FIGLIE DELLA CHIESA, Lectio XXVII Domenica del Tempo Ordinario

XXVII Domenica del Tempo Ordinario
 Lun, 30 Set 19  Lectio Divina - Anno C


Nelle sue istruzioni ai discepoli e alle folle che lo seguono lungo la strada, Gesù ha ripetutamente parlato delle dure esigenze che comporta il seguirlo. Ora non c’è più un discorso sulle esigenze del vangelo, cioè sulle cose da lasciare e sugli impegni da assumere, ma alcune parole sulle condizioni che le rendono possibili e sulle modalità che le devono accompagnare. Queste sono due: la fede e l’umiltà. Per avere il coraggio di seguire Gesù occorre la fede, e se Dio ti dà il coraggio di seguirlo non vantartene.

Anche la prima lettura anticipa il tema della necessità della fede. Il profeta Abacuc, all’inizio del suo libro, eleva un lamento a Dio per la situazione di ingiustizia in cui vive, a motivo del trionfo indisturbato degli empi. Una prima risposta di Dio, non riportata nella lettura, consiste nella promessa di inviare l’esercito (babilonese) che di fatto sarà un castigo per gli empi.

Ma il profeta, non contento di questo, insiste nell’interrogare Dio e nell’invocare il suo intervento. La nuova risposta è, in un traduzione letterale: “Ecco, è gonfiata, non è giusta la sua anima in lui, il giusto, invece, per la sua fede vivrà”. Questa seconda risposta si riferisce a una verità che vale sempre: l’obbedienza a Dio fa vivere ed è una verità tanto certa che Dio la fa mettere per iscritto, anzi, la fa ‘incidere’ su tavole, perché questa parola abbia la stabilità propria dello scritto e chi ne ha bisogno possa continuare ad alimentarsi ad essa.

v.6: La richiesta sembra un aumento di quantità di dono da parte del Signore che garantisca i risultati dell’azione degli apostoli. La risposta equivale a dire che non è questione di quantità ma di autenticità della fede. La fiducia nell’aiuto divino e l’aiuto divino stesso, quando ci sono, operano le cose che sembrano le più difficili.

Non è questione di poca o tanta, ma di fede autentica o falsa. La fede autentica poggia in Dio e non dubita del suo aiuto, quella falsa poggia sull’io e teme di non riuscire nei risultati voluti: si chiederebbe a Dio un supplemento di potenza.

Il verbo aumentare può essere anche tradotto con ‘accordaci’ la fede. È strano questo discorso dell’aumento della fede. Dopo, il Signore dice: ‘se aveste fede quanto un granello di senapa’. Si potrebbe mettere questo versetto 9 in relazione con Mt 13,31 e a quanto si dice a proposito del Regno dei cieli: (‘il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa. [..] Esso è il più piccolo di tutti i semi, ma una volta cresciuto è più grande degli altri legumi...). La nostra fede ha nel granello di senapa la stessa dimensione del Regno di Dio.

La dimensione del granello di senapa non è la dimensione minima richiesta, ma la dimensione massima richiesta. Questo testo è di grande speranza: il vangelo va in un’altra direzione. La dimensione di piccolezza che la chiesa vive è in realtà la dimensione necessaria che il vangelo ci chiede.

La fede, che nulla ha a che fare con una riserva di certezze rassicuranti, è una realtà che non teme le domande né disdegna di essere interrogata, anzi, lo richiede. Proprio della fede è di configurarsi come atto di libertà e di amore che coinvolge tutto l’uomo, avendo egli eletto Cristo come senso ultimo della sua esistenza. La fede è il grato arrendersi a Cristo, è fare spazio a Lui nella nostra esistenza. La fede è un movimento di progressiva (e sempre parziale) assimilazione del soggetto credente al soggetto creduto (Gesù Cristo); la fede ha in sé una dinamica pasquale: è atto di amore e resurrezione. Attualizza in noi la morte e resurrezione del Signore.

E forse il rischio grande della fede è credere l’amore (1Gv 4,16); la fede cristiana è sempre, in radice, credere all’amore di Dio per noi. Credere nell’amore di Dio è rischio, perché si deve affrontare la non evidenza di tale amore. Avere fede è credere il paradosso, che il crocifisso, l’appeso al legno, il maledetto dalla legge santa, lo schiavo è il Messia, è il salvatore del mondo, è la diretta rivelazione della potenza e della sapienza di Dio.

Il paradosso della fede (credere l’incredibile) è il paradosso dell’amore (amare il non amabile, il nemico) e della speranza (sperare contro ogni speranza) cristiani.

