Don Marco Ceccarelli, Festa di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo – 24 Novembre 2019

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XXXIV Domenica Tempo Ordinario “C”:
Festa di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo – 24 Novembre 2019
I Lettura: 2Sam 5,1-3
II Lettura: Col 1,12-20
Vangelo: Lc 23,35-43

- Testi di riferimento: Sal 22,7-9; Is 42,1; 49,7; 53,3; Lam 3,14; Dn 2,44; 7,27; Mt 12,25-29; 16,19-
20.28; 20,21-22; 25,34; 28,18; Lc 1,33; 2,26; 17,20-21.34-36; 23,38; Gv 6,15; Rm 5,17-21; 6,12-
14; Ef 2,3-8; 1Pt 2,4.9; 2Pt 1,10-11; Ap 1,5-6; 2,26-27; 5,10; 11,15
1. La festa di Cristo Re. Questa festa è, in un certo senso, la logica conclusione dell’anno liturgico
durante il quale abbiamo seguito, attraverso la lettura continuata di un Vangelo, il percorso che Cristo compie verso l’adempimento della sua missione che è quella di instaurare il regno di Dio tramite
il suo mistero pasquale. E tuttavia questa festa si può comprendere meglio se la poniamo sullo sfondo della Ascensione, dell’evento in cui Gesù risorto, vincitore della morte, viene assunto in cielo,
intronizzato alla destra del Padre, e a cui vengono sottoposti tutti i nemici. Ma in che senso Gesù,
dopo il compimento del mistero pasquale, è divenuto re di un regno eterno e universale? Non nel
senso che prima non avesse una autorità in quanto Dio. Ovviamente il Figlio di Dio, la seconda Persona della Trinità, aveva potere anche prima dell’incarnazione. Ma dal momento in cui Gesù ha realizzato il mistero pasquale, è asceso in cielo e ha donato lo Spirito Santo, appare sulla terra un regno
costituito da persone il cui re è diventato Cristo, perché Cristo regna su di loro e dentro di loro (Rm
5,17.21). Gesù è re dell’universo perché non c’è nulla su cui non abbia potere (Mt 28,18). E tale potere lo trasmette ai suoi “santi” (Dn 7,27), a quelli che appartengono al suo regno. La regalità di
Cristo si manifesta nel popolo che lui si acquistato con il suo sangue, facendo di essi un regno (1Pt
2,9; Ap 1,5-6).
2. Il Vangelo.
- La scena presentata nel brano di Vangelo odierno, in cui si descrive l’atteggiamento dei due malfattori nei confronti di Gesù, è l’ultima di tutta la lunga serie, che abbiamo incontrato nel Vangelo
di Lc, di atteggiamenti contrastanti nei confronti di Gesù e del regno. Ancora una volta l’evangelista
vuole rispondere alla domanda “cosa bisogna fare per entrare nella vita eterna?” (cfr. Lc 10,25) attraverso la contrapposizione fra due personaggi o due atteggiamenti, fra ciò che si presenta come la
vita (ma non lo è, come per esempio salvarsi dalla croce), e quello che invece è la vera vita (Cristo e
il regno presente nella sua persona crocifissa) anche se non lo sembra. Davanti a Cristo c’è chi fa la
cosa sbagliata e chi fa la cosa giusta. In questo caso la prima posizione è quella rappresentata dai
capi, dai soldati e infine dal primo malfattore, i quali chiedono a Gesù di salvare se stesso dalla croce. Il fatto è che, anche in questa circostanza come in tutte le precedenti, chi sta sbagliando sembra
invece tenere la giusta posizione. Sembra giusto pretendere che Gesù, se è il Messia, l’eletto di Dio
(23,35) salvi se stesso, o che Dio non permetta di farlo morire in quel modo. Sembra ovvio che il
Re-Messia, colui che viene a salvare il suo popolo, non debba morire in quel modo, incapace di evitare la morte. Tutti sfidano – e sfidiamo – Cristo a salvare se stesso e anche noi dalla croce. La verità invece, la giusta posizione davanti a Gesù e quindi all’ingresso nel regno, è quella del secondo
malfattore. Gesù continuerà a regnare e a ricompensare i suoi con l’ingresso nel regno anche dopo
la sua morte.
- Il vecchio Simeone contemplando il piccolo Gesù aveva detto che egli sarebbe stato un “segno
contraddittorio” (Lc 2,34), cioè non facilmente decifrabile. Molte volte hanno chiesto a Gesù di dare dei segni, ma egli non ha voluto, perché l’unico segno è lui. Per tutti gli uomini che ha incontrato
Cristo è stato un segno contraddittorio. Anche per i suoi stessi discepoli che hanno avuto grandi difficoltà a comprendere il loro maestro. Sulla croce questa contraddittorietà appare in modo sommo.
Egli è crocifisso dai nemici dei giudei, i romani, in quanto “re dei giudei”, eppure i giudei stessi lo
vogliono crocifisso. Egli è posto per la caduta e la risurrezione dei molti (2,34). Lui è la pietra
