Abazzia Pulsano Lectio DOMENICA «DEL BATTESIMO DEL SIGNORE» (A)

Lectio
DOMENICA «DEL BATTESIMO DEL SIGNORE» (A)

Matteo 3,13-17; Isaia 42,1-4.6-7; Salmo 28; Atti 10,34-38

Antifona d’Ingresso Cf Mt 3,16-17
Dopo il battesimo di Gesù si aprirono i cieli,
e come colomba
lo Spirito di Dio si fermò su di lui ,
e la voce del Padre disse:
«Questo è il Figlio mio prediletto,
nel quale mi sono compiaciuto».

Canto all’Evangelo Cf Mc 9,9
Alleluia, alleluia.
Si aprirono i cieli e la voce del Padre disse:
«Questi è il mio Figlio diletto: ascoltatelo».
Alleluia.

I cieli aperti e la voce del Padre sul Signore battezzato e nella scena della Trasfigurazione; la Teofania
trinitaria con l’imperativo «Ascoltatelo!» permanente nella Comunità del Risorto e che risuona oggi all’inizio di questo tempo liturgico attirando la nostra attenzione.
Il ciclo liturgico del santo Natale termina con la festa del Battesimo di Gesù; anche se la Domenica I per l’anno appartiene al "tempo della Manifestazione" tuttavia introduce in modo sublime al tempo per l’anno e qui si pone come vero capodanno.
La liturgia romana commemorava il Battesimo di Cristo nel Giordano l`ottavo giorno dopo l`Epifania del Signore, una festività apparsa in Occidente nel secolo VIII. Questo avvenne sotto l`influenza della liturgia bizantina per la quale, similmente alle altre liturgie orientali, il ricordo del mistero del Battesimo aveva una particolare importanza. La festa a sé stante del Battesimo del Signore fu costituita solamente nell`anno 1955 e veniva celebrata il 13 gennaio. Nel nuovo calendario liturgico, la festa è stata trasferita alla domenica dopo l`Epifania.
Cristo riceve il Battesimo nelle acque del Giordano dalle mani di Giovanni il Battista. La voce del Padre e la presenza dello Spirito Santo proclamano Gesú Figlio prediletto di Dio e, nello stesso tempo, Servo mandato per annunziare ai poveri la buona novella della salvezza. Lui non alzerà la voce, ma annunzierà a tutti la salvezza, non spezzerà la canna incrinata, ma libererà quelli che rimangono nella schiavitú delle tenebre. Cristo non ha alcun peccato, ma non si separa dall`umanità che vive nel peccato: l`umanità corrotta insieme con lui entra nelle acque del Giordano che preannunziano l`acqua che ci purificherà da ogni sporcizia, ci farà vivere la vita nuova, ci introdurrà nel mistero della morte e della risurrezione del nostro Salvatore.

Oggi, il nostro Dio ci ha manifestato la sua
indivisa natura in tre Persone;
il Padre dà infatti chiara testimonianza al Figlio;
lo Spirito scende dal cielo in forma di colomba;
il Figlio chinò il capo immacolato dinanzi al Precursore;
e battezzato, scioglie il genere umano dalla schiavitú,
perché amante degli uomini.
(Liturgia Bizantina, EE n. 3038)

