FIGLIE DELLA CHIESA, Lectio XIX Domenica del Tempo Ordinario
XIX Domenica del Tempo Ordinario
Lun, 05 Ago 19 Lectio Divina - Anno C
I primi tre versetti che la liturgia di oggi ci propone sono in realtà la conclusione di un lungo discorso sapienziale che Luca ha svolto in precedenza. In essi risulta evidente la centralità del termine “elemosina”. Questo termine può avere diversi significati: Giovanni Crisostomo identificava l’elemosina con l’olio che le cinque vergini prudenti, a differenza delle vergini stolte, avevano portato in vasetti accanto alle lampade (cf. Mt 25, 1-13), sottolineando che l’elemosina è proprio la tenerezza del cuore continuamente in veglia secondo l’affermazione del Cantico dei cantici:
“Mi sono addormentata, ma veglia il mio cuore”. (Ct 5,2)
L’elemosina è proprio l’immedesimazione dell’uomo con la tenerezza di Dio: da una parte l’uomo si sente amato e dall’altra risponde all’amore con l’amore. La tenerezza di Dio depositata nel cuore del discepolo diventa il suo tesoro più prezioso, perché ha un valore straordinario. Il discepolo dimora tranquillo là dove è il suo tesoro, identificato col cuore, al quale fa continuamente da guardia perché non venga portato via nulla da nessuno (cf. v. 34). La tenerezza tende poi a traboccare verso gli altri nella forma di un’attenzione delicata verso chi è povero, piccolo, bisognoso.
Analizziamo ora i contesti biblici dei versetti che seguono: il primo è quello di una celebrazione di nozze, il secondo è quello del servizio, il terzo è quello del giorno del Signore o, meglio, dell’ora del Signore.
Nel capitolo 5 del Cantico dei cantici (Ct 5,2-6) e nel capitolo25 del vangelo di Matteo (Mt 25,1-13) vi sono espressioni che possono aiutarci a capire il senso che si nasconde nel testo.
Il contesto è del tutto simile. Viene sottolineata l’importanza della “veglia”; occorre restare con gli occhi aperti. Una veglia che però è misteriosa, perché può comportare anche la presenza del sonno. Lo abbiamo visto nel Cantico e anche nella parabola delle dieci vergini. In che cosa consiste questa veglia che può andare insieme al sonno fisico? E’ certamente la veglia del cuore. Conosciamo già la strettissima connessione posta da Luca fra tesoro e cuore: dove sta il tuo tesoro, là sta anche il tuo cuore (cf. v.34)
Se il tesoro è il Signore, allora il Signore abita con tale intimità nel cuore che, nonostante le tantissime cose che si possono fare non si è comunque separati da lui.
Il dormire fisico non contraddice necessariamente la veglia interiore. Nulla di strano dunque che si possa e si debba dare al corpo tutto ciò che ad esso appartiene senza dimenticare che c’è una realtà più profonda vissuta dalla veglia nutrita dalla tenerezza.
Se proseguendo nella lettura, teniamo conto del testo del Cantico dei cantici, sfondo del nostro approfondimento, dovremmo concludere che se il cuore veglia nonostante il sonno del corpo, appena bussa lo sposo, la sposa immediatamente risponde (cf. Ct 5,2). Cosa che però stranamente non succede nei Cantico (cf. Ct 5,3). Infatti, solo quando la sposa si rende finalmente conto – ci ha messo un po’ di tempo a svegliarsi – che è il suo diletto a bussare, si alza dal letto, ma ormai è troppo tardi, perché quando apre la porta lui non c’è più se ne è andato (cf. Ct 5,5-6).
Il messaggio che se ne ricava è tutto contenuto nell’avverbio “immediatamente”. L’ autenticità della veglia del cuore è dimostrata dall’immediatezza della risposta al tocco dell’amato: se non c’è immediatezza egli passa e va oltre.
Probabilmente è proprio questo il messaggio di Luca, aggiungendo che l’immediatezza nella risposta è più facile averla se “le vesti sono strette ai fianchi e le lampade accese” (cf. v. 35)
Che cosa significhino “le vesti strette ai fianchi” lo possiamo verificare dal contesto di Giovanni 13,4 dove indicano certamente la disponibilità al servizio. Non ci sono tempi intermedi. Troviamo la congiunzione della vita contemplativa e della vita attiva: il tocco dello sposo presuppone nella sposa la costante presenza delle due dimensioni.
Questo è ciò che Luca si attende dal discepolo. Adesso si può capire meglio il senso del “state pronti” e in che cosa consiste questo essere pronti: nell’avere “le vesti strette ai fianchi e le lampade accese” (v,35). La veste stretta ai fianchi diventa infatti sinonimo di disponibilità al servizio mentre le lampade accese stanno per “fuoco del cuore” o “veglia del cuore”. Ora si possono comprendere meglio anche i versetti che seguono 36 e 37.
