padre Gian Franco Scarpitta, "Il trinomio di fede - amore - accoglienza"

 Il trinomio di fede - amore - accoglienza
padre Gian Franco Scarpitta  

XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (21/07/2019)

  Visualizza Lc 10,38-42
Una certa frase di Giovanni Papini in un certo senso coglie nel segno quando si parla di accoglienza e di ospitalità: “Il mondo antico non conosce l'Amore. Conosce la passione per la donna, l'amicizia per l'amico, l'ospitalità per il forestiero.” Accogliere chi viene a trovarci, soprattutto quando si trovi ramingo o in difficoltà, è in ogni caso opera lodevole che guadagna dei meriti e non fa perdere la ricompensa, tuttavia non è opera completa quando si omette l'amore e la dovuta attenzione. Restando in linea con la liturgia della scorsa settimana, diremmo che accogliere e ospitare i pellegrini e i forestieri è un modo di farci “prossimi” a coloro che vengono a trovarci, rendendoci loro vicini e immedesimandoci nella loro condizione di imbarazzo e di disorientamento. Ed è esattamente in questo che consiste l'accoglienza era e disinteressata: immedesimarci empaticamente nell'altro che ci chiede ausilio, compartire le sue difficoltà e farle nostre e, ferma restando la debita prudenza e discrezione, nulla omettere nell'esercizio della caritatevole accoglienza. L'episodio del Samaritano che si china sul povero malcapitato percosso quasi a morte per esercitare premurosa assistenza nei minimi particolari, ci sospinge a farci “prossimi” a tutti coloro che in tutti i modi chiedono di essere assistiti e rifocillati; il che si verifica in coloro che ci chiedono ospitalità o che si fermano a pranzo da noi.

Quello che chiedono i nostri ospiti è perlopiù attenzione e premura. Chiunque si sia trovato a casa d'altri avrà avvertito che non basta avere la disponibilità di un letto o di un posto a tavola per sentirsi a proprio agio: quando manchi sufficiente calore umano, sorriso, attenzione e disponibilità da parte del padrone di casa si può anche essere rapiti dalla fretta di andar via. Accogliere vuol dire infatti mettere l'altro a proprio agio, entrare in empatia, gioire della sua presenza, condividere e donarsi.

Accanto alle posate e alle asciugamani va comunicata vanno comunicate serenità e gioia quale segno di stima e chi viene ospitato deve avere l'impressione di essere sempre un dono e fugare la minima idea di dare fastidio. Sinonimo di accoglienza è costruire dei ponti, non dei muri, diceva il compianto Don Gallo.

Ma appunto per questo occorre che la si eserciti facendoci prossimi agli altri e questo è il costitutivo dell'amore. Se non si ama, non si è mai solidali né accoglienti perché non si sarà mai in grado di essere prossimi a coloro che usufruiscono della nostra attenzione.

Le letture di oggi ci ragguagliano ulteriormente che nell'ospitalità vi è un trinomio indissolubile e irrinunciabile di fede - amore - accoglienza che rende qualitativo l'agire di chi accoglie.

"Non dimenticate l'ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo." (Eb 13, 2). L'autore della Lettera agli Ebrei, mentre da' questa bella esortazione, fa riferimento all'episodio delle querce di Mamre, quando nell'ora più afosa del giorno ad Abramo si presentano tre sconosciuti che chiedono assistenza e ospitalità. Questi li accoglie e li rifocilla con tutte le premure, ma non si accorge che si tratta del Signore e dei due angeli. Dio che si presenta in incognito, secondo una certa interpretazione come Dio in Tre Persone (la Trinità) che vive in se stesso la comunione e tende a coinvolgervi anche il suo servo (Abramo) nella stessa richiesta di carità e di attenzione. Dio viene in incognito, ma il gesto solidale di Abramo si qualifica come un atto di fede, che lo porta a vedere oltre l'apparenza: chiunque siano quei viandanti sconosciuti certamente rappresentano il Signore, poiché Questi è solito a volte presenziare nel forestiero e nel pellegrino. La fede però non deve mai restare sterile o racchiusa in se stessa, ma esplicarsi in concrete opere di amore che la attualizzano e allora si traduce in opere di carità come quelle dell'attenzione e della premura.

Famosissimo e degno di nota poi è l'episodio della vedova di Zarepta che accoglie lo sconosciuto Elia intravvedendo in lui la presenza di Dio, non importa chi questi sia; si attiene alla sua parola ed esegue immediatamente ciò che lui indica senza esitare e per questo ottiene poi la ricompensa della risurrezione del figlio ammalatosi e poi deceduto.

Cosa rimprovera invece Gesù all'amica Marta di cui è ospite a pranzo, quando le rivolge l'obiezione che Maria ha scelto per sé “la parte migliore che non le sarà tolta”? Certamente non condanna l'efficienza del suo operato di cuoca e la premura servizievole con cui si prodiga per lui. Di questo Gesù è anzi molto riconoscente. Forse però Marta, a differenza della sorella Maria, ha omesso di considerare chi è esattamente Colui che sta per deporre le gambe sotto il suo tavolo; probabilmente omette di porsi all'ascolto o almeno di considerare la Parola del Signore che scaturisce dagli insegnamenti di Gesù. Potremmo dire che i due personaggi femminili esagerano ciascuna in senso opposto poiché Marta è costantemente orientata nel fare e trascura l'ascolto e l'attenzione e Maria al contrario trascura l'operatività per dedicarsi solamente all'ascolto. La vita contemplativa infatti, anche nei monasteri claustrali più rigidi, non è mai disgiunta dalla vita attiva e l'espressione “Ora et labora” della regola di Benedetto è stata all'origine della trasformazione della cultura europea: "Contemplata aliis tradere" è il vecchio motto dei saggi. E tuttavia Gesù non può che dare maggiore risalto all'elemento della Parola di Dio che sgorga dalle sue labbra, perché in tutto il contesto questa è in effetti la “parte migliore”. L'ascolto della Parola è infatti la condizione essenziale per cui l'accoglienza non trascuri la carità; la contemplazione, la preghiera e l'interiorità sono elementi irrinunciabili perché tutte le azioni che svolgiamo siano eloquenti in qualità ed edificanti per tutti coloro che incontriamo sul nostro cammino, compresi gli ospiti e i pellegrini.

Ancora una volta siamo di fronte alla certezza che l'accoglienza e l'ospitalità debbano avere valenza qualitativa oltre che operativa e non possono non essere un riflesso della nostra fede. Chi agisce nella consapevolezza che in quel momento sta accudendo il Signore non fa' che esercitare un vero atto di fede che si tramuta nella concretezza delle azioni non senza la prerogativa dell'amore e del donarsi di cui sopra.

Fonte:www.qumran2.net/


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