Don Marco Ceccarelli, "La fede nelle realtà ultime."


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XXXII Domenica Tempo Ordinario “C” – 10 Novembre 2019
I Lettura: 2Mac 7,1-2.9-14

II Lettura: 2Ts 2,16-3,5
Vangelo: Lc 20,27-38
- Testi di riferimento: Gen 3,11; Sap 2,23-24; 3,1-3; 5,15; Mt 19,10-12; Lc 23,46; Gv 10,28-29;
11,25; 17,12; At 4,2; 7,59; 23,6-8; Rm 6,8-12; 14,7-9; 1Cor 15,17-19.30-32.54-58; 2Cor 4,14; 5,15;
Col 3,3-4; 2Tm 1,12; 1Gv 3,9-15; Ap 1,18

1. La fede nelle realtà ultime.
- Nell’approssimarsi dell’avvento la liturgia ci pone già di fronte ad una riflessione sulle realtà ultime; in particolare, nel brano di Vangelo odierno, sulla risurrezione dei morti. Potrebbe sembrare
ovvio e scontato che una persona credente nutra una fede nelle realtà che stanno oltre la fine della
nostra esistenza terrena. Per un credente nel Dio della rivelazione biblica ciò equivarrebbe – detto in
poche parole – alla fede nella risurrezione, nel giudizio di Dio, nella ricompensa dei giusti e nel castigo degli empi. La cosa curiosa che appare nel brano odierno è che questi Sadducei sono sì degli
uomini che credono nel Dio della rivelazione, nel Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe; e tuttavia non
credono affatto che esista una vita ultraterrena. Oltre al testo evangelico e altri passi biblici (At 4,1-
2; 23,6-8), ce ne offre una descrizione concisa, ma abbastanza chiara, lo storico dell’epoca Giuseppe Flavio: «I Sadducei escludono il destino (leggi “provvidenza divina”, ndr.) e dicono che non esiste, e che gli eventi delle realtà umane sono a nostra disposizione; ritengono infatti che tutte le nostre azioni siano in nostro potere, cosicché siamo noi stessi a causare ciò che è buono e ricevere ciò
che è cattivo dalla nostra stessa stoltezza … le anime muoiono insieme ai corpi» (Antichità Giudaiche, XIII,5,9; XVIII,1,4). Vale a dire: Dio certamente esiste e ci ha dato, attraverso Mosè, delle leggi, osservando o disobbedendo alle quali noi ci procuriamo il nostro bene o il nostro male. Insomma, i Sadducei sono persone religiose, osservanti dei comandamenti, ma non credono nelle realtà
ultime (cosiddette “escatologiche”).
- Per quanto ci possa sembrare strano, da questo atteggiamento potrebbe non essere immune nemmeno il credente in Cristo. Non è così scontato che il pio fedele che partecipa regolarmente alla
messa e che recita il credo professando la fede nella risurrezione dei morti, in realtà lo creda veramente. Già san Paolo, attraverso le sue lettere, ha dovuto ricordare alle sue chiese che per un cristiano è imprescindibile la fede nella risurrezione dei morti, nel giudizio di Dio, nella vita eterna
(vedi testi di riferimento). Si correva il rischio, e si corre tutt’oggi, di farsi una religione senza escatologia. Come i Sadducei, anche noi possiamo pensare, in fondo in fondo, che le cose ci devono andare bene qui, che l’obbedienza alle leggi divine sia in funzione dello stare bene su questa terra. In
altre parole, poiché noi siamo credenti e ci sforziamo di servire Dio come Egli vuole, allora Egli ci
deve ricompensare qui, con una vita sicura, sana, prospera, ecc. ecc. In genere questa concezione
non viene teorizzata; non si dichiara cioè esplicitamente che non si crede alle realtà ultime; semplicemente si vive e si vuole vivere come se non esistessero. Per esempio, pensiamo come sarebbero i
nostri comportamenti se credessimo veramente che ci sarà un giudizio, palese, di Dio sa tutte le nostre opere. C’è poi anche chi si giustifica affermando che in fondo non si sa granché di quello che
c’è dopo la morte.
- La fede nelle realtà ultime è però una condizione imprescindibile non solo per potersi dire cristiani, ma per esserlo veramente. È una pura illusione pensare che si possa essere dei fedeli, dei credenti, senza una fede nella vita ultraterrena. Il modo stesso di vivere di chi davvero crede nella risurrezione, nel giudizio, nella ricompensa, non può che essere assolutamente diverso da chi invece non
ne tiene conto. Credere nelle realtà escatologiche comporta l’assunzione di uno stile di vita completamente diverso rispetto a chi non ci crede. Abbiamo visto tantissimi esempi nel corso della lettura
del Vangelo di Lc. Uno per tutti, la parabola del ricco crapulone (Lc 16,19ss.).
2. Le parole di Gesù.
- Anche se i Sadducei di ieri e di oggi pensano che si possa credere nel Dio della rivelazione senza
credere alle realtà ultime, Gesù dimostra invece che ciò è impossibile. Non si può per esempio credere in un Dio che ci ha creati e pensare che lo abbia fatto soltanto per farci morire; perché Dio non