L’espressione stringersi la veste ha un significato molto profondo e comporta una disponibilità tale al servizio da essere la manifestazione più chiara dell’autenticità dell’amore che si prova nel cuore.
Gesù si attende che i suoi discepoli abbiano proprio questo tipo di atteggiamento. Essi infatti saranno beati se vivranno l’attesa appunto con quella particolare disponibilità al servizio che manifesta l’autenticità dell’amore.
Luca aggiunge che quando il Signore constata questo tipo di disponibilità è talmente pieno di gioia che va fuori di sé e capovolge tutto, facendosi da padrone servo per onorare il servo, come se fosse lui il padrone. (cf vv.37-38)
Il contesto dei due versetti che seguono è quello del giorno del Signore. Se prima l’avverbio immediatamente era legato alla permanente veglia del cuore, adesso, nella seconda parte del brano, lo stesso avverbio greco ha piuttosto la connotazione di improvviso, come quando noi diciamo all’improvviso. Per far capire questa diversa comprensione dell’avverbio, Luca utilizza la metafora del ladro, che viene all’improvviso, quando meno te l’aspetti, e approfitta del tuo sonno per derubarti.
Bisogna ora sottolineare il riferimento al Figlio dell’uomo che va inteso secondo il libro di Daniele, cioè con allusione al giudice degli ultimi tempi, colui che sarà incaricato di pesare le nostre opere, per verificare l’autenticità della fede e quindi anche l’autenticità dell’amore.
Il giorno del Signore è quello in cui verrà amministrata la giustizia, in cui il Signore darà a ciascuno secondo le sue opere. E’ un giorno terribile per chi ha cancellato il ricordo del padrone, mentre sarà glorioso per chi si è ricordato del padrone e della sua Parola e l’ha messa in pratica stringendosi le vesti ai fianchi per servire la casa.
“Se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa” (v.39) L’insistenza è sull’ora, come se la veglia consistesse nell’avere sempre davanti agli occhi il momento dell’arrivo inteso come il giorno del rendiconto. Il ritardo può prolungarsi per secoli o addirittura per millenni, ma l’indicazione rimane valida sempre: agite come se stesse per arrivare da un momento all’altro.
La seconda parte (vv. 41-48) si apre con una domanda di Pietro che chiede se questa parabola debba o no essere interpretata con valore universale.
In realtà si tratta di un commento sapienziale alle affermazioni già fatte e alla parabola sintetica del padrone di casa che sta per venire. L’interrogativo di Pietro permette però di cogliere meglio la dimensione dell’insegnamento di Gesù, che apre all’universalità. In un certo senso serve a chiarire l’identità della comunità dei discepoli mettendoli in relazione con l’intera umanità.
Per capire meglio il testo può giovare il confronto con Mt 25,31-46. Attraverso questo confronto noi possiamo stabilire chi sono i noi e chi sono i tutti, concludendo facilmente che questi ultimi sono tutti i popoli. La risposta implicita alla domanda di Pietro è dunque che sia quelli di dentro che quelli di fuori saranno giudicati con lo stesso criterio.
Il criterio con cui si potrà individuare un amministratore che sia fedele e saggio, all’interno della comunità dei discepoli, è la sua concreta disponibilità a mettersi al servizio di tutti. Colui che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro riceverà l’investitura corrispondente al suo comportamento tenuto nel tempo della prova.
Da qui la beatitudine dei vv.43-44.
Nella comunità di Luca sembra che questo debba essere ritenuto un testo fondante. Di conseguenza in essa non si seleziona chi è più intelligente o chi è più affarista, ma chi sa mettere insieme la veglia del cuore e la disponibilità del servizio. Lo stesso principio dovrà valere per giudicare se colui che è stato incaricato per svolgere un determinato servizio lo ha compiuto o meno secondo le attese del padrone: vv.45-46.
Non basta dunque aver superato la prova. Occorre la perseveranza in quella stessa disponibilità al servizio che aveva convinto il Signore all’inizio. Infatti se invece di proseguire a servire con fedeltà, si approfitta dell’incarico ricevuto per trasformarlo in dominio, sottomettendo a sé gli altri invece di servirli, il Signore stesso si sentirà provocato e non potrà fare a meno di punire chi si è rivelato della stessa pasta dei servitori infedeli.
Il modo in cui si compiono i diversi servizi all’interno della comunità dei credenti è dunque caratterizzato da timore e tremore perché.… v.46.
La conclusione è, a sua volta, molto sapienziale: v.48
La responsabilità è infatti direttamente proporzionale alla consapevolezza. Un principio grandemente liberante anche se non autorizza a restare ignoranti.
Fonte:www.figliedellachiesa.org/
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