FIGLIE DELLA CHIESA, LECTIO XVII Domenica del Tempo Ordinario
XVII Domenica del Tempo Ordinario
Lun, 22 Lug 19 Lectio Divina - Anno C
La liturgia di questa domenica ci propone un testo che si può facilmente dividere in tre parti:
- la prima va dal v.1 al v.4
- la seconda dal v.5 al v.8
- la terza dal v.9 al v.13
La prima parte è la grande preghiera del Signore, ma ciò che vogliamo sottolineare in primo luogo è l’introduzione di questa preghiera. Anche Matteo fa precedere un’introduzione alla stessa preghiera e forse dobbiamo sommare insieme le due introduzioni di Luca e Matteo per ricreare l’atmosfera in cui, secondo gli evangelisti, Gesù avrebbe insegnato a pregare.
Ovviamente c’è l’esempio di Gesù come punto di partenza. Luca fa riferimento in modo esplicito a questi momenti particolari di preghiera. Gesù si assenta spesso dal gruppo e, come ha fatto da piccolo quando si è assentato dalla sorveglianza dei genitori, Gesù si assenta dalla folla, si ritira sulla montagna e resta in preghiera. Gesù in Luca passa così spesso la notte in preghiera che quest’ultima ritma di fatto i momenti più importanti della vita stessa di Gesù. Quando deve compiere delle scelte determinanti per la propria vita e per la vita degli altri, Gesù fa sempre precedere queste sue scelte da una notte di preghiera o da un momento intensificato di rapporto con il Padre, fino all’ultima preghiera – la preghiera del Getsemani – in cui Gesù viene reso forte dal Padre, per poter sostenere l’ultima battaglia contro il tentatore.
La preghiera dei discepoli nasce dunque anzitutto dall’esempio di Gesù. La comunità, in quanto comunità di credenti, si pone soprattutto, sull’esempio di Gesù, come comunità orante e così diventa anche provocatoria e genera l’interrogativo: come pregare? Come incontrarsi e dialogare con Dio? Una richiesta di insegnamento, una richiesta di evangelizzazione.
Forse la richiesta dei discepoli nasce anche dal desiderio di rispondere a coloro che li sollecitavano ad avere un proprio patrimonio di prassi e di parole di preghiera
Le introduzioni di Luca e Matteo ci permettono di cogliere la novità qualitativa della preghiera di coloro che hanno di fronte a sé l’esempio di Gesù di Nazaret, riconosciuto Cristo e confessato Signore. Ed è la preghiera di colui che sintetizza tutto nella semplice espressione “Pater”, “Abba”, “Padre”.
In quel “Padre”, c’è tutto l’atteggiamento esistenziale del Figlio, nel momento stesso in cui si affida al Padre. Riconoscendo Dio come Padre, egli definisce e pone se stesso nell’atteggiamento del Figlio. E quindi, come colui che tutto riceve dal Padre, egli si sente interamente “dono” del Padre e lo ringrazia, per questo, nell’amplesso ineffabile dello Spirito Santo.
L’invocazione “Padre!” è dunque anzitutto un’invocazione di riconoscenza che nasce dall’aver constatato la propria situazione di Figlio.
“Abba!” è l’esplicitazione di una figliolanza che è propria di Gesù di Nazaret il quale è per natura Figlio di Dio; ma ciò che era proprio di Gesù è divenuto proprio di tutti coloro che sono stati battezzati; in lui tutti abbiamo ormai il diritto di essere, e perciò di sentirci e comportarci come figli.
La prima richiesta è:
“Sia santificato il tuo nome”.
Questo congiuntivo esortativo indica l’atteggiamento umile del credente, quasi volesse dire: non sono in grado, io, di dichiarare santo il tuo nome, perché il tuo nome è già stato dichiarato santo attraverso le tue opere. Infatti chi può “santificare” o “dichiarare santo se non Dio stesso?
