Don Marco Ceccarelli, Commento XXVI Domenica Tempo Ordinario “C”
XXVI Domenica Tempo Ordinario “C” – 29 Settembre 2019
I Lettura: Am 6,1.4-7
II Lettura: 1Tm 6,11-16
Vangelo: Lc 16,19-31
- Testi di riferimento: Sal 49,7.14-16; Sap 2,22; 3,1; Is 55,8; Ger 9,23-24; Mt 5,22.29; 8,21; 18,9;
21,42; 22,29; Mc 8,36; Lc 3,8; 6,20.24; 12,19-20.45; 16,15-16; 24,25; Gv 5,46-47; 8,39; 13,23;
20,9; Rm 15,4; 1Cor 15,19.32; 1Tm 6,17-19; 2Tm 3,15-16
1. Il brano odierno di Vangelo è in qualche modo una continuazione di quello della domenica precedente, visto che ha a che fare ancora con le ricchezze e soprattutto con il tema dell’esito della nostra esistenza. Infatti il centro non sta tanto nelle ricchezze quanto nella sapienza che occorre avereper saper gestire bene la propria vita, compreso ovviamente i beni materiali. È l’ormai noto tema del
saper vivere, del saper fare la cosa giusta, del discernimento necessario per entrare nella vita, nella
felicità; quella vita e quella felicità che rimangono in eterno. E ancora una volta si presenta questo
insegnamento sotto forma di un contrasto, rappresentato dai personaggi della parabola. I quali, in un
certo modo, visibilizzano cosa significhi “Beati voi poveri … guai a voi ricchi”.
2. La parabola dei sei fratelli.
- La parabola odierna viene chiamata di solito la “parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro”;
però … Innanzitutto va notato che l’unico nome che appare nella parabola è quello del povero. Il
nome del ricco non c’è; “epulone” non è un nome, ma un aggettivo (proveniente dalla versione latina, che usa il termine epulabatur, cioè “faceva festa”) che indica il comportamento del ricco, il suo
stile di vita, cioè il “mangiare, bere e divertirsi” di cui si parla anche in altre parabole di Lc (vedi testi di riferimento). Questo ricco rappresenta evidentemente coloro che vedono in questo stile di vita
– nel godersi al massimo i beni materiali, tutte le gioie di questo mondo – la realizzazione del loro
desiderio di felicità, senza preoccuparsi di guardarsi intorno. Perché, se si guardassero intorno, vedrebbero che la vita è ben diversa da quel paradiso artificiale in cui essi pensano di isolarsi. Se ci
guardassimo intorno ci accorgeremmo che il mondo è pieno di miserie (cfr. anche prima lettura) e
che il paradiso non sta certamente qua. Ma egli pensa che ciò sia quello che l’essere umano debba
fare per essere felice.
- Il povero invece ovviamente non ha scelto come stile l’essere povero e piagato; ci si è trovato. Però il suo nome Lazzaro, cioè Eleazar, vuole suggerire qualcosa di importante, dato che nessun altro
personaggio di parabola viene mai indicato per nome. Esso significa “Dio aiuta”; e in qualche modo
sta ad indicare l’atteggiamento di questo uomo d fronte alla vita e ai tormenti che subisce. È l’atteggiamento di uno che, pur subendo, pur soffrendo, non perde la sua fiducia in Dio e mette tutto,
anche il suo desiderio di giustizia, nelle mani di Dio. È una raffigurazione di quei “poveri” che in
Lc 6,20 Gesù dichiara beati in quanto possessori del regno di Dio. Il vero povero nella Scrittura è
colui che ha posto tutta la sua vita e la sua fiducia in Dio, rinunciando a farsi giustizia da solo, sapendo che Dio provvede.
- La parabola ci dice che il comportamento del ricco viene giudicato sbagliato. Ma qual è esattamente la sua colpa? La stessa dei suoi cinque fratelli che vorrebbe salvare: non “ascoltare Mosè e i
profeti” (vv. 29.31). Per salvarsi, per dare alla sua vita un esito positivo, avrebbe dovuto ascoltare
(cioè seguire, obbedire a) la Rivelazione. E in cosa consiste la rivelazione di Mosè e i profeti, cioè
di tutta la legge? Amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta le forze, e il prossimo
come se stessi (Dt 6,5; Lc 10,27); perché è facendo questo che si entra nella vita (Lc 10,28), non
creandosi paradisi artificiali. Per questo non serve dire “abbiamo Abramo per padre” (Lc 3,8; Gv
8,33.39), ma occorre “compiere le opere di Abramo” (Gv 8,39), che consistono nell’ascoltare (ubbidire a) Dio, perché non c’è che un solo Dio. Il ricco della parabola aveva pensato che si sarebbe
salvato ugualmente perché è figlio di Abramo (16,24.25.27.30). Egli rappresenta quei ricchi a cui
Gesù dice “guai perché hanno già la loro consolazione” (Lc 6,24; vedi anche prima lettura). Al con-
trario del povero Lazzaro, il ricco è colui che confida in se stesso, è dio di se stesso. Se non si ascolta Dio che ci parla attraverso la Scrittura nessun miracolo sarà sufficiente per salvarci, nemmeno
quello di un morto che risuscita. Può sembrare strano, ma non sono i miracoli che convertono, che
cambiano veramente la vita di una persona. Tant’è vero che dopo la risurrezione di Lazzaro (l’unico
altro Lazzaro nei Vangeli!) il sinedrio, nonostante avesse visto ciò che era successo, decise di uccidere Gesù (Gv 11,47-52). Tant’è vero che dopo la risurrezione di Gesù stesso sono rimasti nelle loro posizioni.