è un Dio dei morti, ma dei vivi (v. 38). Possiamo senz’altro affermare con san Paolo che se non c’è
risurrezione dei morti la nostra fede è vana (1Cor 15,14.17). La fede nella risurrezione è qualcosa di
molto serio che ha delle conseguenze dirette sul nostro modo di vivere. Se la risurrezione non esiste,
mangiamo e beviamo che domani moriremo (1Cor 15,32). Il mio modo di vivere qui è determinato
da ciò che io mi aspetto nel futuro. Se la risurrezione non esiste e quindi neanche l’aldilà, l’aldiqua
assume tutto un altro valore, quasi un valore assoluto, mentre invece Cristo insegna che
nell’aldiqua è tutto relativo in confronto del regno. Se non esiste un regno di Dio che si realizza
nell’aldilà allora inevitabilmente cercheremo di realizzarlo qui. In ultima analisi: se le realtà ultime
non esistono tutta la nostra presunta religiosità crolla (prima o poi). Infatti «se abbiamo sperato in
Cristo soltanto per questa vita siamo da compiangere più di tutti gli altri» (1Cor 15,19).
- “Questo mondo” e “quel mondo” (vv. 34.35). Non c’è solo questo mondo, ma anche quello, il
quale è diverso da questo. Ci sono due mondi diversi, in cui si vive in due condizioni e modi diversi. Domanda: questo mondo sarà sostituito da quello o sono due realtà che convivono? Se il primo
viene sostituito dal secondo, in che modo questo avviene? E inoltre, quelli che non sono giudicati
degni di quel mondo continuano a vivere in un altro mondo o non vivono per nulla?
- La risurrezione. Gesù afferma l’esistenza della “risurrezione dei morti” (v. 35). Cosa risuscita?
Evidentemente il corpo. Ciò significa che in “quel mondo” ci si vive con il corpo (poteva essere ovvio, ma è meglio sottolinearlo).
- “Come gli angeli”. Da quanto sopra si deve allora dedurre che l’essere come gli angeli non significa avere una natura soltanto spirituale; deve significare qualcos’altro. Che cosa? Probabilmente
quanto riguarda il matrimonio. L’essere come angeli significa l’assenza di coniugio. Qual è il motivo? Probabilmente quanto si afferma nel v. 36: “Infatti non possono più morire”. L’immortalità dei
figli di Dio che appartengono a “quel mondo” rende superfluo (pare) il matrimonio. Da questo si
deve dedurre che il matrimonio sia funzionale soltanto alla procreazione? E cosa ne è, diremmo noi,
nell’aldilà delle passioni e delle funzioni proprie del corpo? Possiamo evincere allora che tali corpi
abbiano una dimensione trasfigurata, appunto “come angeli”.
- “Vivere in Dio” (o “per Dio”; v. 38). Indica una unione profonda con il Signore; indica un modo
di vivere caratterizzato totalmente dall’intimità con Dio, dalla consapevolezza di appartenere a Lui,
per cui tutte le azioni dell’esistenza umana sono determinate da questa appartenenza. Per il cristiano
“vivere in Dio” equivale a “vivere in Cristo” (1Cor 15,18); significa che tutto quello che il cristiano
fa, lo fa in unione a Cristo, perché appartiene a Lui (Rm 14,8) e nulla può separarlo da Lui. Poiché
Dio è il vivente ed è Dio dei vivi, e ugualmente Cristo, neanche la morte può separare da Lui (Rm
8,38-39) chi vive in questa unione. L’unione con Dio (e con Cristo) realizzata e mantenuta in questa
vita non può essere interrotta dalla morte. Ciò significa che la vita continua anche dopo la morte. Se
siamo in Cristo la vita non finisce mai (Gv 10,28); se non siamo in Cristo la vita è già finita.
3. In tutto ciò è facile obiettare che riguardo le realtà ultime sono più le questioni che rimangono
misteriose. Il fatto è che non tutto ci è dato di sapere. Volere sapere più di quanto sia possibile è una
grande tentazione. Delle condizioni di vita di “quel mondo” possiamo sapere solo quanto ci basta.
Occorre sfuggire alla superba pretesa di conoscere più di quanto possiamo. Le realtà future sono il
“regalo” che Dio ha in serbo per i suoi eletti; e come ogni regalo importante va in un certo senso tenuto segreto per lasciare in sospeso la meraviglia della sorpresa. Inoltre, la realtà futura è sostanzialmente diversa da quella presente (vedi matrimonio) e non possiamo capirla con le nostre categorie attuali. Quanto possiamo conoscere ci è stato rivelato (Bar 4,4): risorgeremo, vivremo eternamente in Dio, apparterremo pienamente a Lui. Nel futuro non c’è altro che Dio e ciò che è in Lui.
Questo è quanto ci basta. Questo è quanto ci serve per vivere al presente in Dio con la certezza che
nemmeno la morte ci separerà da Lui.

Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it/


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