d’inciampo, davanti alla quale possiamo essere scandalizzati e quindi perdere l’occasione di essere
salvati (20,17-18). La massima contraddizione di Cristo è il suo regnare dalla croce.
- Anche in questo caso la salvezza raggiunge un peccatore. Però non è detto che tutti i peccatori
raggiungano la salvezza. Di fronte a Cristo ora non stanno un fariseo e un pubblicano, ma due identici malfattori; e tuttavia non tutti e due riescono a passare da quella porta stretta che conduce al regno (Lc 13,24). Nel secondo malfattore vediamo la conversione, il riconoscimento del proprio peccato; e lo manifesta ammettendo di meritare quella sorte. Dunque Cristo è venuto per i peccatori,
cioè per tutti, perché tutti siamo peccatori; però non tutti vengono salvati, cioè entrano nel regno,
ma solo coloro che riconoscono veramente di essere peccatori, e ne accettano le conseguenze. Il
primo segno del riconoscersi peccatori è la consapevolezza di non meritarsi niente. Chi sa di essere
peccatore sa di non meritarsi la salvezza, né per le sue opere, né per i meriti dei padri, come pensavano i giudei. Riconoscersi peccatori significa accogliere la salvezza come un dono gratuito di Dio
attraverso l’unico giusto che è Cristo. Come la donna peccatrice, come il figlio prodigo, come il
pubblicano al tempio, come il lebbroso samaritano, come Zaccheo che non poteva espiare i peccati,
ecc., anche il secondo malfattore riconosce che la salvezza è un dono gratuito di Dio, che ci viene
dato senza alcun nostro merito. Questo ci permette di entrare nel regno, cioè di essere liberati dal
peccato, di essere guariti, perché solo chi si riconosce ammalato e incapace di guarirsi, sarà disposto
ad accogliere il medico che viene a sanarlo. Proprio Gesù crocifisso è il criterio per riconoscerci
peccatori. Davanti al re crocifisso nessuno è giusto. Solo lui «non ha fatto nulla di male» (v. 41).
- Quello che Lc (come anche gli altri evangelisti) mette in luce è che la crocifissione di Cristo è una
conseguenza della sua regalità. La scritta sopra di lui indica il motivo della condanna. Cristo è condannato a morte perché re. Dietro a questa evidenza appare una realtà misteriosa. La regalità di Cristo viene rifiutata, sebbene non abbia pretese politiche. Il regno di Cristo è rifiutato non semplicemente dalla realtà politica, ma dalla realtà del male. Si tratta delle tenebre che rifiutano la luce. Nel
malfattore che inveisce contro Cristo abbiamo la conferma di questo. È “il potere delle tenebre” (Lc
22,53; seconda lettura: Col 1,13) che odia Cristo, anche se tale impero agisce attraverso i poteri
umani. È quel potere che non vuole perdere i suoi sudditi che vengono trasferiti nel regno di Cristo
(seconda lettura). Chi è dominato dal male è in potere del male, del principe del male. Eppure
dall’evento della croce Cristo ha instaurato la presenza del regno di Dio sulla terra e ha cominciato
ad avere dei sudditi, di cui il primo è il malfattore che lo riconosce re. In questo paradosso abbiamo
il mistero della conflittualità che la Chiesa suscita nel mondo. A causa della presenza del regno di
Dio i regni del mondo sentono di perdere il loro potere, la loro sovranità assoluta (cfr. Ap 11,15).
Per questo i regni del mondo, o meglio, colui che li ha in suo potere (cfr. Gv 12,31), fa guerra a Cristo. Il regno dei cieli subisce violenza (Mt 11,12), e così sarà sino alla fine dei tempi.
- Le parole di Gesù al malfattore (vv. 42-43) riprendono e rispondono alla domanda di 17,20:
«Quando verrà il regno di Dio?». Cristo viene nel suo regno oggi, nel momento in cui lo si riconosce re sulla croce. L’oggi è l’inizio del nuovo tempo della salvezza inaugurato dalla morte di Gesù.
Il secondo malfattore riconoscendo l’innocenza di Gesù riconosce implicitamente anche la sua non
resistenza al male, il suo caricarsi dei peccati degli uomini. Cristo innocente sulla croce, caricato dei
peccati dei suoi aguzzini, regna sul peccato e sconfigge il peccato sulla croce. Con la morte di Cristo in croce inizia il suo regno sul mondo, perché Gesù continuerà ad essere vivo anche dopo la
morte. Così che dove aveva regnato il peccato (Rm 5,21; 6,12) e la morte (Rm 5,14.17) regna ora
«anche la grazia con la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore» (5,21).

Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it/


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