DON PaoloScquizzato, Commento OMELIA XV domenica Tempo Ordinario. Anno C
OMELIA XV domenica Tempo Ordinario. Anno C
«Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così». (Lc 10, 25-37)
Un pio ebreo religioso domanda a Gesù: ‘chi è il mio prossimo da amare?’. Strano, dovrebbe saperlo. La Legge ebraica su questo è chiara: l’altro da amare non può che essere sangue del proprio sangue, il connazionale, uno col quale si condivide lo stesso ideale e i medesimi valori.
Gesù va oltre. Ciò che conta nella vita non è domandarsi ‘chi è da amare’, ma essere disponibili – rispondere – a chiunque domandi di essere amato.
Ciò che dona ‘vita eterna’, ossia vita compiuta, realizzata, è essere risposta al grido nella notte di un altro. Chiunque esso sia.
L’amore non sceglie, ma è scelto.
L’amore è questione di elezione e non di decisione.
Affermare ‘decido io di prendermi cura di questo o di quello perché…’, non è amore, e tanto meno cristianesimo.
Il ‘buon samaritano’ s’inchina sul disgraziato senza sapere chi fosse: ebreo, straniero, religioso, ateo, assassino, santo, etero, omosessuale, clandestino, regolare… Senza chiedere carta d’identità, l’amore vede e provvede, cominciando ad incarnare quei dieci verbi che andranno a sostituire la Legge antica, quella dei Dieci Comandamenti e a inaugurare la Legge nuova, quella dell’amore: lo vide / ne ebbe compassione / gli si fece vicino (si curvò su di lui) / gli fasciò le ferite / gli versò olio e vino / lo caricò sulla sua cavalcatura / lo portò in un albergo / si prese cura di lui / il giorno dopo pagò per lui / ritornò indietro a saldare.
Questo uomo nuovo, questa ‘incarnazione’ della passione di Dio, non è un ebreo osservante, un religioso cresciuto all’ombra del Tempio, anzi. È un samaritano, ovvero – agli occhi della religione ufficiale del tempo – un maledetto, uno considerato ‘lontano’ da Dio, un eretico. Eppure Gesù lo elegge ad esempio di uomo completo, maturo, santo. Certo, perché per lui ciò che conta non è l’appartenenza ad una religione, e tanto meno il credere o meno in un Dio. Ciò che è discriminante, ciò che salva è il ‘fermarsi’ o ‘non fermarsi’ dinanzi alla necessità dell’altro.
Chi afferma di credere in Dio non è ancora detto che riconosca l’essere umano. Ma chi riconosce l’uomo e il suo grido di domanda, sicuramente sta avendo a che fare col suo Dio.
«Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere…?» domandano coloro che si son presi cura del grido d’aiuto dell’altro, e Gesù risponde: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 37-40).
Il cristiano è l’uomo che vive di fede. Ma l’unica fede che salva è quella che opera per mezzo dell’amore (cfr. Gal 5, 6).
Fonte:www.paoloscquizzato.it/
«Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così». (Lc 10, 25-37)
Un pio ebreo religioso domanda a Gesù: ‘chi è il mio prossimo da amare?’. Strano, dovrebbe saperlo. La Legge ebraica su questo è chiara: l’altro da amare non può che essere sangue del proprio sangue, il connazionale, uno col quale si condivide lo stesso ideale e i medesimi valori.
Gesù va oltre. Ciò che conta nella vita non è domandarsi ‘chi è da amare’, ma essere disponibili – rispondere – a chiunque domandi di essere amato.
Ciò che dona ‘vita eterna’, ossia vita compiuta, realizzata, è essere risposta al grido nella notte di un altro. Chiunque esso sia.
L’amore non sceglie, ma è scelto.
L’amore è questione di elezione e non di decisione.
Affermare ‘decido io di prendermi cura di questo o di quello perché…’, non è amore, e tanto meno cristianesimo.
Il ‘buon samaritano’ s’inchina sul disgraziato senza sapere chi fosse: ebreo, straniero, religioso, ateo, assassino, santo, etero, omosessuale, clandestino, regolare… Senza chiedere carta d’identità, l’amore vede e provvede, cominciando ad incarnare quei dieci verbi che andranno a sostituire la Legge antica, quella dei Dieci Comandamenti e a inaugurare la Legge nuova, quella dell’amore: lo vide / ne ebbe compassione / gli si fece vicino (si curvò su di lui) / gli fasciò le ferite / gli versò olio e vino / lo caricò sulla sua cavalcatura / lo portò in un albergo / si prese cura di lui / il giorno dopo pagò per lui / ritornò indietro a saldare.
Questo uomo nuovo, questa ‘incarnazione’ della passione di Dio, non è un ebreo osservante, un religioso cresciuto all’ombra del Tempio, anzi. È un samaritano, ovvero – agli occhi della religione ufficiale del tempo – un maledetto, uno considerato ‘lontano’ da Dio, un eretico. Eppure Gesù lo elegge ad esempio di uomo completo, maturo, santo. Certo, perché per lui ciò che conta non è l’appartenenza ad una religione, e tanto meno il credere o meno in un Dio. Ciò che è discriminante, ciò che salva è il ‘fermarsi’ o ‘non fermarsi’ dinanzi alla necessità dell’altro.
Chi afferma di credere in Dio non è ancora detto che riconosca l’essere umano. Ma chi riconosce l’uomo e il suo grido di domanda, sicuramente sta avendo a che fare col suo Dio.
«Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere…?» domandano coloro che si son presi cura del grido d’aiuto dell’altro, e Gesù risponde: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 37-40).
Il cristiano è l’uomo che vive di fede. Ma l’unica fede che salva è quella che opera per mezzo dell’amore (cfr. Gal 5, 6).
Fonte:www.paoloscquizzato.it/
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