La fede si manifesta come coraggio: il contrario della fede non è l’ateismo, ma la paura e la schiavitù a cui la paura assoggetta l’uomo. Con l’ascolto della parola di Dio la fede si immette nella vita di Cristo e ci guida al coraggio di testimoniare, di perseverare e di morire. Di fronte alla morte la fede diviene capacità di testimoniare che il regno del Dio vivente è più forte del regno della morte, che la parola di Dio è più forte del silenzio della morte, che l’amore di Dio è più forte della morte.

È significativo che Gesù dia questa risposta agli apostoli che gli hanno chiesto: “aumenta la nostra fede”. Come dire che ne abbiamo bisogno purché ce ne aggiunga un poco. Invece sembra che la risposta voglia dire che per riuscire ne basterebbe ben poca, un granello di senapa. Il centro non è tanto sulla quantità della fede, ma sulla dimensione di chi ha fede. Non si dice di avere poca fede, ma si dice di avere la fede di chi è piccolo, come il granello di senapa. Il piccolo ha fede. L’affermazione non è: se aveste fede potreste sradicare il gelso; l’accento è posto sul granello di senapa: se avete fede (il verbo è al presente, quindi indica una realtà) quanto qualcosa di molto piccolo, allora potrete sradicare i gelsi. Per questo è così difficile per noi che siamo grandi o che cerchiamo di esserlo. Siamo chiamati ad avere la fede dei piccoli, la fede di coloro che non possono che fidarsi del Cristo.

Non possiamo contare su nient’altro: solo su Te. Chi sono allora i cristiani? Quelli che stanno davanti al Padre come un granello di senapa sta davanti al mondo. La parabola che segue conferma questa affermazione, mettendo in evidenza la piccolezza del servo nei confronti del suo padrone. Solo una fede da piccoli può essere abbandono e obbedienza in qualcuno di più grande; solo una fede da piccoli ci consente di riconoscerci servi inutili di un padrone al quale dobbiamo la nostra vita. Una fede diversa da questa ci porterebbe all’autosufficienza davanti a Dio, al credere di poter contare su qualcosa davanti a Dio: sulla nostra fede, appunto.



v.9: Aver fede significa diventare disponibili a Dio, ascoltare la sua parola così profondamente da venirne trasformati, essere “trasparenti” alla sua volontà. Chi crede, dunque, non crea ostacolo alcuno all’azione di Dio, non l’offusca, la lascia passare.

La fede lascia passare sempre e solo l’azione di Dio attraverso di noi; non costringe Dio a fare quello che vogliamo noi ma permette a noi di fare quello che vuole lui. Lo si vede bene dalla piccola similitudine del servo che, dopo aver faticato e arato tutto il giorno, rientra a casa.

Dopo aver servito tutto il giorno diventerà forse padrone la sera? No; egli rimane pur sempre servo. Può sembrare umiliante questo modo di immaginare il rapporto con Dio; e si tratta invece di un rapporto liberante. Vediamo perché. Supponiamo che il nostro servizio fosse “necessario” per la salvezza del mondo; non ne rimarremmo bloccati?

Ogni impegno diventerebbe un esame pauroso, ogni errore si muterebbe in tragedia; siano rese grazie a Dio per il fatto che la salvezza del mondo non dipende da una cosa così fragile e variabile come la nostra volontà. D’altra parte, se non avessimo da servire, se dovessimo solo stare a braccia conserte in attesa della salvezza di Dio, la nostra vita diverrebbe meschina, senza sapore.

Invece possiamo e dobbiamo lavorare, ma con la libertà di chi sa che il suo lavoro è assunto e valorizzato da un Dio che è più grande di lui. Che il nostro lavoro venga qualificato “inutile” vuol dire solo che su di esso non possiamo fondare pretesa alcuna; che non possiamo contrattare con Dio la sua risposta al nostro impegno.

La fede è la tecnica per imparare a servire Dio nel modo giusto. Chi la usa, permette a Dio di operare attraverso di lui e diventa perciò strumento della salvezza di Dio. E siccome Dio vuole la salvezza, chi ha fede introduce con il suo comportamento una forza di salvezza nel mondo.



v.10: Si può leggere questo testo come un testo centrato sulla figura di Gesù, in continuità con il granello di senapa: lui è il granello di senapa. C’è un cibo che è fare la volontà di Dio, c’è un cibo da preparare per chi di noi accetta di avere un servo. C’è un servo che ci prepara da mangiare, che ci rimbocca la veste, che ci serve. Il servizio che il servo (Gesù) ci rende è un servizio che non ci fa sentire obbligati, è un servizio che ci libera. E questo dovrebbe essere il servizio che ognuno di noi è chiamato a svolgere. Siamo schiavi non necessari, cioè non arrechiamo profitto. Siamo coloro che, non arrecando profitto, servono unicamente per dono.

Fonte:https://www.figliedellachiesa.org


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