FIGLIE DELLA CHIESA, LECTIO DIVINA, XXX Domenica del Tempo Ordinario

XXX Domenica del Tempo Ordinario
 Lun, 21 Ott 19  Lectio Divina - Anno C


“Benedirò il Signore in ogni tempo. Io mi glorio nel Signore: i poveri ascoltino e si rallegrino”. La XXX Domenica del Tempo Ordinario può darci tutto lo slancio di entusiasmo che assaporiamo dalle parole del Salmista. Egli infatti benedice, si gloria ed esulta perché riconosce che l’agire di Dio è davvero incredibile e sconvolgente. È un agire che non guarda alle apparenze o alle compiacenze, ma che opera e fa venire a galla la verità. Per noi, cristiani per bene, che ci accostiamo a questa liturgia, risuona forte il richiamo ad ascoltarci e a combattere la buona battaglia del discernimento di ciò che facciamo prevalere nel nostro cuore: l’arroganza e la superiorità del fariseo o l’umile riconoscimento di quello che si è del pubblicano. Disponiamoci allora ad ascoltare in questa domenica, qual è la buona notizia che il Signore ci comunica e dove ci chiama a conversione.

v.9: “Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri”. Questo versetto presenta un’iniziativa di Gesù per esplicitare la domanda provocatoria che Egli stesso, poco prima, aveva formulato: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà ancora fede sulla terra?”. Il Regno di Dio è dove ci sono persone che desiderano il Signore, lo amano e lo seguono, per cui se amiamo come lui il Padre e i fratelli, siamo nel Regno di Dio. La fede è proprio il desiderio di questa comunione nella preghiera col Signore. La parabola è dunque rivolta a chi confida in se stesso perché si sente giusto, ma il confidare in se stesso è il primo peccato fondamentale, è il presumere in se stesso, vivendo in questa logica: “Io sì, gli altri no”. Il risultato del ritenersi giusto è annullare le persone intorno a se, creando vuoto intorno e ci fa mettere sul piedestallo per farsi vedere. La caratteristica di questo atteggiamento è proprio annullare l’altro, in greco c’è: “nientificavano”. Il giusto è colui che dice: gli altri sono tutti sbagliati, io ho ragione, io sono a posto, io sono salvo!

v.10: "Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano”. La parabola comincia con “due uomini”, che fanno la stessa azione: salgono al tempio a pregare. Possiamo allora comprendere che c’è un luogo dove io posso accorgermi con che modalità mi relaziono agli altri è la relazione con Dio. È la preghiera, dove coltivo la mia relazione con Dio, che mi permette di capire come sto impostando la mia vita, in che direzione la sto orientando: verso il dono di me, o verso la custodia di tutto ciò che è mio? È interessante notare che possiamo fare anche la stessa azione buona, in questo caso pregare, in un modo distorto, o in un modo giusto. E senza dubbio questa cosa ci spiazza! Troppe volte infatti i cristiani cosiddetti praticanti pensano di aver essere per così dire apposto solo perché adempiono i precetti, ma il Signore non guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore (Samuele). Inoltre questa considerazione ci ammonisce e ci fa comprendere che posso fare anche la cosa più mondana del mondo: mangiare, bere, divertirsi nel modo più divino, come dice Paolo: Sia che mangiate, sia che beviate, qualunque cosa altra facciate, fatela per amore di Dio, nel nome del Signore. Ed è tutto buono.

L’evangelista sottolinea che uno è fariseo: fariseo, cioè “separato” e l’altro è pubblicano, con una connotazione negativa appunto perché collaboravano con gli oppressori, con i romani. Oggi diremmo che uno è un bravo cattolico, impegnato in tutti i sensi, e l’altro invece è un po’ uno che non ha niente a che vedere con la religione, che il suo desiderio è far soldi, divertirsi. Inoltre potremmo avere la tentazione di pensare: “chi maggiormente mi rappresenta? Mi sento più nei panni del fariseo o più nei panni del pubblicano?”, e in questo modo perdo di vista un aspetto importante della parabola che Gesù racconta. Infatti l’obiettivo non è identificarsi in una categoria piuttosto che un’altra, ma riconoscere che queste due figure sono presenti in ciascuno di noi, e si annidano nel nostro cuore come protagonismo o come nascondimento. Il lavoro da fare è allora scorgere dove si è annidato il protagonismo, a scapito del necessario nascondimento.