Venga allora la tua regalità:
“Venga il tuo regno”.
Si diffonda nel mondo la regalità di un Dio che si prende cura dell’uomo, non lo abbandona, ma dimostra con i fatti che non sono la morte e la corruzione l’ultima parola per la creatura, ma la vita e l’immortalità.
Si espanda dunque questa tua regalità sul mondo. E’ un augurio sul mondo, ma un augurio che riguarda anche le persone che pregano, quasi volessero dire: Noi siamo i tuoi servi, ma tu fa che dentro di noi possa regnare tu solo e nessun altro, perché tu sei l’unico capace di estrarre la vita dalla morte, come hai liberato Israele tuo popolo dall’Egitto, come hai liberato Gesù tuo figlio dai legami della morte, come hai liberato le genti dall’idolatria.
Luca è molto più sintetico di Matteo, probabilmente perché è un uomo più capace, dal punto di vista letterario, ma forse anche perché ha intuito che in queste semplici espressioni
Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno
c’è già tutto.
Eccoci alla seconda parte della preghiera insegnata da Gesù:
“Dacci ogni giorno il nostro pane…”
Donaci il pane che dà sostanza, quello che ci fortifica al punto che noi possiamo avere forze sufficienti per arrivare a domani. Questo pane è certamente Gesù anche se in questa richiesta vi è un implicito ed evidente riferimento alla manna del deserto. Dunque abbiamo bisogno giorno dopo giorno di ricevere dal Padre il dono del pane, quello composto di acqua lievito e farina, ma anche il dono di Gesù, pane rivelato a Betlemme e preannunziato dalla manna ricevuta dai padri nel deserto.
E’ la presenza di questo pane in noi che ci dà la possibilità di scoprire la necessità di una coerenza fra le cose e i rapporti che si stabiliscono sulla terra e quelle che si verificano in cielo.
Un esempio concreto di questa necessaria coerenza lo abbiamo subito nella richiesta della remissione del nostro peccato.
“Perdona a noi i nostri peccati”
Luca, più chiaro di Matteo, non parla di “debiti”, ma di “peccati”. Sembra voglia suggerire un collegamento particolare. E cioè che la presenza del pane, la presenza di colui che è il pane, crea in noi anche la disponibilità al perdono, permettendoci di chiedere perdono al Padre. Il dono del pane, segno di riconciliazione e di condivisione, dà inizio ad un movimento che, partendo dal Padre, provoca, nel medesimo istante in cui apre il cuore alla confidenza filiale, la consapevolezza di un’apertura altrettanto fiduciosa verso i fratelli. Ci rendiamo così conto che non possiamo avere due pesi e due misure: uno quando siamo noi a chiedere perdono e un altro quando siamo noi a dover perdonare. Nasce così l’impegno a un comportamento che noi definiamo cristiano.
L’ultima invocazione dice
“Non abbandonarci alla tentazione”
In questa invocazione è implicita la consapevolezza della propria fragilità. La vita è una continua tentazione, ma si può resistere e vincere nella misura in cui abbiamo il pane sostanzioso e sostanziale. Nella richiesta del pane c’è quindi anche la richiesta di essere fortificati.
E’ commovente sottolineare che perfino Gesù, nel Getsemani, è dentro questa situazione di debolezza, di fragilità, e ha bisogno della forza che viene dal Padre per poter sostenere la lotta e vincere la tentazione. Un’indicazione per noi: se lui ha chiesto la forza che viene dall’alto, quanto più dobbiamo chiederlo noi il pane che viene dal Signore, il pane che è il Signore.
Prendiamo ora in esame la parabola dell’amico importuno che è necessario contestualizzare all’interno del mondo palestinese del tempo di Gesù, dove i rapporti umani sono importanti, dove l’amicizia è uno degli elementi fondanti della società e dove altrettanto importante è l’esercizio dell’ospitalità.
