FIGLIE DELLA CHIESA, LECTIO XXII Domenica del Tempo Ordinario Anno C
XXII Domenica del Tempo Ordinario
Lun, 26 Ago 19 Lectio Divina - Anno C
Siamo alla XXII Domenica, la Domenica “dell’ultimo posto” ed un insegnamento nuovo e sconvolgente viene proposto dal Signore: “Chi si umilia sarà esaltato”. La vera sapienza per l’uomo sta nel riconoscere che la sorgente della sua dignità non sta nelle sue costruzioni umane, ma nel mistero del suo essere che ha origine in Dio e a lui tende.
Un insegnamento che Gesù propone durante un banchetto al quale era stato invitato. Il banchetto infatti, come si usava ai suoi tempi, era un’occasione per discutere insieme su di una virtù o su di un gran personaggio. Le discussioni erano talvolta interessanti ma più spesso piene di snobismo e di inutili discorsi. Gesù dunque accetta di partecipare a uno di questi ricevimenti ma non si attiene al protocollo che regola questo genere di conviti e con la sua Parola dà una scossa ai commensali e al padrone di casa: parla di umiltà (vv. 7-11) e chiede di cambiare la lista degli invitati convocando poveri, storpi, zoppi e ciechi (vv. 12-14). ).
Dunque le condizioni per accedere al Regno sono fondamentalmente due: l'umiltà, il porsi tra gli ultimi, e una gratuità senza confini cioè invitare poveri, storpi, zoppi e ciechi … Erano queste le categorie più disprezzate dalla comunità ebraica, perché secondo la mentalità del tempo recavano nella loro stessa carne o comunque nella loro condizione il marchio infamante della maledizione divina, tanto che già dal tempo di Samuele non potevano accedere al tempio e secondo i testi di Qumran sarebbero stati senza alcun dubbio esclusi dal banchetto escatologico del Regno di Dio. Ora Gesù afferma senza mezzi termini che proprio e solo accogliendo gente di tal fatta si potrà essere davvero beati!
Si tratterebbe di richieste veramente inaudite, incomprensibili e impossibili a realizzarsi, se Gesù stesso non ce ne avesse dato insieme la profonda motivazione e un limpido modello di vita nella sua stessa Persona, dal momento che tutto quello che ha detto prima di tutto lo ha vissuto Egli stesso!
Tutto ruota intorno a questa parola: Umiltà. Parola usata e abusata, parola che è ancora presente nel vocabolario ma solo perché è necessaria, nell’uso quotidiano, per identificare una condizione o uno stato d’animo proprio dei tempi passati. Oggi per molti è fuori moda. Antiquata. Forse dà anche un po’ fastidio. Se domandassi a varie persone cos'è per loro l'umiltà, otterrei tante risposte diverse, ognuna contenente una parte di verità, ma incomplete. Se lo domandassi a un uomo di temperamento che fa valere il proprio punto di vista con forza, forse mi risponderebbe: l'umiltà è non fare il prepotente, essere più mite e arrendevole. Se lo domandassi a una ragazza, forse mi risponderebbe: l'umiltà è non essere vanitosa, non volere attirare lo sguardo degli altri, non vivere solo per se stessi o per l'apparenza. Se lo domandassi a un sacerdote mi risponderebbe: umiltà è riconoscersi peccatore, avere un sentimento basso di se stesso. L'umiltà è la prerogativa dell'umile. Nella quotidianità esistono diversi modi di intendere la parola umiltà. Una persona umile è essenzialmente una persona modesta e priva di superbia; una persona che non si ritiene migliore o più importante degli altri.
A fronte di un malinteso concetto di umiltà intesa negativamente come propria dei deboli, perdenti e remissivi, la virtù proposta dal Maestro di Nazareth ha invece in sé una grande forza e una grande ricchezza, tanto da costituire la virtù cristiana per eccellenza, quella da cui bisogna sempre ripartire nel cammino di conversione.
