Don Paolo Zamengo, "Dove abbonda il peccato sovrabbonda la grazia"


XXX Domenica Tempo Ordinario “C” 

Lc 18, 9-14
Dove abbonda il peccato sovrabbonda la grazia

La parabola del fariseo e del pubblicano la conosciamo da tempo, non ci
sorprende e non abbiamo difficoltà, almeno così ci sembra, a
comprenderla. E per nessuna ragione di questo mondo vorremmo essere
dalla parte del fariseo. La parola stessa ci è quasi un’offesa.
Invece al tempo di Gesù “essere del gruppo dei farisei” era sinonimo di
serietà e di rigore. Il gruppo era composto da uomini ebrei ferventi, zelanti
custodi della legge, e, per questo, avevano diritto a un trattamento di riguardo. Ma è proprio
quella posizione di favore, quella pretesa di considerazione, che Gesù mette in discussione.
Al fariseo fervente, Gesù preferisce il pubblicano che è consapevole del suo peccato ed è talmente
sprofondato nel pentimento che non osa neanche più levare gli occhi al cielo. Pertanto, solo il
pubblicano diventa giusto agli occhi di Dio e non il fariseo.
Noi crediamo di condividere e approvare la lezione di Gesù. Ma ci vorranno molti anni prima che le
parole di Gesù cambino realmente la nostra vita. Se ascoltiamo attentamente il nostro cuore ci
accorgiamo che continuiamo a ragionare come il fariseo, mettendoci in prima fila come lui e ci
sforziamo in mille modi di sfuggire all’ultimo posto del pubblicano.
Ad aprirci gli occhi sono proprio i giudizi che esprimiamo sugli altri, se non ad alta voce per lo
meno nel nostro cuore. Tutti i santi giorni e perfino quando siamo in chiesa, come il fariseo, ci
convinciamo che, grazie a Dio, noi non siamo come loro. Lo confermiamo e ce ne rallegriamo.
Siamo molto lucidi nel trovare la pagliuzza negli altri ma siamo incapaci di vedere la trave nel
nostro occhio.
Ma non basta ammettere questa ipocrisia. È necessaria la mano di Dio. Nel suo grande amore
finirà per darci questo aiuto e ci farà retrocedere dalla prima fila, nella quale spesso ci troviamo
accanto al fariseo, per spingerci in fondo, con il pubblicano.
È proprio questa l’operazione più dolorosa alla quale la misericordia di Dio deve sottoporci. Ed è
allo stesso tempo la più necessaria. Un giorno ci sveglieremo nelle vesti del pubblicano peccatore
e non crederemo ai nostri occhi. E faremo fatica ad accettare l’evidenza e continueremo a evitare
il confronto con gli altri, con la realtà e anche con Dio.
Ma Gesù non può risparmiaci questo brutale risveglio. Bisogna proprio che un giorno arriviamo a
metterci dalla parte e al posto del pubblicano, che è l’unico buono, il solo che interessa a Gesù.
Beati noi se lo faremo: sarà la nostra salvezza. Perché là dove non c’è il peccato non c’è neanche
posto per la grazia. E Dio non saprebbe più per quale via penetrare nella nostra vita. “Dio
manifesta il suo amore verso di noi in questo: mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto
per noi” (Rom 5,8).
Invece “dove abbonda il peccato, sovrabbonda anche la grazia” (Rom 5, 20). Ed è proprio da qui,
dal peccato perdonato, che la grazia può diffondersi tra noi, nella comunità, tra gli uomini,
trasformandosi in rispetto, accoglienza, comprensione, perdono, infinita e reciproca misericordia.
Noi non siamo mai tanto fratelli come quando ripetiamo insieme la preghiera che viene e verrà
sempre esaudita, che è quella del pubblicano: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.


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