Arriva un amico a mezzanotte e chiede tre pani perché è arrivato un altro amico e non ha cosa mettergli davanti. Il pane da mettere davanti all’ospite non può essere un rimasuglio, deve essere abbondante, questo indica il numero tre.
L’amico è importuno perché viene a mezzanotte. La notte è pero anche il tempo in cui più alta è la necessità del viandante, del pellegrino. E’ un momento pericoloso anche per il padrone di casa, infatti solo se l’amore è veramente grande e l’amicizia intensa si apre la porta a qualcuno a mezzanotte. Ed è partendo da questa generosità personale che ci si aspetta che anche l’amico importunato si comporti allo stesso modo. Ci si aspetta che la fiducia dimostrata all’amico viandante provochi, con la forza dell’esempio anche l’amico importunato.
Luca sembra quasi divertirsi nel descrivere un Dio duro di cuore perché vuole insistere sulla necessità della richiesta ripetuta. Ci dà anche un’altra indicazione: l’esortazione a rapportarci con Dio con la stessa fiducia ma anche con la stessa ingenuità dei bambini. Soltanto un bambino è talmente ingenuo da non capire che certe cose in certi momenti non dovrebbe chiederle o farle.
Sveglia la mamma di notte, sicuro che lei risponderà. Dio è disponibile come quella mamma.
L’ultima parte della nostra pagina non fa altro che sottolineare questa dimensione paterna e materna di Dio che la parabola aveva già fatto intravedere. Ci sono simboli, che vogliono evidenziare una corretta visione delle cose da chiedere a Dio, perché Dio non dà né ciò che è inutile né ciò che è nocivo all’uomo; e dunque non dobbiamo scandalizzarci se noi chiediamo qualche cosa e poi non la otteniamo. Dobbiamo semmai chiederci se ciò che abbiamo chiesto a Dio era davvero utile e importante, o non, invece, stupido e dannoso.
Dunque se chiedete correttamente, se chiedete il bene, se chiedete la vita, certamente la otterrete:
“Io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarò aperto”
Sono tutti passivi divini “vi sarà dato”, “vi sarà aperto”. Da chi? Dal Padre.
L’apertura della porta è sicura perché solo apparentemente l’interlocutore è duro di cuore.
Ecco ora la bellissima parabola del rapporto tra padre e figlio:
“Chi di voi se un figlio gli chiede un pesce gli darà una serpe”
Il senso è chiaro. Se Dio viene riconosciuto come Padre e voi vi rapportate a lui da figli che chiedono al Padre, potete mai pensare che Dio non si comporti come si comporterebbe qualsiasi padre di questo mondo?
“O se gli chiede un uovo gli darà uno scorpione?”
La sottolineatura di Luca è proprio su questa necessità di chiedere ciò che è utile per la vita, chiedere il pesce chiedere la vita nuova.
Sono due riferimenti molto antichi, simbolici. Il termine pesce (ichys in greco) nella tradizione cristiana successiva, sarà indicato come termine sintetico della definizione stessa di Gesù: Gesù, Figlio di Dio, Salvatore. Il simbolo dell’uovo è altrettanto pregnante di significati. Richiama la prima generazione del mondo. Anche adesso noi simbolizziamo nell’uovo la nascita della nuova vita.
La sintesi di tutti i beni da chiedere è il dono dello Spirito Santo
“Se dunque voi cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli…”
Cioè voi non date senza discernimento, e vorreste che il Padre del cielo fosse meno prudente di voi?
Qui sta anche l’invito a capire bene che cosa intende Gesù quando promette l’esaudimento da parte del Padre.
Se vogliamo davvero ottenere quel che chiediamo non ci resta che chiedere la cosa buona per eccellenza: lo Spirito Santo. E saremo esauditi. Luca aggiunge fra le righe che lo Spirito Santo viene concesso solo a chi chiedendolo ammette di averne bisogno. Dio non impone mai un dono, lo propone, ma lo dà soltanto a chi lo chiede con cuore sincero.
