Fra Samuele Duranti, "Impariamo la gratuità"

Impariamo la gratuità
1° settembre - XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
29/08/2019 di Samuele Duranti Sacerdote cappuccino

Un sabato Gesù era entrato in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare e la gente stava ad osservarlo. Così ha inizio il vangelo di questa domenica, che però salta i primi versetti, dove viene ricordata la guarigione di un uomo affetto da idropisia. Il Signore lo congeda per liberarlo dalle rimostranze dei suoi avversari. Gesù è giudicato male perché guarisce di sabato; stupidamente ritengono che di sabato non si debba fare nulla, neanche del bene. Assurdo. Gesù, osservato speciale, diventa osservatore speciale. Osserva come gli invitati corrono per accaparrarsi i primi posti; sgomitano e si scavalcano.

Coglie subito l’opportunità non di insegnare una norma di galateo, ma per proporre un comportamento contro l’ambizione, la competizione, la prevaricazione. Un uomo vale quanto vale dinanzi a Dio. Un po’ di umiltà piace anche a livello sociale: una persona umile è anche gradevole. Una persona superba è decisamente antipatica. Nel campo spirituale, l’umiltà è l’unico atteggiamento decente di fronte a Dio.

Figli di Dio, sì; dotati di tanti doni e grazie e però tutti gratuiti, anzi immeritati. Dio è il grande «elemosiniere», così amava chiamarlo san Francesco. «Grandi cose ha fatto in me colui che è potente», canta la vergine Maria. Dio solo è buono; è il bene, tutto il bene, il sommo bene, ragion per cui chi opera il bene è semplicemente strumento di Dio. C’è, dunque, da riconoscere e lodare l’accondiscendenza di Dio, che si serve delle sue creature. L’umiltà è la vera conoscenza di sé, la vera conoscenza di Dio.

In questa nostra società in cui l’apparire è tutto, l’umiltà viene squalificata. Eppure la storia ci insegna che si esalta è poi umiliato e chi si umilia è esaltato da Dio. Vera umiltà che è autentica povertà, perché finché uno è attaccato al proprio io, non si è espropriato di sé, non è sinceramente povero. Il discorso si fa amplissimo. Ma passiamo al secondo insegnamento che Gesù ci dona. Rivolto a colui che lo ha invitato a pranzo dice: quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, i tuoi fratelli o i tuoi parenti... perché a loro volta essi invitino te e tu abbia il contraccambio. Al contrario, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi e sarai beato, perché non hanno da ricambiarti. Riceverai la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti.

Qui Gesù fa una rivoluzione copernicana: mai si dovevano invitare a un banchetto poveri, zoppi, storpi e ciechi. Erano decisamente esclusi. Per Gesù diventano le categorie privilegiate. Scompagina tutto un modo di valutare e di operare. Diceva il Talmud: nessuno che ha una qualche deformità può accostarsi a offrire il pane del suo Dio. Con Gesù la tradizione degli antichi è frantumata. Dunque, nel primo insegnamento Gesù ci comanda l’umiltà. In questo secondo insegnamento ci comanda la gratuità e, insieme, l’universalità dell’invito. Ogni emarginazione è cancellata. Ogni gratuità è imperativamente comandata. A specchio della Provvidenza divina: l’unica che non ci fa pagare la luce, l’acqua, il riscaldamento, i frutti della terra, ogni dono e ogni bene. Impariamo!

Fonte:https://www.toscanaoggi.it


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