FIGLIE DELLA CHIESA, LECTIO XV Domenica del Tempo Ordinario
XV Domenica del Tempo Ordinario
Lun, 08 Lug 19 Lectio Divina - Anno C
I Padri della Chiesa hanno fatto una lettura allegorica di questa parabola: il ferito è Adamo, l’uomo e il Samaritano è Gesù Cristo. Questa lettura allegorica, che è tradizionale nei primi tempi della Chiesa, ha un suo significato bello, perché vuole dire: se tu vuoi capire la parabola, certamente devi confrontarti con il sacerdote, con il levita e con il samaritano, però innanzitutto prova a metterti nei panni del ferito. Perché se ti metti nei panni del ferito, capisci meglio. Se ti metti lì “mezzo morto tra la vita e la morte” e vedi la gente che ti passa accanto capisci subito quale sia l’atteggiamento giusto e corretto. E il mettersi lì è il rendersi conto che la nostra condizione umana è la condizione di chi è profondamente ferito e di cui Dio si è preso cura. Per cui collocandoti lì impari ad amare come Dio ti ha amato, a prenderti cura degli altri così come Cristo si è preso cura di te.
“Obbedirai alla voce del Signore, ti convertirai al Signore tuo Dio con tutto il cuore e tutta l’anima”: questa accorata esortazione di Mosè agli Israeliti nelle steppe di Moab della prima lettura sarebbe sufficiente da sé ad esprimere ciò che è avvenuto nel cuore del samaritano; egli non solo conosce la Legge, come il sacerdote del tempio, ma ne ha colto veramente il centro e mostra di osservarla fino in fondo. Già Mosè dice che il comandamento di Dio non è parola lontana o estranea; ma in Gesù esso addirittura si fa storia; nella parabola del buon samaritano Gesù narra se stesso, narra quella storia che si fa visibile in lui nella sua carità per l’uomo.
v.25: Il dottore della legge è un esperto di Torà e di questioni teologiche. Gesù però mostra apprezzamento nei suoi confronti, e questo è importante. Vuole mettere alla prova Gesù, perché ha i suoi dubbi, le sue ritrosie; pone a Gesù la domanda che si chiede ogni uomo religioso: cosa fare per ereditare la vita eterna, quale comportamento da tenere per avere in regalo da Dio la comunione definitiva con Lui. Il suo problema è ereditare la vita, entrare nella vita. Ereditare è il verbo che normalmente viene usato per parlare del rapporto con la terra promessa, la terra nella quale si entra. Come entrare nella terra è un tema biblico di fondamentale importanza. Il dottore della legge chiede: come posso io entrare nella vita, come si entra nel Regno? Come posso io mettermi in cammino su questa strada che è quella che tu stai percorrendo? Ma io, come entro? Come eredito la vita?
v.26: Gesù stimola il dottore della legge a riandare alle conoscenze che gli appartengono e lo contraddistinguono; lo rimanda alla legge. Essa contiene gli elementi sufficienti per poter sciogliere ogni dubbio. Lo scriba risponde dunque: amore di Dio e amore del prossimo. La saldatura dei due passi biblici (Dt 6,5 e Lv 19,18) è solida: ora formano un solo comandamento, la cui osservanza assicura la vita eterna. Il problema, qui, non è tanto nell’enunciato, che è noto, non si discute, è chiaro: lo sanno i maestri e lo sanno i discepoli. Il problema non riguarda l’enunciato, che è conosciuto, appunto, ma lo starci dentro.
v.29: In greco è usata una parola che vuol dire vicino; vicino può essere un avverbio; con davanti un articolo diventa un sostantivo: il vicino, il prossimo. Se non ha l’articolo può diventare preposizione, per esempio: vicino ad uno, vicino a. Il dottore della legge dice: “chi è vicino a me”? Qual è il senso di questa domanda? È come se dicesse: “È vero che bisogna amare Dio e il prossimo; io sono disposto a tutto; ho capito, lo so, lo insegno da tanto tempo, questo è il mio mestiere, la mia professione, la mia specialità: amare Dio e amare il prossimo. Ma, a me chi è vicino? A me chi pensa? Di me chi si prende cura? Chi mi sta dietro”? È questo il problema; la parabola, infatti, va proprio in questa direzione: chi si è avvicinato? Chi è vicino a me?