“Imparate da me - dice Gesù - che sono mite e umile di cuore” (Matteo 11,29).
Essere umili è allora accogliere Dio, che si è abbassato fino a noi e si è fatto povero per arricchirci per mezzo della sua povertà, e imparare da Lui: “Chi è più grande? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Luca 22, 27).
Gesù è umile perché, “pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma si fece obbediente fino alla morte di croce” (Filippesi 2, 6-8).
Tutta la vita di Gesù è stata obbedienza al Padre, cioè riconoscimento della verità più profonda del suo essere: “La Parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato ... io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato” (Giovanni 14). Allo stesso modo Egli ci chiede di riconoscere la verità più profonda del nostro essere, che è quella di creature cui tutto è stato donato gratuitamente. La logica conseguenza è che, se “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”! (Matteo 10,8).
E che cosa potremmo mai dare, se non l'avessimo prima ricevuto?
Per questo l'umiltà evangelica non è un auto-abbassamento o un'autodenigrazione fine a se stessi, ma un fare spazio alla Parola perché possa piantare la sua tenda nel nostro cuore. Molto acutamente S. Agostino ha osservato: “Senti fratello, Dio è molto alto. Se tu sali, Egli va più in alto; ma se tu ti abbassi, Egli viene a te ...”
Come dice Papa Francesco, per un cristiano “progredire” vuol dire “abbassarsi” lungo la strada dell’umiltà per far risaltare l’amore di Dio. L’umiltà, è “uno stile che non finirà mai di sorprenderci e di metterci in crisi: a un Dio umile non ci si abitua mai!”.
Umiliazione e umiltà sono il binario su cui si muove la sequela di Cristo, l’una genera l’altra e “non esiste umiltà senza umiliazione”. Per Papa Francesco la via dell’umiltà è anche la strada di Dio, che il cristiano deve percorrere per essere santo.
Tuttavia, “essere umili non significa andare per la strada” con “gli occhi bassi”. Non è stata quella l’umiltà di Gesù, né di sua Madre o di Giuseppe. Imboccare la strada dell’umiltà fa sì, ha affermato Papa Francesco, “che tutta la carità di Dio venga su questa strada, che è l’unica che Lui ha scelto: non ne ha scelto un’altra”.
Ma l’umiltà è sorella gemella della carità, della gratuità: ecco allora il secondo punto del vangelo di questa domenica: invita poveri, storpi, zoppi e ciechi (vv. 12-14).
Vera umiltà consiste nell'essere umili con Dio ma anche con il prossimo. Non si può essere umili dinanzi a Dio, nella preghiera, se non lo si è con i fratelli. Essere umili davanti a Dio significa essere bambini, essere gli anawin biblici, cioè i poveri che non hanno nessuno su cui appoggiarsi se non Dio solo; significa non confidare né nei carri né nei cavalli, né sulla propria intelligenza, né sulla propria giustizia. E tutto questo va benissimo. Ma se tu non sei umile con il fratello che vedi, come puoi dire di essere umile con Dio che non vedi? Se tu non lavi i piedi al fratello che vedi, cosa significa il tuo voler lavare i piedi a Dio che non vedi? I piedi di Dio sono i tuoi fratelli! Come si vede, si possono dire dell'umiltà le medesime cose che Giovanni dice della carità (1 Gv 4,20).
L'umiltà che stiamo scoprendo è un bene che scende dal cielo; essa è quel “dono perfetto che viene dall'alto e discende dal Padre della luce” (Ge 1, l 7). L'umiltà evangelica non significa che tu non devi dimostrare i talenti ricevuti. La differenza rispetto al mondo è che questi tuoi talenti tu non li impieghi solamente per te stesso, per salire al di sopra degli altri e dominarli, ma li impieghi per il servizio degli altri, ciò in quanto sei nato non per essere servito, ma per servire.
Fonte:https://www.figliedellachiesa.org
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