Don Paolo Zamengo, "Dio rovescia i potenti dai troni e innalza i miseri "
XXVI DOMENICA TEMPO ORDINARIO “C”
Dio rovescia i potenti dai troni e innalza i miseri Lc 16, 19-31
Gesù presenta la scena di un'assurda contiguità fra due situazioni umane perfettamente contrapposte. Un uomo molto potente e ricco: vestiva solo cose preziose e rare e faceva ogni giorno un banchetto suntuoso. Per lui non esisteva la ferialità della fatica che caratterizza la vita di tutti gli uomini: era sempre festa, con tutte le esagerazioni e gli sprechi. Quest’uomo non ha nome: è ‘ricco’. La sua identità gli è stata rubata dalle ricchezze. È ridotto ad esse. Non si vede l'uomo ma i suoi soldi.
Proprio alla porta del ricco giaceva (era gettato, letteralmente) un povero. Di lui, invece, si dice subito il nome: Lazzaro. Ha un'identità e un gran valore presso Dio per il suo essere povero. Gli sarebbe bastato qualche avanzo della super tavola del ricco, ma il racconto fa capire che non gli davano nulla, tanto che erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Uno accanto all'altro: colui che non poneva limiti all'esagerazione e colui che non era trattato neppure come una bestia. Sarebbe bastato un nulla. Per il ricco che aveva e spendeva era più difficile evitare di lasciare qualcosa al povero che concederglielo. Non si tratta solo di una chiusura di cuore: ma è la voluta e ostentata discriminazione dell'altro. Negandogli addirittura di essere povero e quindi un uomo.
Se in questa prima parte della parabola Gesù denuncia la situazione di iniquità e di violenza provocata dal potere e dal denaro, nella seconda parte Egli annuncia il completo rovesciamento che avviene nella vita dopo la morte, cioè in Dio.
Il ricco si ritrova nei tormenti degli inferi, mentre Lazzaro vive beato fra le braccia di Abramo. È la rivelazione di ciò che Dio accoglie e ciò che, invece, disapprova. Abramo, al ricco che pretendeva che Lazzaro gli portasse il minimo di sollievo, che lui gli aveva negato per tutta la vita, gli dice: “Ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni; ma ora in questo modo Lazzaro è consolato, tu invece sei mezzo ai tormenti”.
Non è la rivalsa o la vendetta di Dio. Piuttosto ci dice che quello che siamo e abbiamo ha senso solo se ce ne serviamo per far paradiso già qui sulla terra: attraverso la condivisione e la cura verso gli altri. Se alla fine, cioè in Dio, resterà solo l'amore, cosa rimarrà a chi, pur vivendo di esagerazione e di sprechi, non ha voluto condividere nemmeno le briciole con il povero Lazzaro?
La risposta di Abramo è lapidaria: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E ancora: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”.
Per Gesù non ci sono scuse: la coscienza della fede è data dall'ascolto della parola di Dio. Chi la legge veramente e la mette in pratica non può rifiutarsi al povero, non può mostrargli la violenta esibizione della sua ricchezza goduta e non condivisa, nemmeno nelle briciole.
Non si può brandire il Vangelo: si deve, invece, ascoltare e imparare dal Vangelo ad aprire la porta e la mano. Se no, la disapprovazione del Signore bussa alle nostre porte.
Il credente non lancia condanne in nome di Dio, ma denuncia un mondo ricco che rifiuta il povero, perché, in Dio, le cose saranno completamente rovesciate.
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