vv.11-12: “Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: "O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo". Alcuni traducono lo stare in piedi del fariseo con “stava ritto in piedi davanti a sé e pregava così”: è diritto davanti a sé, è diritto davanti al suo “io”, non davanti a Dio. La sua preghiera non ha come orizzonte il dialogo e la relazione con Dio, ma soltanto la sua glorificazione. Tuttavia l’apice di questa preghiera sta nel ringraziamento. Ringraziare è senza dubbio il modo più alto di preghiera, tanto che Gesù ci lascia l’Eucaristia come culmine e fonte di ogni relazione con Dio, eppure anche questa forma altissima di preghiera, perde totalmente di significato quando ha come unico scopo l’elenco delle mie, delle nostre bravure. C’è un’incredibile elenco di cose che il fariseo fa in più, che non gli spettavano secondo le indicazioni legali, eppure il fariseo le adempie in modo scrupolosissimo, anzi si impegna facendo di più e così poter allungare la lista delle cose con le quali può chiedere meriti a Dio. Ecco: il peccato sta proprio qui, nell’appropriarsi di doni che non sono nostri e farli diventare il luogo della nostra massima lontananza da Dio. Ma c’è anche un ulteriore aspetto che ci riguarda da vicino. Dietro l’elenco dei propri meriti, si nasconde un’insidia pericolosa, ossia l’immagine di un Dio che devo tener buono con le mie opere, trattenendolo dal farmi del male. È come dire: vedi? Sono stato bravo, ho fatto anche di più di quello che mi hai chiesto! Ma allora adesso sei tu che devi dare qualcosa a me…quanto la nostra relazione con Dio si nutre di questi ricatti! Quanto è forte l’idea che il Signore premia solo i buoni e allora la salvezza è qualcosa da conquistare con le proprie forze, a forza di braccia! “Questa concezione del merito, nella religione, è l’origine della idolatria, perché uno non adora Dio ma satana, il Dio cattivo; ed è anche dell’ateismo che dice: quel Dio non esiste. E ha ragione. E guardate che c’è dentro in ogni persona, addirittura anche l’ateo pensa a Dio così, tant’è vero che lo rifiuta. È la conversione tremenda che ha dovuto fare Paolo, dalla legge al Vangelo, che non è mai compiuta neanche nel cammino personale di un credente serio” (S. Fausti).

vv.13-14: “Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: "O Dio, abbi pietà di me peccatore". Io vi dico: questi, a differenza dell'altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato". Il pubblicano, al contrario, neppure osa alzare gli occhi al cielo e si batte il petto, si sgonfia, è colui che poi riesce a passare per la porta stretta, perché non si vanta e accoglie la sua verità, la verità di se stesso che ha visto di fronte a Dio. Questo è un aspetto senza dubbio innegabile: chi conosce se stesso non giudica nessuno, è umile (ossia humus, “uomo”, “umano”) e può conoscere anche Dio. Il volto di Dio davanti al quale il pubblicano si prostra è un Dio che fa grazia, che è amore, che è misericordia, che non è uno che va guadagnato, che ha compassione di me. Ma allo stesso tempo egli comprende anche la sua identità: è il peccatore.

Come abbiamo sottolineato, è davanti a Dio che sale dal nostro cuore la modalità con cui ci relazioniamo a Lui e ci rivela che volto di Lui abbiamo. La domanda allora che la liturgia oggi ci fa porre è: da che spirito è mossa la mia preghiera? È la preghiera, il dialogo con Dio che mette a nudo la verità del mio rapporto con il Signore e con la via che Egli mi indica per amarlo. La buona notizia che oggi risuona per me, per te che stai leggendo sta nella possibilità di smascherare quella parte di me che pensa di poter guadagnare l’amore di Dio, ma allo stesso tempo mi chiede di riconoscere e accogliere la parte più fragile di me, la parte che sento più lontana da Lui, perché Egli possa guarirla.

Che non ci accada di cadere in un doppio peccato: quello di formulare così la nostra preghiera: “O Dio, ti ringrazio che non sono come questo fariseo…”!

Fonte:https://www.figliedellachiesa.org


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