Enzo Bianchi XXXIII domenica del tempo Ordinario
Siamo alla fine dell’anno liturgico, e la chiesa ci fa ascoltare la prima parte del discorso escatologico di Gesù. Nell’imminenza della sua passione Gesù pronuncia una parola autorevole sulla fine dei tempi e sull’evento che ricapitolerà la storia: la venuta nella gloria del Figlio dell’uomo (cf. Lc 21,27), preceduta da alcuni segni che i discepoli devono saper leggere con intelligenza.
Colpisce la diversità dello sguardo che Gesù da una parte e «alcuni» dall’altra posano sul tempio. Mentre questi ultimi ne ammirano «le belle pietre e i doni votivi», Gesù ne vede con sguardo lucido e profetico la fine ormai vicina. Come il tempio e tutto il suo sistema cultuale, così anche le costruzioni e realizzazioni più «sante» dell’uomo sono destinate a finire: non sono esse a dover trattenere la nostra attenzione, ma il Signore che viene, di cui queste realtà sono soltanto un segno.
Poi Gesù ammonisce a leggere guerre e catastrofi naturali senza cedere alla paura: si tratta di eventi storici che riguardano l’umanità di ogni tempo e che egli menziona non per allarmare, ma per rivelare «le doglie del parto» (Rm 8,22) che travagliano la creazione, la quale va verso un fine datole da Dio, verso la terra e i cieli nuovi del Regno. «Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno a causa del mio nome»: ecco il grande segno annunciato da Gesù, la persecuzione dei suoi discepoli, addirittura da parte dei parenti e degli amici. D’altronde Gesù lo aveva detto: «Un discepolo non è da più del maestro … Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi». È normale che i cristiani siano osteggiati dal mondo, e questa ostilità costituisce la prova della loro fedeltà al Signore: se egli, il Giusto, è stato ingiustamente perseguitato, perché dovrebbe avvenire diversamente ai suoi discepoli?
Anzi, la persecuzione diviene per i credenti «occasione di martyría, di testimonianza», nella certezza che lo Spirito santo, inviato dal Signore Gesù, li assisterà nell’ora della prova (cf. Lc 12,11-12). Essi devono solo preoccuparsi di vivere la virtù cristiana per eccellenza, la perseveranza, cui Gesù lega una promessa straordinaria: «con la vostra perseveranza salverete le vostre vite». La vita cristiana non è questione di una stagione, ma richiede perseveranza fino alla fine: il cristiano è colui persevera nell’amore, continuando a compiere il bene tra gli uomini, anche a costo della propria vita. E la persecuzione altro non è che un’occasione per vivere la comunione con le sofferenze del Signore Gesù e mostrare la carità fino al limite estremo da lui insegnato e vissuto: l’amore per i nemici (cf. Lc 6,27-28; 23,34).
Davvero questo vangelo non tratta della fine del mondo, ma del nostro oggi: la nostra vita quotidiana è il tempo della faticosa eppure beata (cf. Gc 5,11) e salvifica perseveranza.
Enzo Bianchi
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