don Luciano Cantini,"Con le maniche rimboccate"
Con le maniche rimboccate
don Luciano Cantini
XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (11/08/2019)
Visualizza Lc 12,32-48
Dov'è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore
“Va' dove ti porta il cuore” è un romanzo di Susanna Tamaro che è stato un best seller nel 1994... il problema che ha evidenziato quest'epoca definita post-moderna è proprio quello di lasciarsi condurre dai sentimenti come se l'umano personale sentire fosse l'unico metro di misura della realtà e della storia. Ma il cuore va dove lo si mette e sta a noi decidere dove. Gesù ci dice che il cuore abita dove è il tesoro della nostra vita, sapere dove stia il vero tesoro non orienta automaticamente il cuore. Il nostro cuore fatto per l'infinito è invece posseduto dalle cose che crede di possedere.
L'evangelista Luca ci mostra Gesù che sta camminando con i suoi discepoli verso Gerusalemme, verso la sua Pasqua di morte e risurrezione, e in questo cammino li educa confidando loro quello che Lui stesso porta nel cuore, gli atteggiamenti profondi del suo animo. Tra questi atteggiamenti vi sono il distacco dai beni terreni, la fiducia nella provvidenza del Padre e, appunto, la vigilanza interiore, l'attesa operosa del Regno di Dio. Per Gesù è l'attesa del ritorno alla casa del Padre. Per noi è l'attesa di Cristo stesso, che verrà a prenderci per portarci alla festa senza fine (Papa Francesco 11.8.2013).
Se attendiamo il Signore dobbiamo superare i nostri timori e spogliarci di tutto ciò che consideriamo come necessario, le cose non garantiscono la salvezza. Noi non attendiamo qualcosa: attendiamo Qualcuno!
Siate pronti
È il futuro che ci attende che illumina e dà senso al presente: dimentico del passato e proteso verso il futuro, dice san Paolo (Ef 3,13), e ancora, riferendosi ai nemici della Croce: essi, che hanno come Dio il loro ventre, si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi, tutti intenti alle cose della terra. La nostra patria invece è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo (Ef 3,19-20).
Tutto il nostro operare deve mirare all'incontro con il Signore, così come il Signore che mentre si avvicinava il tempo in cui sarebbe stato tolto dal mondo, Gesù si mise risolutamente in cammino per andare a Gerusalemme (Lc 9,51).< L'immagine della parabola è semplice: l'attesa è descritta dalla operatività, le vesti strette ai fianchi e le lampade accese. Le ampie vesti dell'epoca impediscono i movimenti se non vengono strette e rimboccate, le lampade ad olio hanno bisogno di cura affinché lo stoppino consumandosi non affoghi e si spenga.
Non possiamo lasciarci appesantire da ciò che non è essenziale, né vivere nella paura che quello che abbiamo venga sottratto e portato via. Non possiamo essere “distratti” da altre priorità, ma vigili per cogliere il passaggio del Signore, che avviene come quando meno ce lo aspettiamo nel mezzo della notte o prima dell'alba.
A ogni celebrazione eucaristica diciamo con solennità: “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell'attesa della tua venuta”. Domandiamoci quale è il senso di questa attesa, se è vissuta nella fede e nella speranza e come è resa concretamente operativa. L'attesa dovrebbe trasformarsi in un servizio d'amore perché, come diceva don Tonino Bello, “attendere è l'infinito del verbo amare”.
E passerà a servirli
È inaudito che un padrone al rientro da una festa di nozze, di notte, non chiede di essere servito ma si mette a servire. Nella parabola è il padrone che si fa servo dei suoi servi per il solo fatto che li ha trovati svegli e operativi, siamo al di fuori delle logiche e delle prospettive umane.
Ma proprio è questa astrusità ci dice che siamo di fronte non a una esperienza umana ma a qualche cosa di assolutamente divino. Dio sta rivelando la dimensione del suo cuore, le follie che è disposto a compiere un cuore che ama. C'è qualcosa di incredibile in questa parabola: a coloro che attendono il Signore nella operosità, sarà lui che li farà mettere a tavola (letteralmente li farà giacere) per poi servirli. Solo l'uomo libero si corica per mangiare, il servo dopo aver compiuto il suo dovere si siede col piatto sulle ginocchia. Il Signore capovolge ogni situazione ci mette nella condizione di libertà per poi servirci. Noi non siamo capaci di servire fino in fondo, di far sentire gli altri dei signori, persone libere perché liberate, Dio invece sì. Questa è la sua “follia”, il Signore chi chiede di essere folli delle sue stesse follie perché per raggiungere il Regno dove siamo diretti, se non sapremo vivere secondo queste follie saranno guai, ma se ci lasciamo coinvolgere saremo beati.
Fonte:www.qumran2.net
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