Fonte:www.figliedellachiesa.org/
Lun, 22 Lug 19 Lectio Divina - Anno C
La liturgia di questa domenica ci propone un testo che si può facilmente dividere in tre parti:
- la prima va dal v.1 al v.4
- la seconda dal v.5 al v.8
- la terza dal v.9 al v.13
La prima parte è la grande preghiera del Signore, ma ciò che vogliamo sottolineare in primo luogo è l’introduzione di questa preghiera. Anche Matteo fa precedere un’introduzione alla stessa preghiera e forse dobbiamo sommare insieme le due introduzioni di Luca e Matteo per ricreare l’atmosfera in cui, secondo gli evangelisti, Gesù avrebbe insegnato a pregare.
Ovviamente c’è l’esempio di Gesù come punto di partenza. Luca fa riferimento in modo esplicito a questi momenti particolari di preghiera. Gesù si assenta spesso dal gruppo e, come ha fatto da piccolo quando si è assentato dalla sorveglianza dei genitori, Gesù si assenta dalla folla, si ritira sulla montagna e resta in preghiera. Gesù in Luca passa così spesso la notte in preghiera che quest’ultima ritma di fatto i momenti più importanti della vita stessa di Gesù. Quando deve compiere delle scelte determinanti per la propria vita e per la vita degli altri, Gesù fa sempre precedere queste sue scelte da una notte di preghiera o da un momento intensificato di rapporto con il Padre, fino all’ultima preghiera – la preghiera del Getsemani – in cui Gesù viene reso forte dal Padre, per poter sostenere l’ultima battaglia contro il tentatore.
La preghiera dei discepoli nasce dunque anzitutto dall’esempio di Gesù. La comunità, in quanto comunità di credenti, si pone soprattutto, sull’esempio di Gesù, come comunità orante e così diventa anche provocatoria e genera l’interrogativo: come pregare? Come incontrarsi e dialogare con Dio? Una richiesta di insegnamento, una richiesta di evangelizzazione.
Forse la richiesta dei discepoli nasce anche dal desiderio di rispondere a coloro che li sollecitavano ad avere un proprio patrimonio di prassi e di parole di preghiera
Le introduzioni di Luca e Matteo ci permettono di cogliere la novità qualitativa della preghiera di coloro che hanno di fronte a sé l’esempio di Gesù di Nazaret, riconosciuto Cristo e confessato Signore. Ed è la preghiera di colui che sintetizza tutto nella semplice espressione “Pater”, “Abba”, “Padre”.
In quel “Padre”, c’è tutto l’atteggiamento esistenziale del Figlio, nel momento stesso in cui si affida al Padre. Riconoscendo Dio come Padre, egli definisce e pone se stesso nell’atteggiamento del Figlio. E quindi, come colui che tutto riceve dal Padre, egli si sente interamente “dono” del Padre e lo ringrazia, per questo, nell’amplesso ineffabile dello Spirito Santo.
L’invocazione “Padre!” è dunque anzitutto un’invocazione di riconoscenza che nasce dall’aver constatato la propria situazione di Figlio.
“Abba!” è l’esplicitazione di una figliolanza che è propria di Gesù di Nazaret il quale è per natura Figlio di Dio; ma ciò che era proprio di Gesù è divenuto proprio di tutti coloro che sono stati battezzati; in lui tutti abbiamo ormai il diritto di essere, e perciò di sentirci e comportarci come figli.
La prima richiesta è:
“Sia santificato il tuo nome”.
Questo congiuntivo esortativo indica l’atteggiamento umile del credente, quasi volesse dire: non sono in grado, io, di dichiarare santo il tuo nome, perché il tuo nome è già stato dichiarato santo attraverso le tue opere. Infatti chi può “santificare” o “dichiarare santo se non Dio stesso?
Venga allora la tua regalità:
“Venga il tuo regno”.
