don Fabio Rosini, "UN PADRE CHE CI TRATTA DA FIGLI, NON DA SUDDITI"
XVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) - 28 Luglio 2019
UN PADRE CHE CI TRATTA DA FIGLI, NON DA SUDDITI
Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione.
Luca 11,1-13
Questa domenica ascoltiamo la versione di Luca del Padre Nostro, più semplice e cruda del testo classico di Matteo cui siamo abituati. I discepoli chiedono a Gesù come pregare. C’è sempre da imparare a pregare meglio, a dialogare più profondamente con Dio. Nella vita spirituale è importante crescere costantemente nella relazione con il Signore.
Ma una domanda va affrontata: perché dovremmo pregare? Dio non sa già cosa vogliamo? Non ci può dare direttamente ciò di cui abbiamo bisogno?
C’è da riscoprire che Dio ci ha affidato un ministero di intercessione che è parte dell’amore fraterno. Siamo tutti sacerdoti per il nostro battesimo e la Sua Provvidenza passa per noi. Per esempio, nessuno di noi riceve il Vangelo direttamente dal Signore. Lo riceviamo da uomini, da fratelli, se non dai genitori – che quando consegnano la fede ai propri figli sono i migliori evangelizzatori.
L’amore, la cura e il servizio degli altri sono il sentiero della grazia di Dio. Dio ha scelto di salvarci mediante il nostro reciproco amore. Ma Dio non impone la sua grazia. Dove non c’è amore, l’amore non passa. Ma dove c’è amore, anche se in una versione fragile, Dio è in grado di lavorare con tutto il suo potere. La preghiera di intercessione, quindi, è amore.
C’è anche l’aspetto personale: quando preghiamo ci apriamo alla relazione con Dio e, quasi senza accorgercene, sblocchiamo certe porte interiori che sono chiuse. Dio non ingiunge la sua presenza, lo Spirito Santo non forza il cuore. Entra se non è rifiutato. Il Padre vorrebbe darci molto più di quanto gli chiediamo, ma non può andare oltre il nostro permesso.
IL DOMANI È NELLE SUE MANI. Preghiamo, quindi, per chiedere a Dio che il suo nome, ossia la sua verità più intima, abiti nel nostro cuore e si manifesti in noi; chiediamo di vivere secondo il suo Regno e pian piano la nostra preghiera diventa autentica e Lui può fare queste cose in noi. Allora scopriamo che è da Lui che la vita viene ogni giorno e chiediamo solo quel che serve per vivere oggi, non di più, perché Lo conosciamo, sappiamo che il domani è nelle sue mani. E chiediamo un cuore di misericordia che ci mantenga grati del perdono ricevuto, e affrontiamo le tentazioni senza la pericolosa illusione di potercela fare da soli.
E così cresce la nostra identità di figli, e nell’intimo ci abituiamo a pensare bene del Padre. Sappiamo che non ci darà una serpe o uno scorpione, simboli biblici del male, ma un pesce, cibo essenziale per i suoi discepoli pescatori, e un uovo, simbolo ancestrale della vita.
Forse sto in una tribolazione e prego il Padre e piano piano mi apro a riconoscere che quel che vivo non è serpe, è pesce. Non è scorpione, è uovo. Non è morte, è vita. Non è un inganno, è salvezza. E ritrovo il senso della Provvidenza.
E se mi serve un pane per un amico, se chiedo aiuto per essere capace di accogliere le persone, di amare i figli e i fratelli, Lui mi aprirà la porta. Perché mi vuol dare lo Spirito Santo, ma aspetta che io glielo chieda. Perché mi tratta da figlio, non da suddito.
Fonte:http://www.famigliacristiana.it
UN PADRE CHE CI TRATTA DA FIGLI, NON DA SUDDITI
Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione.
Luca 11,1-13
Questa domenica ascoltiamo la versione di Luca del Padre Nostro, più semplice e cruda del testo classico di Matteo cui siamo abituati. I discepoli chiedono a Gesù come pregare. C’è sempre da imparare a pregare meglio, a dialogare più profondamente con Dio. Nella vita spirituale è importante crescere costantemente nella relazione con il Signore.
Ma una domanda va affrontata: perché dovremmo pregare? Dio non sa già cosa vogliamo? Non ci può dare direttamente ciò di cui abbiamo bisogno?
C’è da riscoprire che Dio ci ha affidato un ministero di intercessione che è parte dell’amore fraterno. Siamo tutti sacerdoti per il nostro battesimo e la Sua Provvidenza passa per noi. Per esempio, nessuno di noi riceve il Vangelo direttamente dal Signore. Lo riceviamo da uomini, da fratelli, se non dai genitori – che quando consegnano la fede ai propri figli sono i migliori evangelizzatori.
L’amore, la cura e il servizio degli altri sono il sentiero della grazia di Dio. Dio ha scelto di salvarci mediante il nostro reciproco amore. Ma Dio non impone la sua grazia. Dove non c’è amore, l’amore non passa. Ma dove c’è amore, anche se in una versione fragile, Dio è in grado di lavorare con tutto il suo potere. La preghiera di intercessione, quindi, è amore.
C’è anche l’aspetto personale: quando preghiamo ci apriamo alla relazione con Dio e, quasi senza accorgercene, sblocchiamo certe porte interiori che sono chiuse. Dio non ingiunge la sua presenza, lo Spirito Santo non forza il cuore. Entra se non è rifiutato. Il Padre vorrebbe darci molto più di quanto gli chiediamo, ma non può andare oltre il nostro permesso.
IL DOMANI È NELLE SUE MANI. Preghiamo, quindi, per chiedere a Dio che il suo nome, ossia la sua verità più intima, abiti nel nostro cuore e si manifesti in noi; chiediamo di vivere secondo il suo Regno e pian piano la nostra preghiera diventa autentica e Lui può fare queste cose in noi. Allora scopriamo che è da Lui che la vita viene ogni giorno e chiediamo solo quel che serve per vivere oggi, non di più, perché Lo conosciamo, sappiamo che il domani è nelle sue mani. E chiediamo un cuore di misericordia che ci mantenga grati del perdono ricevuto, e affrontiamo le tentazioni senza la pericolosa illusione di potercela fare da soli.
E così cresce la nostra identità di figli, e nell’intimo ci abituiamo a pensare bene del Padre. Sappiamo che non ci darà una serpe o uno scorpione, simboli biblici del male, ma un pesce, cibo essenziale per i suoi discepoli pescatori, e un uovo, simbolo ancestrale della vita.
Forse sto in una tribolazione e prego il Padre e piano piano mi apro a riconoscere che quel che vivo non è serpe, è pesce. Non è scorpione, è uovo. Non è morte, è vita. Non è un inganno, è salvezza. E ritrovo il senso della Provvidenza.
E se mi serve un pane per un amico, se chiedo aiuto per essere capace di accogliere le persone, di amare i figli e i fratelli, Lui mi aprirà la porta. Perché mi vuol dare lo Spirito Santo, ma aspetta che io glielo chieda. Perché mi tratta da figlio, non da suddito.
Fonte:http://www.famigliacristiana.it
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