v.30: La parabola parte da un uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico; Gesù, intanto, sta andando verso Gerusalemme. Questo uomo sta andando nella direzione opposta; è un uomo che ha sbagliato strada. Gesù sta andando verso Gerusalemme e l’uomo sta andando verso Gerico, in direzione opposta. Questo uomo è il dottore della legge – guarda, questo sei tu –; Gesù sta parlando di lui, sta rispondendo a lui. – Vedi, tu ti trovi in questa condizione, sei quel tale che ha sbagliato strada, ma non è per forza colpa tua: ci sono i briganti in giro per il mondo, e poi comunque è così, poi scivoli, poi ti ammali, ti trovi imbrigliato in situazioni insopportabili e non ti puoi più sollevare.
v.31: Il sacerdote, uomo del culto, è anche custode della Legge, e il levita è un aiutante nel culto. I due evitano il ferito; forse addirittura per obbedienza alla Legge: se infatti il ferito fosse già morto, toccarlo significherebbe cadere in una forma di impurità che la Legge ebraica vietava. Non giudichiamo troppo severamente il sacerdote, perché lui è un sacerdote e deve mantenere uno stato di purità, ha i suoi doveri, le sue responsabilità.
v.33: Qui è la svolta della parabola. Il Samaritano era in viaggio: questo è il viaggio nel senso forte del termine. Il salmo 84 dice: “..il santo viaggio. Beato chi decide nel suo cuore il santo viaggio”. È il viaggio della salita a Gerusalemme. E qui c’è un samaritano, unico, che va controcorrente, che sale. Il Samaritano rappresenta Gesù, è lui il viandante che sale a Gerusalemme. Il Samaritano gli si fece vicino. ‘Chi viene vicino a me?’ Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, olio, vino (i Padri della Chiesa dicono che sono i sacramenti) e poi lo carica sopra il giumento, lo porta ad una locanda, si prende cura di lui, poi il giorno seguente estrae i due denari e paga e dice all’albergatore “abbi cura di lui perché io devo andare a Gerusalemme, ho un affare e poi torno”. È l’itinerario che Gesù sta percorrendo: sale a Gerusalemme, ha da fare qualcosa a Gerusalemme: è la Pasqua del Signore; sale, muore, risorge, ascende al cielo, poi ritorna, ed intanto ha pagato il prezzo.
v.33: Un samaritano, uno di fede imperfetta, se non addirittura un nemico. Questi “avendolo visto, si commosse”. In greco, il verbo “si commosse” è il medesimo con cui si indica la commozione profonda di Gesù a Nain o quella del padre del figlio prodigo nel vedere il figlio tornare a casa. Ecco l’essenziale: chi soccorre il povero si è identificato con l’atteggiamento di Gesù e di Dio, ha capito chi è Dio.
v.34: Sono i gesti di compassione e di vicinanza del samaritano. Il provare profonda emozione, il chinarsi, il portare in braccio, il curare e fasciare le ferite ricordano alcuni indimenticabili passi di Osea sull’amore di Dio verso Israele. L’amore di Dio è il centro della legge, ma amarlo vuol dire lasciarsi plasmare da lui fino a far diventare la propria vita una trasparente immagine del chinarsi misericordioso di Dio sulle sue creature.
v.36: Gesù spinge il dottore della legge a partire da un preciso punto di osservazione: a partire dalla situazione dello sventurato. Il dottore della legge viene invitato a prendere posizione a sua volta, ma non dalla parte di chi può fare del bene, bensì di chi è nella sventura. Solo dopo potrà operare da prossimo. Solo così ci si introduce seriamente nel concetto di prossimità. Non si può definire il prossimo a partire da se stessi.
