Nella Messa a Santa Marta, il Papa avverte dalla tentazione del mondo di rendere la religione "un fatto privato"

Adorare Dio, nonostante il divieto del mondo
Nella Messa a Santa Marta, il Papa avverte dalla tentazione del mondo di rendere la religione "un fatto privato". E incoraggia ad avere fiducia in Cristo che ha vinto la battaglia con il male
Di Salvatore Cernuzio
CITTA' DEL VATICANO, 28 Novembre 2013 (Zenit.org) - Dai crocifissi tolti nelle scuole, fino alle persecuzioni contro i cristiani, sembra che il mondo voglia ‘soffocare’ la religione fino a renderla “una cosa privata”. Papa Francesco, oggi a Santa Marta, lo ha detto esplicitamente: “Non si può parlare di religione, è una cosa privata, no? Di questo pubblicamente non si parla. I segni religiosi sono tolti. Si deve obbedire agli ordini che vengono dai poteri mondani. Si possono fare tante cose, cose belle, ma non adorare Dio”.
I “poteri mondani” ha detto il Santo Padre impongono una sorta di “divieto di adorazione”. E spesso anche gli stessi cristiani, per debolezza o poca fede, cedono a questa “tentazione universale”, rinunciando al bene per paura di un male che sembra più forte. Ma questo è un inganno, afferma Francesco, semplicemente perché si dimentica un aspetto fondamentale: Cristo ha vinto il mondo; ha già ‘battuto’ il mondo e il suo principe, schiacciandoli con il peso della Croce gloriosa.
Questo, prosegue il Papa, non dopo aver subito “tante” prove: “insulti”, “calunnie” “tentazioni”; subite in privato, come nel deserto, o durante la sua vita pubblica. Fino ad arrivare alla morte ignobile per crocifissione. Però proprio su quel legno, afferma il Pontefice, si è manifestata la potenza di Dio. Per questo, i cristiani, anche se messi alla prova, non devono temere di adorare Dio fino in fondo “con fiducia e fedeltà”. Lo dimostrano i fedeli oggi perseguitati, i cui sacrifici subiti e sopportati – osserva Bergoglio – sono la prova che prelude alla vittoria
finale di Cristo.
Gesù stesso – prosegue - nel Vangelo di oggi annuncia guai, calamità, devastazioni. Ma alla fine afferma che tutto questo sarà nulla di fronte alla Gloria di Dio. In particolare, sottolinea Francesco, “quando Gesù parla di questa calamità in un altro brano ci dice che sarà una profanazione del tempio, una profanazione della fede, del popolo: sarà la desolazione della abominazione”. Apparentemente, aggiunge il Papa, “sarà come il trionfo del principe di questo mondo: la sconfitta di Dio”. Lui, il maligno, il principe del mondo, “sembra che in quel momento finale di calamità si impadronirà di questo mondo, sarà il padrone del mondo”.
Bergoglio insiste: in questa “prova finale” verrà profanata la fede, verrà vietata l’adorazione, come accadde al profeta Daniele, nel racconto della prima lettura di oggi, che fu gettato nella fossa dei leoni per aver adorato il Signore e non il re. “I cristiani che soffrono tempi di persecuzione, tempi di divieto di adorazione sono una profezia di quello che ci accadrà a tutti” soggiunge il Pontefice.
Però, proprio in questo culmine della “desolazione della abominazione”, quando si arriverà cioè “al ‘kairos’ di questo atteggiamento pagano”, quando i “tempi dei pagani sono stati compiuti”, è in quel momento che “verrà Lui” afferma il Papa: “E vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria”.  Le parole di Cristo nel brano evangelico di Luca sono quindi una promessa certa: “Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”.

Allora, esorta Francesco, “non abbiamo paura, soltanto Lui ci chiede fedeltà e pazienza. Fedeltà come Daniele, che è stato fedele al suo Dio e ha adorato Dio fino alla fine. E pazienza, perché i capelli della nostra testa non cadranno”. Perciò, questa settimana – conclude il Santo Padre – “ci farà bene pensare a questa apostasia generale, che si chiama divieto di adorazione e domandarci: Io adoro il Signore? Io adoro Gesù Cristo, il Signore? O un po’ metà e metà, faccio il gioco del principe di questo mondo?”. La grazia da chiedere in questo tempo, quindi, è di “adorare fino alla fine, con fiducia e fedeltà”.

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