DON BRUNO FERRERO SDB"UNA SOLA COSA E' NECESSARIA
DON BRUNO FERRERO SDB"UNA SOLA COSA E' NECESSARIA..."
16a Domenica T. Ordinario - Anno C Omelia
UNA SOLA COSA E' NECESSARIA..
Nella lingua latina esiste un simpatico gioco di parole tra la parola hostes, nemico, e hospes, ospite. Il
senso cambia totalmente, mutando una sola consonante. Una reminiscenza la troviamo nei nostri ostilità e ospitalità.
Proprio l'ospitalità sembra il tema centrale delle letture bibliche che abbiamo ascoltato. Un tema quasi rivoluzionario.
Esiodo, un poeta vissuto duemila e seicento anni fa, scriveva: "Invita a tavola chi ti ama e lascia stare il nemico… Ama chi ti ama, va' da chi viene da te. Dà a chi ti dà e non dare a chi non dà perché nessuno ha mai donato a uno che non donava".
Non è la stessa cosa anche oggi?
Dovremmo passare dall'ostilità, quell'irritazione molesta che ci colpisce perfino quando veniamo sfiorati da qualcuno sul bus, all'ospitalità, cioè far posto agli altri nella nostra casa, nella nostra vita.
La nostra società è sempre più gremita di persone che temono, che stanno sulla difensiva, che aggrediscono aggrappandosi ansiosamente a ciò che possiedono, che sono inclini a guardare con sospetto il mondo che le circonda e sono sempre in attesa di un nemico che spunti, si intrometta e faccia loro del male.
Eppure la nostra vocazione è proprio questa: convertire il nemico (hostes) in ospite (hospes).
L'esperienza ci dice che è una questione vitale.
Due pellegrini si arrampicavano su una strada impervia, mentre li flagellava un vento gelido. La tormenta stava per scatenarsi. Raffiche turbinanti di schegge di ghiaccio sibilavano fra le rocce. I due uomini procedevano a fatica. Sapevano molto bene che se non avessero raggiunto in tempo il rifugio sarebbero periti nella tempesta di neve.
Mentre con il cuore in gola per l'ansia e gli occhi quasi accecati dal nevischio costeggiavano l'orlo di un abisso, udirono un gemito. Un pover'uomo era caduto nella voragine e, incapace di muoversi, invocava soccorso.
Uno dei due disse: "È il destino. Quell'uomo è condannato a morte. Acceleriamo il passo o faremo la sua fine". E si affrettò, tutto curvo in avanti per opporsi alla forza del vento.
Il secondo invece si impietosì e cominciò a scendere per le pendici scoscese. Trovò il ferito, se lo caricò sulle spalle e risalì affannosamente sulla mulattiera.
Imbruniva. TI sentiero era sempre più oscuro. Il pellegrino che portava il ferito sulle spalle era sudato e sfinito, quando vide apparire le luci del rifugio. Incoraggiò il ferito a resistere, ma all'improvviso inciampò in qualcosa steso di traverso sul sentiero. Guardò e non poté reprimere l'orrore: ai suoi piedi era steso il corpo del suo compagno di viaggio. Il freddo lo aveva ucciso.
Lui era sfuggito alla stessa sorte solo perché si era affaticato a portare sulle spalle il poveretto che aveva salvato nel burrone. Il suo corpo e lo sforzo avevano mantenuto il calore sufficiente per salvargli la vita.
È questione di tutti i giorni.
Dicevano che era un po' matta. Nella casa di riposo per anziani, la vecchia signora aveva una strana abitudine. Tutte le sere abbracciava e baciava il televisore.
L'assistente le chiese: "Ma perché lo fa?".
"Quel presentatore è l'unica persona del mondo che mi saluta e mi sorride".
Chiunque, non importa l'età (anche a settant'anni), ha bisogno del conforto di un abbraccio, di essere tenuto stretto, di un'espressione concreta d'amore. Spesso diventiamo troppo riservati, troppo timidi per mostrare i nostri veri sentimenti. E allora li nascondiamo dietro una maschera fredda e severa, per la paura di lasciar intravedere la nostra vulnerabilità a coloro che amiamo.
Ma è solo il calore umano che ci può salvare dal grande freddo di quest'epoca.
Siamo fatti per con-vivere, nessuno di noi è una roccaforte isolata e inattaccabile. La felicità degli esseri umani consiste proprio nella progressiva apertura e accoglienza nei confronti degli altri.
Il miracolo dell'esistenza è che solo chi vive questa apertura agli altri può accogliere Dio.
