, lo ospitò…. Marta era distolta per i molti servizi”.
Attira subito la nostra attenzione il frenetico dinamismo di Marta. Marta è preoccupata di fare una degna accoglienza a Gesù. Anche per Marta Gesù è il centro: offrirgli ospitalità dopo un lungo viaggio, mostrargli il calore di una tavola imbandita, era un modo per rasserenare Gesù dopo i conflitti, a volte aspri, con gli avversari e soprattutto con gli Scribi e i Farisei. Marta vuole bene a Gesù e lo fa attraverso le cose, attraverso i suoi affannosi servizi.
Marta può essere il simbolo di un modo di essere chiesa o di essere credenti. C’è una chiesa che si esprime in un operoso dinamismo per rispondere ai bisogni dell’uomo: ci sono poveri da sfamare, giovani da accogliere, persone da consolare, emigrati a cui dare cibo e casa. Enormi problemi attraversano l’umanità e domandano risposte. E questa constatazione di una umanità dolente può portarci a un senso di agitazione e di impotenza. Per quanto facciamo tutto sembra insufficiente e può nascere un senso di frustrazione.
Mi pare giusto rilevare che la nostra chiesa, attraverso le parrocchie e gli ordini religiosi, sia stata una chiesa attiva nel rispondere ai bisogni del tempo. È stata una chiesa operativa: sono sorti oratori per i giovani, scuole per i ragazzi, ospedali per i malati, brefotrofi per gli orfani, campi da calcio e giochi per aggregare e far crescere i giovani. Anche oggi ci sono iniziative a favore delle persone toccate dalla droga e dall’aids, vi sono proposte per rispondere alle varie ferite degli uomini e delle donne in campo affettivo-relazionale.
Il famoso volontariato è molto attivo e presente nella chiesa. Si fanno molte cose per l’uomo. Fare cose per l’altro è un giusto e lodevole atteggiamento, ma Gesù ci viene a dire che questa non è la prima cosa, né quella fondamentale. Prima c’è un altro atteggiamento che ci viene suggerito dalla figura di Maria.
“Maria seduta ai piedi di Gesù, ascoltava la sua Parola”. Facendo una trasposizione, ma non indebita, possiamo dire: “Maria stava ai piedi dell’uomo e cercava di capire le sue parole, i suoi bisogni”.
C‘è quindi una differenza evidente, se non sostanziale, tra Marta e Maria. Marta si preoccupa di fare cose per gli altri, per Gesù, per l’uomo, Maria invece sta con gli altri, con Gesù, con l’uomo. Il fare cose per gli altri e lo stare con gli altri non sono due atteggiamenti antitetici, ma complementari; ma il primo e fondamentale è stare con gli altri, prima di fare per gli altri. Prima occorre mettersi in ascolto dell’altro, della sua sensibilità, dei suoi reali bisogni o attese, poi si può tentare di rispondere, ma di rispondervi non secondo le nostre sensibilità o le nostre attese. Occorre un rovesciamento: non mettere al centro ciò che pensiamo, ma ciò che pensa e desidera l'altro.
Questo dovrebbe trasparire soprattutto nelle relazioni sposo-sposa, fidanzato-fidanzata. Lo sposo e viceversa, prima di fare cose per la sua sposa dovrà capirne le esigenze, le sensibilità, i desideri. Prima deve stare con lei e poi fare cose per lei.
Così la chiesa nei riguardi del mondo, prima dovrebbe mettersi in ascolto del mondo, delle sue reali necessità, di quello di cui ha bisogno e poi agire. Occorre una chiesa che si capovolga, che non metta al centro se stessa, ciò che pensa e vuole, ma ciò che pensa e vuole il mondo, l’uomo. Il centro è il mondo. Prima stare con il mondo, amarlo, stimarlo, coglierne le attese, poi operare. Prima capire ciò che è giusto e poi agire. In questo senso la chiesa (così pure noi), dovrebbe recuperare la dimensione contemplativa del mettersi in ascolto del suo Signore per percepirne le prospettive e cercare di tradurle. Mettersi in ascolto del Signore Gesù non vuol dire solo riflettere sulla sua Parola, ma anche sugli eventi, sulle attese e speranze della gente attraverso cui Dio parla anche oggi. La Chiesa dovrebbe essere prima e più Maria e dopo Marta.
“Una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella Maria”. Gesù entra in una casa, la casa di Betania. È una delle tante case. Lo straordinario, la presenza di Dio, non avviene più nell’alto di un monte riservato a profeti o a pochi eletti, ma succede, umilmente, nella stanza di una casa, mentre di là qualcuno sfaccenda tra le pentole. Teresa d’Avila osserva che “Dio va tra le stoviglie”. Le donne d’Israele, estromesse dal tempio, hanno il Signore che le va a trovare direttamente nella loro casa.
Gesù è libero di parlare alle donne, le escluse, metterle a parte dei più riposti segreti di Dio e affidare loro il grande compito di portarli al mondo. Anche le donne diventano discepole insieme con i discepoli. Perché la chiesa stenta a riconoscere questa pari dignità e responsabilità anche nell'ambito ecclesiale?
Due piccoli impegni:
- Imparare ad ascoltare.
- Valorizzare le donne anche in ambito ecclesiale e ministeriale.
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