3. Il ribaltamento delle sorti.
- La descrizione dei due personaggi è volutamente “estremistica”. Uno è estremamente ricco; l’altro
estremamente povero. La prima situazione è quella che appare maggiormente invidiabile; la seconda quella maggiormente deprecabile. Sono i due massimi di quanto normalmente si desidera o si
aborrisce. Si tratta del primo e ultimo posto nella scala dei desideri umani. Il riferimento al banchetto richiama l’episodio di Lc 14,7-11 e la parabola di Lc 13,25-30. Il ricco e il povero finiranno però
per trovarsi in condizioni opposte. Anche nella seconda situazione si ha a che fare con un banchetto
(il “seno di Abramo” indica il posto di onore al banchetto celeste; cfr. Gv 13,23). Due considerazioni:
a) La logica del regno non corrisponde a quella umana. O meglio: il modo umano di valutare la
realtà non corrisponde alla logica di Dio. Nei regni umani sono beati i ricchi e maledetti i poveri;
nel regno di Dio è il contrario. I pensieri e le vie di Dio non sono i nostri (Is 55,8). Quello che è
esaltato davanti agli uomini è detestabile davanti a Dio (Lc 16,15). Lo sbaglio del ricco è lo stesso
dei suoi fratelli, quello di non essersi curato di capire cosa è importante o detestabile per Dio. La
Legge e i Profeti ci permettono di conoscere e imparare la logica di Dio e di conformarci ad essa
prima che sia troppo tardi.
b) La parabola è una delucidazione di quanto affermato in Lc 6,20-25: «Beati voi poveri perché vostro è il regno di Dio … Guai a voi ricchi perché avete la vostra consolazione». La beatitudine e il
guai non si riferiscono alla situazione attuale, ma a quella futura; si riferiscono all’essere entrati o
no nel regno. C’è una differenza e un contrasto fra un “adesso” e un “dopo”. La differenza fra prima
e dopo la morte sta nel fatto che la prima situazione non è definitiva, mentre la seconda sì. La sapienza sta nel saper cogliere ciò che è passeggero e ciò che è definitivo. Il regno di Dio è l’unica cosa che rimane; tutto il resto passa. Occorre essere capaci di non lasciarsi ingannare da quello che
appare al presente. Occorre entrare ora nel seno di Dio, confidando in Lui e non nelle cose umane;
chi è nelle mani di Dio non ne verrà rapito (Sap 3,1). Ma il ribaltamento si realizza nella vita definitiva che non è questa. Nonostante i tanti paradisi artificiali che ci creiamo, il paradiso su questa terra
non esiste. Il paradiso, la beatitudine eterna sta soltanto nella vita futura. Ed è di quello che ci dobbiamo preoccupare. Chi vuole qui il paradiso, il benessere, il compimento del regno, lo cercherà in
altre cose. Il paradiso sta dopo la morte. Se abbiamo avuto speranza in Cristo solo per questa vita
siamo da compiangere più di tutti (1Cor 15,19). La ricompensa è dopo la gara.
- L’ingresso nel regno è dato dal giusto modo di vivere, non dall’appartenenza al popolo eletto. Occorre fare le cose giuste nel tempo giusto. Ci sarà un momento in cui sarà troppo tardi. Le cose giuste sono quelle che corrispondono alla volontà di Dio. Nella nostra parabola essa è indicata da “Mosè e i Profeti”. Chi non è disposto ad obbedire non cambia vita nemmeno vedendo i più grandi miracoli. Se uno crede e obbedisce a Mosè e ai profeti, crederà anche in colui che con la sua morte e
resurrezione è il compimento definitivo di Mosè e i profeti.
4. In definitiva il vero povero è Gesù. Il suo nome, che significa “Jahvè salva” è molto simile a
quello di Lazzaro. Gesù andava ai banchetti, entrava nelle case dei ricchi, mangiava con peccatori,
faceva festa. Egli è colui che davanti all’unzione della donna di Betania si rivela come il povero per
eccellenza che sta per andare a soffrire una morte ingiusta, senza far ricorso a una difesa umana, ma
ponendo tutta la sua fiducia in Dio.
Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it
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