"Mio Signore, non passare oltre senza fermarti da tuo servo"
dice Abramo. Accogliendo degli uomini, accoglie Dio. È bellissimo e straordinario perché si tratta di un unico movimento che va dagli esseri umani al Creatore e dal Creatore torna sovrabbondante sulle persone:
"Tornerò da te fra un anno a questa data
e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio"
promette ad Abramo il misterioso visitatore. Accogliere Dio significa far posto nella propria vita al compimento di tutte le promesse e alla felicità.
C'è qualcosa di profondamente biblico in tutto questo. Dio sulla terra è un viandante. Il creatore delle galassie e degli universi chiede umilmente ospitalità alle sue creature. È così chiaro nella vicenda di Gesù, anche se la prima risposta che riceve è significativa: "Non c'è posto!".
La stessa risposta che continua a ricevere da sempre più numerose persone del nostro tempo.
Gesù non ha mai posseduto una casa. Si trovava bene nella casa di Lazzaro, Marta e Maria. Probabilmente per la compagnia dei tre fratelli e, ancor più, per la cucina di Marta.
Proprio nella casa che gli piace tanto, Gesù spiega chiaramente il senso dell'ospitalità. Maria è tutta concentrata sulla presenza di Gesù, Marta è presa dalle faccende di casa.
"Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c'è bisogno.
Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta".
Non è un rimprovero e non si tratta di una contrapposizione tra vita contemplativa e vita pratica. La parte migliore di Maria è che lei "accoglie" veramente l'ospite, la sua persona, le sue parole.
È così facile, anche oggi, fare tante cose per amore delle persone, senza per questo accorgersi delle loro vere esigenze, dei loro desideri, del contatto umano.
Lo può testimoniare una normale scena familiare.
La ragazza era di pessimo umore. Aveva tutte le sue spine fuori, proprio come un porcospino tormentato da un cane. Troppi compiti a casa, troppe interrogazioni, troppo tutto... ecco! La madre le ripeteva la solita predica, con ragionamenti, spiegazioni e raccomandazioni.
La ragazza si fece ancora più scura. Poi guardò la madre dritta negli occhi e scandì: "Mamma, sono stanca e stufa delle tue prediche. Perché invece non mi prendi tra le tue braccia e mi tieni stretta? Nessun consiglio potrà mai farmi altrettanto bene!".
La madre rimase a bocca aperta. Gli occhi della figlia imploravano un abbraccio. Con la voce rotta dalla voglia di piangere, disse: "Vuoi... vuoi che ti abbracci? Ma lo sai che anch'io... anch'io voglio che tu mi abbracci?". Accolse la figlia nelle braccia aperte e la strinse a sé, come fosse ancora una bimba.
Marta è molto moderna.
Una delle caratteristiche più evidenti della nostra vita quotidiana è quella di avere molte cose da fare. L'esperienza ci dice che le nostre giornate sono piene di faccende da sbrigare, di persone da incontrare, di progetti da portare a termine, di lettere da scrivere, di telefonate da fare, di appuntamenti a cui non mancare. La nostra vita assomiglia spesso a una valigia stracolma di roba che fuoriesce dalle cerniere. Di fatto, siamo quasi sempre consapevoli di essere indietro sul programma. Viviamo con il tormento di compiti non portati a termine, di promesse non mantenute, di progetti non realizzati. C'è sempre qualcos'altro che avremmo dovuto ricordare, fare o dire. Ci sono sempre persone con le quali non abbiamo parlato, alle quali non abbiamo scritto o non abbiamo fatto visita. Dunque, pur essendo molto occupati, abbiamo anche la perdurante sensazione di non riuscire mai ad assolvere completamente i nostri impegni.
Alcune telefonate cominciano con la sottolineatura: "So che sei occupato, ma avresti un minuto per me?", insinuando l'idea che un minuto preso a una persona con un'agenda piena d'impegni valga molto più di un'ora di qualcuno che ha poco da fare.
Tuttavia, ancor più schiavizzanti delle occupazioni sono le nostre preoccupazioni. Essere pre-occupato significa riempire il nostro tempo e spazio prima ancora di esserci dentro. Questo è il preoccuparsi nel senso più specifico del termine. È avere la mente piena di "se". Diciamo a noi stessi: "Che succederebbe se mi ammalassi? E se perdessi il lavoro? E se mio figlio non rientrasse a casa per l'ora prevista? E se domani non ci fosse cibo a sufficienza? E se venissi aggredito? E se scoppiasse una guerra? E se venisse la fine del mondo? E se...?".
Le nostre occupazioni e preoccupazioni riempiono fino all'orlo le nostre esistenze, sia e-steriormente che interiormente, e impediscono allo Spirito di Dio di respirare liberamente in noi, rinnovando la nostra vita.
Maria è il modello del vero discepolo di Gesù. Sa che la parte più importante è Lui e la priorità della vita è incontrarsi con Lui, con le sue parole e con la sua persona, come stiamo facendo nella nostra Eucaristia, in questa nostra chiesa che è la casa di Gesù qui da noi.