Fonte:www.figliedellachiesa.org/
Lun, 08 Lug 19 Lectio Divina - Anno C
I Padri della Chiesa hanno fatto una lettura allegorica di questa parabola: il ferito è Adamo, l’uomo e il Samaritano è Gesù Cristo. Questa lettura allegorica, che è tradizionale nei primi tempi della Chiesa, ha un suo significato bello, perché vuole dire: se tu vuoi capire la parabola, certamente devi confrontarti con il sacerdote, con il levita e con il samaritano, però innanzitutto prova a metterti nei panni del ferito. Perché se ti metti nei panni del ferito, capisci meglio. Se ti metti lì “mezzo morto tra la vita e la morte” e vedi la gente che ti passa accanto capisci subito quale sia l’atteggiamento giusto e corretto. E il mettersi lì è il rendersi conto che la nostra condizione umana è la condizione di chi è profondamente ferito e di cui Dio si è preso cura. Per cui collocandoti lì impari ad amare come Dio ti ha amato, a prenderti cura degli altri così come Cristo si è preso cura di te.
“Obbedirai alla voce del Signore, ti convertirai al Signore tuo Dio con tutto il cuore e tutta l’anima”: questa accorata esortazione di Mosè agli Israeliti nelle steppe di Moab della prima lettura sarebbe sufficiente da sé ad esprimere ciò che è avvenuto nel cuore del samaritano; egli non solo conosce la Legge, come il sacerdote del tempio, ma ne ha colto veramente il centro e mostra di osservarla fino in fondo. Già Mosè dice che il comandamento di Dio non è parola lontana o estranea; ma in Gesù esso addirittura si fa storia; nella parabola del buon samaritano Gesù narra se stesso, narra quella storia che si fa visibile in lui nella sua carità per l’uomo.
v.25: Il dottore della legge è un esperto di Torà e di questioni teologiche. Gesù però mostra apprezzamento nei suoi confronti, e questo è importante. Vuole mettere alla prova Gesù, perché ha i suoi dubbi, le sue ritrosie; pone a Gesù la domanda che si chiede ogni uomo religioso: cosa fare per ereditare la vita eterna, quale comportamento da tenere per avere in regalo da Dio la comunione definitiva con Lui. Il suo problema è ereditare la vita, entrare nella vita. Ereditare è il verbo che normalmente viene usato per parlare del rapporto con la terra promessa, la terra nella quale si entra. Come entrare nella terra è un tema biblico di fondamentale importanza. Il dottore della legge chiede: come posso io entrare nella vita, come si entra nel Regno? Come posso io mettermi in cammino su questa strada che è quella che tu stai percorrendo? Ma io, come entro? Come eredito la vita?
v.26: Gesù stimola il dottore della legge a riandare alle conoscenze che gli appartengono e lo contraddistinguono; lo rimanda alla legge. Essa contiene gli elementi sufficienti per poter sciogliere ogni dubbio. Lo scriba risponde dunque: amore di Dio e amore del prossimo. La saldatura dei due passi biblici (Dt 6,5 e Lv 19,18) è solida: ora formano un solo comandamento, la cui osservanza assicura la vita eterna. Il problema, qui, non è tanto nell’enunciato, che è noto, non si discute, è chiaro: lo sanno i maestri e lo sanno i discepoli. Il problema non riguarda l’enunciato, che è conosciuto, appunto, ma lo starci dentro.
v.29: In greco è usata una parola che vuol dire vicino; vicino può essere un avverbio; con davanti un articolo diventa un sostantivo: il vicino, il prossimo. Se non ha l’articolo può diventare preposizione, per esempio: vicino ad uno, vicino a. Il dottore della legge dice: “chi è vicino a me”? Qual è il senso di questa domanda? È come se dicesse: “È vero che bisogna amare Dio e il prossimo; io sono disposto a tutto; ho capito, lo so, lo insegno da tanto tempo, questo è il mio mestiere, la mia professione, la mia specialità: amare Dio e amare il prossimo. Ma, a me chi è vicino? A me chi pensa? Di me chi si prende cura? Chi mi sta dietro”? È questo il problema; la parabola, infatti, va proprio in questa direzione: chi si è avvicinato? Chi è vicino a me?
