p. Gaetano Piccolo SJ, Solennità Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo

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Solennità Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo
2 Sam 5, 1-3; Sal 121; Col 1, 12-20; Lc 23, 35-43.
Congregatio pro Clericis

«Con la sua forza ci ha creati,

con la sua debolezza è venuto a cercarci»,

Sant’Agostino



Voce del verbo ‘salvare’

In un’epoca in cui le parole sono spesso gridate, senza essere precedute da una reale consapevolezza di quello che si sta per dire, in un tempo in cui la parola non pesa più, perché non ci si vergona di dire qualcosa e subito dopo di rinnegarela, anche le grandi parole della fede rischiano di perdere il loro significato più profondo. Diventano parole retoriche, predicate senza essere vissute. Una di queste parole, quella che è al cuore della fede cristiana, è la parola ‘salvezza’. Nella nostra vita ordinaria salviamo tante cose, soprattutto quando lavoriamo al computer, salviamo file e cartelle. Anzi, per essere proprio sicuri, salviamo tutto anche su altri dispositivi. Anche per la nostra squadra del cuore, poi, preghiamo perché si salvi dalla retrocessione. Da ragazzi ci consideravamo invece salvati quando il professore non ci aveva interrogato, evitando così di essere trovati impreparati. In tutte queste accezioni, salvare vuol dire non perdere, non dimenticare, non fallire… quindi potremmo dire che salvarsi significa essere padroni della propria vita, delle proprie cose, essere Re del proprio quotidiano.



Salvarsi o salvare?

Se rileggiamo il Vangelo che la liturgia ci propone in questa solennità, dovremmo restare inevitabilmente disorientati. Effettivamente, mentre Gesù è in croce, tutti gli dicono di salvarsi, quindi, secondo il nostro vocabolario, di non perdersi, di non farsi dimenticare e di non fallire.

35Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». 36Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Lc 23,35-37

La gente intorno a Gesù sta in attesa, vuole vedere cosa succede. È l’esperienza di sempre: ci sentiamo addosso lo sguardo degli altri, le aspettative, il giudizio. Abbiamo paura di deludere o di offrire l’occasione per essere derisi. I capi e i soldati esprimono chiaramente questa attesa: salva te stesso! È una sfida. Dimostra quanto vali! C’è qui tutta la logica del mondo in cui siamo immersi. Siamo incitati alla competizione, al confronto. Ci viene chiesto fin da piccoli di dimostrare quanto siamo capaci. E così sperimentiamo la paura, ci sentiamo inadeguati. E la nostra vita passa con l’ossessione di dimostrare che ce la possiamo fare. In realtà, questa logica non ci salva, ma ci uccide. È la logica del mondo che ci rende infelici, perché porta la nostra attenzione sull’oggetto sbagliato. Gesù infatti si sottrae a questa logica e coniuga in modo diverso il verbo ‘salvare’. La sua attenzione non è sul modo in cui salvare la propria vita, ma in che modo salvare gli altri. Lo sguardo di Gesù non è ossessionato dal proprio io.



Si salvi chi può

La decisione di non vivere schiavo di se stesso, è stata presa da Gesù all’inizio del suo ministero, quando nel deserto, dopo un lungo digiuno, si è ritrovato ad avere fame (cf Mt 4,1-11; Lc 4,1-13). Il Nemico gli suggerisce di trasformare le pietre in pane. Del resto, che male c’è a pensare alla propria fame? In un luogo solitario nessuno avrebbe visto questo prodigio. Gesù avrebbe avuto tutto il diritto di usare il suo potere per rispondere a un bisogno reale e legittimo. Eppure, fin da quel momento, Gesù rinuncia a usare il suo potere per se stesso: preferisce perdersi piuttosto che vivere da egoista. Questo significa essere Re, non diventare cioè vittima delle proprie brame. Proprio in quel primo episodio, il Nemico dice che tornerà con le sue tentazioni al momento opportuno.

 Dopo aver esaurito ogni specie di tentazione, il diavolo si allontanò da lui per ritornare al tempo fissato. Lc 4,13

Il momento più efficace per la tentazione è quando siamo deboli: nella passione e sulla croce, la tentazione torna e assume la forma dell’auto-salvezza. Quando siamo deboli, nel tempo della crisi, nella difficoltà, la tentazione è fondamentalmente quella di pensare prima di tutto a noi stessi.



Salvami!

C’è ancora un altro modo di coniugare il verbo ‘salvare’, è quello del buon ladrone, il quale riconosce che ha bisogno di essere salvato. Solo questa passività ci apre le porte del paradiso, cioè la capacità di lasciare che il Signore entri nella nostra vita e la trasformi. Per non essere dimenticato, il buon ladrone non cerca di “archiviarsi” da solo, ma chiede a Gesù di essere ricordato. Alla fine della sua vita, il buon ladrone è riuscito a consegnare a un Altro l’ossessione per la propria vita. In questo modo realizza l’invito che Gesù continuamente aveva rivolto ai suoi discepoli: solo chi perde la propria vita a causa del Vangelo, la trova. Solo chi si perde come il chicco di grano che muore, porta frutto (Gv 12,24-25). Quanto più cercheremo invece di salvare la nostra vita, tanto più la perderemo, quanto più vorremo conservare integro il chicco di grano, tanto più non porteremo frutto!



Leggersi dentro

-  In che modo stai coniugando il verbo ‘salvare’ in questo momento della tua vita?

-  Chi è il vero Signore della tua vita?

-  Consideri i Sacramenti come mezzo di salvezza e i Comandamenti come via di salvezza?



P. Gaetano Piccolo S.I.

Compagnia di Gesù (Societas Iesu)

Fonte:www.clerus.va


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