Don Bruno FERRERO sdb
16a Domenica T. Ordinario - Anno C Omelia
UNA SOLA COSA E' NECESSARIA..
Nella lingua latina esiste un simpatico gioco di parole tra la parola hostes, nemico, e hospes, ospite. Il
senso cambia totalmente, mutando una sola consonante. Una reminiscenza la troviamo nei nostri ostilità e ospitalità.
Proprio l'ospitalità sembra il tema centrale delle letture bibliche che abbiamo ascoltato. Un tema quasi rivoluzionario.
Esiodo, un poeta vissuto duemila e seicento anni fa, scriveva: "Invita a tavola chi ti ama e lascia stare il nemico… Ama chi ti ama, va' da chi viene da te. Dà a chi ti dà e non dare a chi non dà perché nessuno ha mai donato a uno che non donava".
Non è la stessa cosa anche oggi?
Dovremmo passare dall'ostilità, quell'irritazione molesta che ci colpisce perfino quando veniamo sfiorati da qualcuno sul bus, all'ospitalità, cioè far posto agli altri nella nostra casa, nella nostra vita.
La nostra società è sempre più gremita di persone che temono, che stanno sulla difensiva, che aggrediscono aggrappandosi ansiosamente a ciò che possiedono, che sono inclini a guardare con sospetto il mondo che le circonda e sono sempre in attesa di un nemico che spunti, si intrometta e faccia loro del male.
Eppure la nostra vocazione è proprio questa: convertire il nemico (hostes) in ospite (hospes).
L'esperienza ci dice che è una questione vitale.
Due pellegrini si arrampicavano su una strada impervia, mentre li flagellava un vento gelido. La tormenta stava per scatenarsi. Raffiche turbinanti di schegge di ghiaccio sibilavano fra le rocce. I due uomini procedevano a fatica. Sapevano molto bene che se non avessero raggiunto in tempo il rifugio sarebbero periti nella tempesta di neve.
Mentre con il cuore in gola per l'ansia e gli occhi quasi accecati dal nevischio costeggiavano l'orlo di un abisso, udirono un gemito. Un pover'uomo era caduto nella voragine e, incapace di muoversi, invocava soccorso.
Uno dei due disse: "È il destino. Quell'uomo è condannato a morte. Acceleriamo il passo o faremo la sua fine". E si affrettò, tutto curvo in avanti per opporsi alla forza del vento.
Il secondo invece si impietosì e cominciò a scendere per le pendici scoscese. Trovò il ferito, se lo caricò sulle spalle e risalì affannosamente sulla mulattiera.
Imbruniva. TI sentiero era sempre più oscuro. Il pellegrino che portava il ferito sulle spalle era sudato e sfinito, quando vide apparire le luci del rifugio. Incoraggiò il ferito a resistere, ma all'improvviso inciampò in qualcosa steso di traverso sul sentiero. Guardò e non poté reprimere l'orrore: ai suoi piedi era steso il corpo del suo compagno di viaggio. Il freddo lo aveva ucciso.
Lui era sfuggito alla stessa sorte solo perché si era affaticato a portare sulle spalle il poveretto che aveva salvato nel burrone. Il suo corpo e lo sforzo avevano mantenuto il calore sufficiente per salvargli la vita.
È questione di tutti i giorni.
Dicevano che era un po' matta. Nella casa di riposo per anziani, la vecchia signora aveva una strana abitudine. Tutte le sere abbracciava e baciava il televisore.
L'assistente le chiese: "Ma perché lo fa?".
"Quel presentatore è l'unica persona del mondo che mi saluta e mi sorride".
Chiunque, non importa l'età (anche a settant'anni), ha bisogno del conforto di un abbraccio, di essere tenuto stretto, di un'espressione concreta d'amore. Spesso diventiamo troppo riservati, troppo timidi per mostrare i nostri veri sentimenti. E allora li nascondiamo dietro una maschera fredda e severa, per la paura di lasciar intravedere la nostra vulnerabilità a coloro che amiamo.
Ma è solo il calore umano che ci può salvare dal grande freddo di quest'epoca.
Siamo fatti per con-vivere, nessuno di noi è una roccaforte isolata e inattaccabile. La felicità degli esseri umani consiste proprio nella progressiva apertura e accoglienza nei confronti degli altri.
Il miracolo dell'esistenza è che solo chi vive questa apertura agli altri può accogliere Dio.
"Mio Signore, non passare oltre senza fermarti da tuo servo"
dice Abramo. Accogliendo degli uomini, accoglie Dio. È bellissimo e straordinario perché si tratta di un unico movimento che va dagli esseri umani al Creatore e dal Creatore torna sovrabbondante sulle persone:
"Tornerò da te fra un anno a questa data
e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio"
promette ad Abramo il misterioso visitatore. Accogliere Dio significa far posto nella propria vita al compimento di tutte le promesse e alla felicità.