v.30: La parabola parte da un uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico; Gesù, intanto, sta andando verso Gerusalemme. Questo uomo sta andando nella direzione opposta; è un uomo che ha sbagliato strada. Gesù sta andando verso Gerusalemme e l’uomo sta andando verso Gerico, in direzione opposta. Questo uomo è il dottore della legge – guarda, questo sei tu –; Gesù sta parlando di lui, sta rispondendo a lui. – Vedi, tu ti trovi in questa condizione, sei quel tale che ha sbagliato strada, ma non è per forza colpa tua: ci sono i briganti in giro per il mondo, e poi comunque è così, poi scivoli, poi ti ammali, ti trovi imbrigliato in situazioni insopportabili e non ti puoi più sollevare.
v.31: Il sacerdote, uomo del culto, è anche custode della Legge, e il levita è un aiutante nel culto. I due evitano il ferito; forse addirittura per obbedienza alla Legge: se infatti il ferito fosse già morto, toccarlo significherebbe cadere in una forma di impurità che la Legge ebraica vietava. Non giudichiamo troppo severamente il sacerdote, perché lui è un sacerdote e deve mantenere uno stato di purità, ha i suoi doveri, le sue responsabilità.
v.33: Qui è la svolta della parabola. Il Samaritano era in viaggio: questo è il viaggio nel senso forte del termine. Il salmo 84 dice: “..il santo viaggio. Beato chi decide nel suo cuore il santo viaggio”. È il viaggio della salita a Gerusalemme. E qui c’è un samaritano, unico, che va controcorrente, che sale. Il Samaritano rappresenta Gesù, è lui il viandante che sale a Gerusalemme. Il Samaritano gli si fece vicino. ‘Chi viene vicino a me?’ Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, olio, vino (i Padri della Chiesa dicono che sono i sacramenti) e poi lo carica sopra il giumento, lo porta ad una locanda, si prende cura di lui, poi il giorno seguente estrae i due denari e paga e dice all’albergatore “abbi cura di lui perché io devo andare a Gerusalemme, ho un affare e poi torno”. È l’itinerario che Gesù sta percorrendo: sale a Gerusalemme, ha da fare qualcosa a Gerusalemme: è la Pasqua del Signore; sale, muore, risorge, ascende al cielo, poi ritorna, ed intanto ha pagato il prezzo.
v.33: Un samaritano, uno di fede imperfetta, se non addirittura un nemico. Questi “avendolo visto, si commosse”. In greco, il verbo “si commosse” è il medesimo con cui si indica la commozione profonda di Gesù a Nain o quella del padre del figlio prodigo nel vedere il figlio tornare a casa. Ecco l’essenziale: chi soccorre il povero si è identificato con l’atteggiamento di Gesù e di Dio, ha capito chi è Dio.
v.34: Sono i gesti di compassione e di vicinanza del samaritano. Il provare profonda emozione, il chinarsi, il portare in braccio, il curare e fasciare le ferite ricordano alcuni indimenticabili passi di Osea sull’amore di Dio verso Israele. L’amore di Dio è il centro della legge, ma amarlo vuol dire lasciarsi plasmare da lui fino a far diventare la propria vita una trasparente immagine del chinarsi misericordioso di Dio sulle sue creature.
v.36: Gesù spinge il dottore della legge a partire da un preciso punto di osservazione: a partire dalla situazione dello sventurato. Il dottore della legge viene invitato a prendere posizione a sua volta, ma non dalla parte di chi può fare del bene, bensì di chi è nella sventura. Solo dopo potrà operare da prossimo. Solo così ci si introduce seriamente nel concetto di prossimità. Non si può definire il prossimo a partire da se stessi.
Fonte:www.figliedellachiesa.org/
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