Dal «Discorso sulle beatitudini» di san Leone Magno, "La beatitudine del regno di Cristo"
Dal «Discorso sulle beatitudini» di san Leone Magno, papa
(Disc. 95, 4-6; PL 54, 462-464)
La beatitudine del regno di Cristo
Dopo la predicazione di una povertà oltremodo felice, il Signore aggiunge: «Beati gli afflitti, perché saranno consolati» (Mt 5, 4).
Carissimi, l'afflizione, alla quale qui viene promesso il conforto eterno, non ha nulla in comune con le tribolazioni di questo mondo. Né si tratta di quei lamenti che vengono emessi dagli uomini nel loro comune dolore. Questi lamenti non rendono beato nessuno.
Diversa è la natura dei gemiti dei santi, come pure diversa è la causa delle lacrime che meritano di essere chiamate beate.
Il dolore propriamente religioso è quello che piange o il peccato proprio o quello degli altri. Né si duole perché questo male è colpito dalla giustizia divina, ma, se si attrista, lo fa per quanto viene commesso dalla iniquità umana.
È il caso di piangere più colui che compie le opere del male, che chi ne è la vittima, perché la malizia fa sprofondare l'iniquo nell'abisso della pena, la sopportazione, invece, conduce il giusto alla gloria.
Prosegue il Signore dicendo: «Beati i miti, perché erediteranno la terra» (Mt 5, 5). Ai miti e mansueti, agli umili e modesti, a quanti sono disposti a subire l'ingiustizia, viene promesso il possesso della terra. Né questa eredità deve stimarsi piccola o spregevole, quasi fosse separata dalla patria celeste, poiché dobbiamo intendere che questi, e non altri, entreranno nel regno dei cieli. Perciò la terra promessa ai miti, e che toccherà in eredità ai mansueti, rappresenta il loro corpo che, grazie ai meriti della loro umiltà, nella beata risurrezione verrà trasformato e rivestito di gloria immortale. Il loro corpo non sarà più assolutamente in contrasto con lo spirito, ma sarà perfettamente conforme e unito al volere dell'anima. Allora infatti l'uomo esteriore sarà possesso santo e pacifico dell'uomo interiore.
I miti allora possederanno la terra in pace duratura, senza che sia menomato alcuno dei propri diritti. «Quando questo corpo corruttibile si sarà vestito d'incorruttibilità e questo corpo mortale d'immortalità» (1 Cor 15, 54), allora il pericolo si cambierà in premio e ciò che fu di onere gravoso, sarà di onore.
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