padre Gian Franco Scarpitta "Gratitudine espressione della fede"
Gratitudine espressione della fede
padre Gian Franco Scarpitta
XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (13/10/2019)
Si prosegue nella pedagogia gesuana sulla fede iniziata nella scorsa Domenica, con l'aggiunta che questa in tanti casi può anche esprimersi in atti di umiltà e di riconoscenza, poiché chi crede non solamente si affida alla Parola di Dio ed è pronto ad adempiere il suo volere anche nelle difficili circostanze, ma è anche propenso a ringraziare e a mostrare gratitudine a Colui nel quale si crede e deliberatamente ci si affida. Già il primo episodio di questa liturgia esprime la gratuità del dono di Dio e la necessità di dover essere umili per mostrargli gratitudine. Il generale Naaman, ottenuta la purificazione dalla malattia di lebbra avvenuta nell'immersione nelle acque del Giordano, vuole omaggiare il profeta Eliseo esprimendo con questo stesso gesto la consapevolezza che la sua guarigione è avvenuta ad opera del Signore e non grazie alle qualità terapeutiche delle acque fluviali. Esprime quindi la sua fede nell'unico vero Dio che gli si è manifestato mediante questo prodigio così singolare e irripetibile, che non ammette la possibilità che esistano altre divinità. La fede nell'unico Signore capace di tali prodigi non deve però escludere la dovuta riconoscenza per il beneficio ottenuto e infatti quella è l'intenzione del regalo che Naaman fa' ad Eliseo: in questi riconosce l'uomo di Dio e per suo tramite desidera ringraziare Colui di cui annuncia la Parola. Eliseo rifiuta il dono per un atto di fede altrettanto importante: anche se dobbiamo sempre essere riconoscenti al Signore, Questi agisce sempre gratuitamente a nostro vantaggio e del resto non vi è dono adeguato ad esprimere la nostra riconoscenza nei suoi confronti. Umiltà, fede e gratitudine si intrecciano in questo episodio dell'Antico Testamento, che è uno dei tanti in cui Dio dimostra la sua onnipotenza e grandezza per ricompensare i meriti dell'uomo.
Non dimenticare i benefici con cui Dio ci tratta è un'esortazione che ci proviene dal Salmo 103 (“Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare i suoi benefici”) e riconoscere Dio equivale sempre a ringraziarlo anche quando mettiamo a raffronto tutto quello che noi abbiamo con quello che altri non hanno: espressione della fede è infatti rendere lodo ogni giorno a Dio per i benefici che ci vengono concessi, primo fra tutti la vita, il risveglio, la possibilità di ammirare il panorama e di interagire con gli altri, tutti privilegi che altri perdono improvvisamente a causa di inaspettate malattie anche letali; credere in Lui vuol dire mostrarsi riconoscenti e grati per il sostentamento materiale che spesso abbiamo in abbondanza a dispetto di quanti mancano del necessario; ringraziare per tutti i vizi e i bagordi che possiamo concederci molto spesso sperperando il denaro che dovrebbe essere destinato a chi ha realmente bisogno. Avere fede è abbandonare i capricci e le lamentele per quanto abbiamo di superfluo e di innecessario ma di cui non ci contentiamo; evitare di lamentarci di quanto la Provvidenza ci offre tutti i giorni ricordando l'aneddoto particolare di chi si lamentava perché non aveva scarpe... finché non incontrò un uomo che non aveva piedi.
Per l'uomo di fede la riconoscenza e la gratitudine non saranno mai abbastanza, soprattutto considerando che nulla meritiamo di quanto il Signore ci concede.
Nella prospettiva del Vangelo essere grati al Signore corrisponde peculiarmente a riconoscere nel Cristo il suo Figlio, Dio fatto uomo, unico vero dono inestimabile che il Padre poteva concederci assieme allo Spirito Santo e incamminarci nelle vie dello stesso Gesù vià, verità e vita.
Quando infatti dieci lebbrosi si avvicinano a Gesù supplichevoli mentre egli attraversa la Samaria per recarsi a Gerusalemme, egli comanda loro di adempiere alle prescrizioni rituali in uso per la purificazione da questo morbo maligno: recarsi dal sacerdote per esaminare il loro caso di malattia e seguire alcune prescrizioni di purificazione ai fini di ottenere la guarigione. Mentre loro vi si recano però non è più necessario lo facciano: lo stesso Signore Gesù Cristo, che trionfa sempre sul male e sulla morte, li risana seduta stante.
Che differenza c'è fra l'unico sanato che torna indietro a lodare Dio in Cristo e gli altri nove che corrono solamente a farsi sanare dal sacerdote? Possiamo rispondere senza esitazione che essa consiste nella fede nel Figlio di Dio fatto uomo e nel riconoscimento della gratuità del dono che il Padre opera per mezzo di questi. Solamente uno, per di più Samaritano, torna indietro a esternare la propria fede nel Cristo mista a riconoscenza. Tutti gli altri, nonostante l'evidenza dei fatti, trascurano di considerare che il Regno di Dio è venuto per loro nella persona del Figlio Gesù Cristo, misconoscono la messianicità del Cristo e non fanno ritorno da lui a rendergli gloria. Il Samaritano dimostra di credere che in Cristo il dono del Padre è definitivo e gratuito, che egli stesso costituisce la vittoria sul dolore e sulla malattia e che occorre corrispondere nell'abbandono fiducioso alla totalità del dono di amore da parte di Dio, senza riserve e senza esitazioni.
La “grazia” è un intervento benefico di Dio nei confronti dell'uomo che viene data liberamente e non per obbligo. Rendere “grazie” a Dio è un'espressione di umiltà estrema con cui, anche se sempre incapaci e insufficienti, siamo in grado di esprimere la nostra riconoscenza al Signore che per noi è stato fautore di ogni grazia ed esternare così un atto di affidamento a Lui.
Non è un caso che Gesù risponde allo sconosciuto Samaritano risanato: “La tua fede ti ha salvato.”
Una fede riconoscente e umile, che omette personali autoaffermazioni e altezzose pretese.
Il Samaritano che corre da Gesù una volta risanato è forse lo stereotipo della nostra comune cultura di indifferenza e di lassismo nella quale i ringraziamenti provengono da coloro dai quali meno ci si aspetterebbe un atto di riconoscenza, come ad esempio avversari e nemici che non di rado si mostrano più solidali rispetto ai cosiddetti “credenti”.
Fonte:https://www.qumran2.net
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