Si diffonda nel mondo la regalità di un Dio che si prende cura dell’uomo, non lo abbandona, ma dimostra con i fatti che non sono la morte e la corruzione l’ultima parola per la creatura, ma la vita e l’immortalità.
Si espanda dunque questa tua regalità sul mondo. E’ un augurio sul mondo, ma un augurio che riguarda anche le persone che pregano, quasi volessero dire: Noi siamo i tuoi servi, ma tu fa che dentro di noi possa regnare tu solo e nessun altro, perché tu sei l’unico capace di estrarre la vita dalla morte, come hai liberato Israele tuo popolo dall’Egitto, come hai liberato Gesù tuo figlio dai legami della morte, come hai liberato le genti dall’idolatria.
Luca è molto più sintetico di Matteo, probabilmente perché è un uomo più capace, dal punto di vista letterario, ma forse anche perché ha intuito che in queste semplici espressioni
Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno
c’è già tutto.
Eccoci alla seconda parte della preghiera insegnata da Gesù:
“Dacci ogni giorno il nostro pane…”
Donaci il pane che dà sostanza, quello che ci fortifica al punto che noi possiamo avere forze sufficienti per arrivare a domani. Questo pane è certamente Gesù anche se in questa richiesta vi è un implicito ed evidente riferimento alla manna del deserto. Dunque abbiamo bisogno giorno dopo giorno di ricevere dal Padre il dono del pane, quello composto di acqua lievito e farina, ma anche il dono di Gesù, pane rivelato a Betlemme e preannunziato dalla manna ricevuta dai padri nel deserto.
E’ la presenza di questo pane in noi che ci dà la possibilità di scoprire la necessità di una coerenza fra le cose e i rapporti che si stabiliscono sulla terra e quelle che si verificano in cielo.
Un esempio concreto di questa necessaria coerenza lo abbiamo subito nella richiesta della remissione del nostro peccato.
“Perdona a noi i nostri peccati”
Luca, più chiaro di Matteo, non parla di “debiti”, ma di “peccati”. Sembra voglia suggerire un collegamento particolare. E cioè che la presenza del pane, la presenza di colui che è il pane, crea in noi anche la disponibilità al perdono, permettendoci di chiedere perdono al Padre. Il dono del pane, segno di riconciliazione e di condivisione, dà inizio ad un movimento che, partendo dal Padre, provoca, nel medesimo istante in cui apre il cuore alla confidenza filiale, la consapevolezza di un’apertura altrettanto fiduciosa verso i fratelli. Ci rendiamo così conto che non possiamo avere due pesi e due misure: uno quando siamo noi a chiedere perdono e un altro quando siamo noi a dover perdonare. Nasce così l’impegno a un comportamento che noi definiamo cristiano.
L’ultima invocazione dice
“Non abbandonarci alla tentazione”
In questa invocazione è implicita la consapevolezza della propria fragilità. La vita è una continua tentazione, ma si può resistere e vincere nella misura in cui abbiamo il pane sostanzioso e sostanziale. Nella richiesta del pane c’è quindi anche la richiesta di essere fortificati.
E’ commovente sottolineare che perfino Gesù, nel Getsemani, è dentro questa situazione di debolezza, di fragilità, e ha bisogno della forza che viene dal Padre per poter sostenere la lotta e vincere la tentazione. Un’indicazione per noi: se lui ha chiesto la forza che viene dall’alto, quanto più dobbiamo chiederlo noi il pane che viene dal Signore, il pane che è il Signore.
Prendiamo ora in esame la parabola dell’amico importuno che è necessario contestualizzare all’interno del mondo palestinese del tempo di Gesù, dove i rapporti umani sono importanti, dove l’amicizia è uno degli elementi fondanti della società e dove altrettanto importante è l’esercizio dell’ospitalità.
Arriva un amico a mezzanotte e chiede tre pani perché è arrivato un altro amico e non ha cosa mettergli davanti. Il pane da mettere davanti all’ospite non può essere un rimasuglio, deve essere abbondante, questo indica il numero tre.
