padre Gian Franco Scarpitta "Il senso vero delle cose terrene"

 
Il senso vero delle cose terrene
padre Gian Franco Scarpitta 
XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (22/09/2019)



 Visualizza Lc 16,1-13
Tutte le volte che incombe un periodo di prosperità e di benessere non mancano le occasioni per deupaperare il prossimo attraverso attività illecite e disoneste; chi è già ricco tende ad accrescere la propria sicurezza materiale approfittando di chi è povero e non di rado si sfruttano a proprio vantaggio le classi meno abbienti. Oggi come ai tempi del profeta Amos (VIII sec). Questi si trova a denunciare misfatti e raggiri in un'epoca relativamente privilegiata quanto ai guadagni, condanna gli strozzinaggi a scapito dei più deboli, gli intrallazzi e le truffe per mezzo di stadere e bilance false. Oltre all'atteggiamento vergognoso dei reprobi commercianti e affaristi, il profeta fondamentalmente rivolge un altro atto di accusa formale: la ricchezza è veicolo di ingiustizia anziché strumento di carità e di solidarietà. Ci si dedica infatti ai soprusi e ai raggiri anche approfittando del “boom” economico e dell'abbondanza economica che sembrano legittimare ignominiosi atti; ci si concentra sui propri interessi trascurando quelli degli altri e peggio ancora ci si arricchisce sulla pelle dei più deboli e se Amos parlava in una situazione storica assai difficile e compromessa come quella del 750 a C., il suo messaggio ha il suo riverbero ai tempi attuali, visto che il nostro secolo soffre di simili gravami di scorrettezza morale.

Quando si è al sicuro grazie al benessere e alla prosperità, prevale sempre l'egoismo e vanto dei propri diritti; la ragione economicamente opulenta e sviluppata rivendica l'indipendenza e l'autonomia per non compartire con il resto della Nazione e quel che è peggio a fare le spese di tante ingiustizie sono sempre le classi povere ed emarginate.

Al contrario, nei luoghi di miseria e di sottosviluppo, la penuria e la fame accrescono il senso di solidarietà e chi è povero viene in aiuto a chi se la passa peggio di lui.

Gesù argomenta nel suo Vangelo nella forma ancora più convincente: l'unica ragione che possa legittimare la ricchezza, il possesso, il guadagno è la carità e la condivisione con gli altri.

“Procuratevi amici con la disonesta ricchezza”, esclama Gesù a conclusione del suo messaggio parabolico sull'amministratore disonesto, che tuttavia era stato capace finalmente di provvedere al proprio guadagno personale e contemporaneamente di accattivarsi l'amicizia dei clienti. Per “disonesta” qui si intende “ricchezza mammona di iniquità”, frutto cioè di angherie, raggiri e compromessi. L'invito di Gesù non è quello di dedicarci a nostra volta ad attività illecite o a mettere in pratica la disonestà e l'insolenza, ma ad adoperare la stessa intraprendenza con cui certuni sono disonesti per compiere del bene. Adoperare insomma la ricchezza in senso opposto a quanto prescrive il mondo e la società corrotta, donando quanto abbiamo, esercitando la carità, l'amore e la solidarietà e così farci degli “amici” che ci dischiuderanno l'ingresso verso il Regno di Dio. Gli amici sono infatti i poveri, gli afflitti e i sofferenti, tutti coloro che adesso sono vittime di questo sistema ingiusto e prevaricatore, ma che ci chiameranno in causa al momento del giudizio. Occorre che ci associamo a loro, che guadagniamo la loro fiducia per non incappare nella condanna, quindi che adoperiamo i beni materiali a loro beneficio. In un'altra occasione Gesù rivolge in tal senso un invito ancora più esplicito: “Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma. Perché dov'è il vostro tesoro, là sarà il vostro cuore.”(Lc 12, 33 - 34)

Il vero senso della ricchezza è quello di essere utile a chi ha bisogno e il ricco ha una sola possibilità di salvarsi e di guadagnare la vita, adesso e nell'eternità: la condivisione e la carità e per ciò stesso l'identificazione del bene con tutto ciò che non è corroso dalle concupiscenze di questo mondo. Il potere e la ricchezza finalizzate a se stesse diventano occasione di idolatria del “dio mammona” che non ha compatibilità con la vera divinità che al contrario vuole salvarci da ciò che è deleterio per noi stessi oltre che per gli altri.

Se ci è lecito interpretare i piani di Dio, probabilmente potrebbe essere questa la ragione per cui si assiste con ansia alla discrepanza fra ricchi e poveri, intendendo questa sia nel senso globale delle relazioni fra le Nazioni sia nella concretezza dei singoli individui e delle famiglie: tutto quello che si possiede, anche quando sia frutto di lavoro legittimo e decoroso non ci appartiene ma ci è stato dato affinché ne partecipiamo a chi soffre e a chi versa nella necessità. Come diceva un Padre della chiesa, il denaro che teniamo nascosto con cura appartiene al bisognoso e all'ignudo il mantello che teniamo nel baule. Tutto è cioè finalizzato al bene di quanti non possiedono e coloro che godono di ricchezze, ne possiedono esattamente il quantitativo che spetta a chi soffre.

San Francesco di Paola diceva che “il denaro è il vischio dell'anima”, che corrode e consuma in vista della dannazione. La carità è l'acido muriatico che dissolve la viscosità.

Fonte:https://www.qumran2.net


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