C'è qualcosa di profondamente biblico in tutto questo. Dio sulla terra è un viandante. Il creatore delle galassie e degli universi chiede umilmente ospitalità alle sue creature. È così chiaro nella vicenda di Gesù, anche se la prima risposta che riceve è significativa: "Non c'è posto!".
La stessa risposta che continua a ricevere da sempre più numerose persone del nostro tempo.
Gesù non ha mai posseduto una casa. Si trovava bene nella casa di Lazzaro, Marta e Maria. Probabilmente per la compagnia dei tre fratelli e, ancor più, per la cucina di Marta.
Proprio nella casa che gli piace tanto, Gesù spiega chiaramente il senso dell'ospitalità. Maria è tutta concentrata sulla presenza di Gesù, Marta è presa dalle faccende di casa.
"Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c'è bisogno.
Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta".
Non è un rimprovero e non si tratta di una contrapposizione tra vita contemplativa e vita pratica. La parte migliore di Maria è che lei "accoglie" veramente l'ospite, la sua persona, le sue parole.
È così facile, anche oggi, fare tante cose per amore delle persone, senza per questo accorgersi delle loro vere esigenze, dei loro desideri, del contatto umano.
Lo può testimoniare una normale scena familiare.
La ragazza era di pessimo umore. Aveva tutte le sue spine fuori, proprio come un porcospino tormentato da un cane. Troppi compiti a casa, troppe interrogazioni, troppo tutto... ecco! La madre le ripeteva la solita predica, con ragionamenti, spiegazioni e raccomandazioni.
La ragazza si fece ancora più scura. Poi guardò la madre dritta negli occhi e scandì: "Mamma, sono stanca e stufa delle tue prediche. Perché invece non mi prendi tra le tue braccia e mi tieni stretta? Nessun consiglio potrà mai farmi altrettanto bene!".
La madre rimase a bocca aperta. Gli occhi della figlia imploravano un abbraccio. Con la voce rotta dalla voglia di piangere, disse: "Vuoi... vuoi che ti abbracci? Ma lo sai che anch'io... anch'io voglio che tu mi abbracci?". Accolse la figlia nelle braccia aperte e la strinse a sé, come fosse ancora una bimba.
Marta è molto moderna.
Una delle caratteristiche più evidenti della nostra vita quotidiana è quella di avere molte cose da fare. L'esperienza ci dice che le nostre giornate sono piene di faccende da sbrigare, di persone da incontrare, di progetti da portare a termine, di lettere da scrivere, di telefonate da fare, di appuntamenti a cui non mancare. La nostra vita assomiglia spesso a una valigia stracolma di roba che fuoriesce dalle cerniere. Di fatto, siamo quasi sempre consapevoli di essere indietro sul programma. Viviamo con il tormento di compiti non portati a termine, di promesse non mantenute, di progetti non realizzati. C'è sempre qualcos'altro che avremmo dovuto ricordare, fare o dire. Ci sono sempre persone con le quali non abbiamo parlato, alle quali non abbiamo scritto o non abbiamo fatto visita. Dunque, pur essendo molto occupati, abbiamo anche la perdurante sensazione di non riuscire mai ad assolvere completamente i nostri impegni.
Alcune telefonate cominciano con la sottolineatura: "So che sei occupato, ma avresti un minuto per me?", insinuando l'idea che un minuto preso a una persona con un'agenda piena d'impegni valga molto più di un'ora di qualcuno che ha poco da fare.
Tuttavia, ancor più schiavizzanti delle occupazioni sono le nostre preoccupazioni. Essere pre-occupato significa riempire il nostro tempo e spazio prima ancora di esserci dentro. Questo è il preoccuparsi nel senso più specifico del termine. È avere la mente piena di "se". Diciamo a noi stessi: "Che succederebbe se mi ammalassi? E se perdessi il lavoro? E se mio figlio non rientrasse a casa per l'ora prevista? E se domani non ci fosse cibo a sufficienza? E se venissi aggredito? E se scoppiasse una guerra? E se venisse la fine del mondo? E se...?".
Le nostre occupazioni e preoccupazioni riempiono fino all'orlo le nostre esistenze, sia e-steriormente che interiormente, e impediscono allo Spirito di Dio di respirare liberamente in noi, rinnovando la nostra vita.
Maria è il modello del vero discepolo di Gesù. Sa che la parte più importante è Lui e la priorità della vita è incontrarsi con Lui, con le sue parole e con la sua persona, come stiamo facendo nella nostra Eucaristia, in questa nostra chiesa che è la casa di Gesù qui da noi.
Don Bruno FERRERO sdb
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