L’amico è importuno perché viene a mezzanotte. La notte è pero anche il tempo in cui più alta è la necessità del viandante, del pellegrino. E’ un momento pericoloso anche per il padrone di casa, infatti solo se l’amore è veramente grande e l’amicizia intensa si apre la porta a qualcuno a mezzanotte. Ed è partendo da questa generosità personale che ci si aspetta che anche l’amico importunato si comporti allo stesso modo. Ci si aspetta che la fiducia dimostrata all’amico viandante provochi, con la forza dell’esempio anche l’amico importunato.
Luca sembra quasi divertirsi nel descrivere un Dio duro di cuore perché vuole insistere sulla necessità della richiesta ripetuta. Ci dà anche un’altra indicazione: l’esortazione a rapportarci con Dio con la stessa fiducia ma anche con la stessa ingenuità dei bambini. Soltanto un bambino è talmente ingenuo da non capire che certe cose in certi momenti non dovrebbe chiederle o farle.
Sveglia la mamma di notte, sicuro che lei risponderà. Dio è disponibile come quella mamma.
L’ultima parte della nostra pagina non fa altro che sottolineare questa dimensione paterna e materna di Dio che la parabola aveva già fatto intravedere. Ci sono simboli, che vogliono evidenziare una corretta visione delle cose da chiedere a Dio, perché Dio non dà né ciò che è inutile né ciò che è nocivo all’uomo; e dunque non dobbiamo scandalizzarci se noi chiediamo qualche cosa e poi non la otteniamo. Dobbiamo semmai chiederci se ciò che abbiamo chiesto a Dio era davvero utile e importante, o non, invece, stupido e dannoso.
Dunque se chiedete correttamente, se chiedete il bene, se chiedete la vita, certamente la otterrete:
“Io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarò aperto”
Sono tutti passivi divini “vi sarà dato”, “vi sarà aperto”. Da chi? Dal Padre.
L’apertura della porta è sicura perché solo apparentemente l’interlocutore è duro di cuore.
Ecco ora la bellissima parabola del rapporto tra padre e figlio:
“Chi di voi se un figlio gli chiede un pesce gli darà una serpe”
Il senso è chiaro. Se Dio viene riconosciuto come Padre e voi vi rapportate a lui da figli che chiedono al Padre, potete mai pensare che Dio non si comporti come si comporterebbe qualsiasi padre di questo mondo?
“O se gli chiede un uovo gli darà uno scorpione?”
La sottolineatura di Luca è proprio su questa necessità di chiedere ciò che è utile per la vita, chiedere il pesce chiedere la vita nuova.
Sono due riferimenti molto antichi, simbolici. Il termine pesce (ichys in greco) nella tradizione cristiana successiva, sarà indicato come termine sintetico della definizione stessa di Gesù: Gesù, Figlio di Dio, Salvatore. Il simbolo dell’uovo è altrettanto pregnante di significati. Richiama la prima generazione del mondo. Anche adesso noi simbolizziamo nell’uovo la nascita della nuova vita.
La sintesi di tutti i beni da chiedere è il dono dello Spirito Santo
“Se dunque voi cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli…”
Cioè voi non date senza discernimento, e vorreste che il Padre del cielo fosse meno prudente di voi?
Qui sta anche l’invito a capire bene che cosa intende Gesù quando promette l’esaudimento da parte del Padre.
Se vogliamo davvero ottenere quel che chiediamo non ci resta che chiedere la cosa buona per eccellenza: lo Spirito Santo. E saremo esauditi. Luca aggiunge fra le righe che lo Spirito Santo viene concesso solo a chi chiedendolo ammette di averne bisogno. Dio non impone mai un dono, lo propone, ma lo dà soltanto a chi lo chiede con cuore sincero.
Fonte:www.figliedellachiesa.org/
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