Papa Francesco "Bisogna fidarsi di Dio"(1 parte)

"Bisogna fidarsi di Dio" (Prima parte)
In una lunga intervista a "La Civiltà Cattolica", papa Francesco spiega la sua idea di Chiesa
Di Antonio Gaspari
ROMA, 20 Settembre 2013 (Zenit.org) - Un colloquio-intervista di sei ore. Tre incontri il 19, il 23 e il 29 agosto, per un testo totale di oltre 65.000 caratteri  (spazi inclusi). Moltissimi i temi affrontati, tra confidenze, riflessioni, sentire comune, suggestioni, confessioni, abitudini personali, storie e racconti di vita vissuta tra pubblico e privato.
Stiamo parlando dell’intervista che padre Antonio Spadaro SJ ha fatto a papa Francesco.
Il testo completo dell’intervista con il titolo “La Chiesa, l'uomo, le sue ferite” è stato pubblicato in Italia da La Civiltà Cattolica e per concessione da Avvenire.
Nelle altre lingue l’intervista è stata pubblicata da altre 15 riviste dirette dai padri Gesuiti.

Quello che emerge dal colloquio è un uomo vero, una persona che si è trovata ad essere eletto Papa, la cui sfida è quella di suscitare la libertà di osare, di scoprire con stupore e discernimento l’opera del Signore in tutte le cose, di spingere la Chiesa a portare luce e calore nelle periferie umane e spirituali del mondo.
Proveremo a riportare alcune delle parti salienti del lungo e interessantissimo dialogo tra Papa Francesco e padre Antonio Spadaro.
Chi è Jorge Mario Bergoglio?
“Sono un peccatore al quale il Signore ha guardato”. E ripete: “sono uno che è guardato dal Signore. Il mio motto Miserando atque eligendo l’ho sentito sempre come molto vero per me”.
Il motto di Papa Francesco è tratto dalle Omelie di san Beda il Venerabile, il quale, commentando l’episodio evangelico della vocazione di san Matteo, scrive: “Vide Gesù un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi”.
Come il Matteo del quadro di Caravaggio che sta nella Chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma, il Pontefice ha ripetuto , questo sono io: “un peccatore al quale il Signore ha rivolto i suoi occhi”. E questo è quel che ho detto quando mi hanno chiesto se accettavo la mia elezione a Pontefice». Quindi sussurra: «Peccator sum, sed super misericordia et infinita patientia Domini nostri Jesu Christi confisus et in spiritu penitentiae accepto».
Perchè non si è sentito di andare a vivere nell’appartamento pontificio?
“L’appartamento pontificio nel Palazzo Apostolico non è lussuoso. È antico, fatto con buon gusto e grande, non lussuoso. Ma alla fine è come un imbuto al rovescio. È grande e spazioso, ma l’ingresso è davvero stretto. Si entra col contagocce, e io no, senza gente non posso vivere. Ho bisogno di vivere la mia vita insieme agli altri”.
Alla domanda su perché tra i gesuiti che hanno colpito il Papa in maniera particolare, insieme a Ignazio e Francesco Saverio, c’è il beato Pietro Favre (1506- 1546), savoiardo, primo compagno di sant’Ignazio, con il quale egli condivideva la stanza quando i due erano studenti alla Sorbona, il Pontefice ha risposto che è rimasto impressionato dal “dialogo con tutti, anche i più lontani e gli avversari; la pietà semplice, una certa ingenuità forse, la disponibilità immediata, il suo attento discernimento interiore, il fatto di essere uomo di grandi e forti decisioni e insieme capace di essere così dolce, dolce…”.
Quale l’immagine di Chiesa che più piace al Papa?
“L’immagine della Chiesa che mi piace è quella del santo popolo fedele di Dio.- ha risposto – come è scritto nella Lumen gentium al numero 12. “L’appartenenza a un popolo ha un forte valore teologico: Dio nella storia della salvezza ha salvato un popolo. Non c’è identità piena senza appartenenza a un popolo. Nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae considerando la complessa trama di relazioni interpersonali che si realizzano nella comunità umana. Dio entra in questa dinamica popolare”.
In questo contesto papa Francesco ha spiegato che “sentire la Chiesa” È come con Maria: “se si vuol sapere chi è, si chiede ai teologi; se si vuol sapere come la si ama, bisogna chiederlo al popolo” ma non si tratta di una forma di populismo. “No: è l’esperienza della “santa madre Chiesa gerarchica”, come la chiamava sant’Ignazio, della Chiesa come popolo di Dio, pastori e popolo insieme. La Chiesa è la totalità del popolo di Dio”.
Sulla Santità, il Vescovo di Roma ha detto che, come sosteneva lo scrittore francese Joseph Malègue, c’è una “classe media della santità” di cui tutti possiamo far parte.
“Io vedo la santità — ha detto il Papa — nel popolo di Dio paziente: una donna che fa crescere i figli, un uomo che lavora per portare a casa il pane, gli ammalati, i preti anziani che hanno tante ferite ma che hanno il sorriso perché hanno servito il Signore, le suore che lavorano tanto e che vivono una santità nascosta. Questa per me è la santità comune. La santità io la associo spesso alla pazienza: non solo la pazienza come il farsi carico degli avvenimenti e delle circostanze della vita, ma anche come costanza nell’andare avanti, giorno per giorno. (…) Questa è stata la santità dei miei genitori: di mio papà, di mia mamma, di mia nonna Rosa che mi ha fatto tanto bene”.
La Chiesa sognata da papa Francesco “è la casa di tutti, non una piccola cappella che può contenere solo un gruppetto di persone selezionate. Non dobbiamo ridurre il seno della Chiesa universale a un nido protettore della nostra mediocrità. E la Chiesa è Madre — prosegue —. La Chiesa è feconda, deve esserlo”.

Alle tante domande sui bisogni della Chiesa di oggi e sulle vicende che hanno preceduto la sua Elezione, il Vescovo di Roma ha detto: “Papa Benedetto ha fatto un atto di santità, di grandezza, di umiltà. È un uomo di Dio” e la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è “la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso”.

“La Chiesa – ha precisato - a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ha salvato!”. E i ministri della Chiesa devono innanzitutto essere ministri di misericordia. Il confessore, ad esempio, corre sempre il pericolo di essere o troppo rigorista o troppo lasso. Nessuno dei due è misericordioso, perché nessuno dei due si fa veramente carico della persona. Il rigorista se ne lava le mani perché lo rimette al comandamento. Il lasso se ne lava le mani dicendo semplicemente “questo non è peccato” o cose simili. Le persone vanno accompagnate, le ferite vanno curate”.
(La seconda parte segue domani, sabato 21 settembre)

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