I tre evangeli di questo giorno ci propongono il medesimo episodio secondo la diversa redazione che i sinottici ne hanno dato.
Di fatto il battesimo del Signore segna il suo vero ingresso nella «vita pubblica», nel suo ministero messianico. Cristo Signore si fece battezzare affinché anche noi fossimo poi da Lui battezzati nello Spirito Santo. Il battesimo del Signore manifesta presente la Trinità santa; la Trinità consustanziale indivisibile vivificante che attraversa l’intera esistenza di ogni uomo fin dal loro battesimo, segno del gratuito divino che viene ad ognuno con infinita sovrabbondanza.
Il contesto dell’episodio è molto chiaro: dopo l’evangelo dell’infanzia del Signore (1,1-2,23), con la genealogia del Signore, è presentata la predicazione di Giovanni Battista che annuncia colui che viene con lo Spirito Santo e il Fuoco e porta con sé i tempi ultimi (3,1-12); poi è narrato il battesimo (3,13-17) e le tentazioni del Signore nel deserto (4,1-11). Ora il battesimo e le tentazioni rendono in un certo senso Gesù idoneo e responsabile all’annuncio dell’evangelo che viene dopo in 4,12-25.
Nel racconto del battesimo di Gesù da parte di Giovanni, Matteo riprende la fonte di Marco (vedi Mc 1,9-11; Lc 3,21-22) e l’ha inserita in un dialogo tra Giovanni e Gesù (Mt 3,14-15) che spiega perché Gesù abbia voluto sottoporsi al battesimo di Giovanni.
Il fatto che Gesù sia stato battezzato da Giovanni è uno dei dati storici più certi della tradizione evangelica. Poiché questo suppone una dipendenza e una sottomissione a Giovanni da parte di Gesù, la cosa non è chiaramente il genere di storia che avrebbero inventato i primi cristiani. Il dialogo inserito in Mt 3,14-15 indica che forse i primi cristiani provavano un certo imbarazzo a proposito di questo episodio e avevano bisogno di una spiegazione di come fosse accaduto.
L’episodio termina con l’identificazione di Gesù mediante l’accostamento ad eminenti figure bibliche: Figlio di Dio, Isacco, Servo di Dio.
Quando noi cristiani moderni leggiamo Mt 3,13-17 e i passi paralleli, non possiamo fare a meno di vedere collegamenti tra il battesimo di Gesù e il battesimo cristiano, considerando in tal modo il battesimo di Gesù come un prototipo del nostro. Questo approccio ecclesiastico conduce a dibattiti circa il rapporto tra battesimo con l’acqua e battesimo nello Spirito, nonché ad altre controversie teologiche.
Anziché concentrarsi sulla storicità del battesimo di Gesù e la sua importanza per il battesimo cristiano, è meglio riconoscere che per Matteo e gli altri evangelisti il punto focale era la persona di Gesù. Più specificamente, Mt 3,13-17 serve a stabilire l’identità di Gesù prima che egli cominci il suo ministero pubblico. A questo scopo Matteo chiama in causa la voce dal cielo che dichiara chi sia Gesù e perché sia importante.

Esaminiamo il brano

v. 13 - «Gesù   andò»: letteralmente «Allora si fece vicino (paragìnetai) Gesù». Una formula semplice a prima vista ma rara e solenne se si conosce lo stile biblico.
In confronto a Mc 1,9 e Lc 3,21, Matteo 3,13 offre maggiori informazioni sugli spostamenti di Gesù e il motivo per cui è andato da Giovanni. Luca è particolarmente oscuro, poiché Giovanni era già in prigione (vedi Lc 3,20); da Lc 3,21 è difficile poter arguire che Gesù è stato battezzato da Giovanni. Questa confusione non si trova invece in Mt 3,13
Il verbo paragìnetai è usato al v. 3,1 anche per Gv Battista (II Dom. di avvento) ma per Gesù è più intenso e pregnante: vuole indicare l’apparizione, grave e solenne del Re messianico, il Sovrano salvatore. Nella vita quotidiana il verbo paragìnomai era usato per la visita del regnante nella provincia, considerata della massima importanza poiché da essa cominciava un’era nuova.
E’ l’inizio della Teofania nella carne, prima apparizione nella sua vita storica; scrive S. Girolamo: «Nella sua Natività il Figlio di Dio viene al mondo in modo nascosto, nel Battesimo apparve in modo manifesto»; E s. Gv Crisostomo «Prima egli non era conosciuto dal popolo, con il Battesimo si rivela a tutti»(Omelia 37 sul Battesimo).
E’ la parousìa, la presenza agli uomini: da parà - presso, vicino ed eìmì - essere, stare. Con questo termine Matteo designa la venuta ultima nella Gloria, per il giudizio finale (24,3.27.37.39); così Paolo (1 Tess 2,19; 2 Tess 2,9; 3,13; 4,15; 1 Cor 15,23; ecc.
Il medesimo verbo paraginetai, e con incomparabile solennità, sarà usato anche in Ebr 9,11, che a leggere bene ha stretta attinenza con quanto il Battesimo del Giordano rivelerà: "Christós de para-genómenos Archieréus ton mellóntón Agathón, Cristo, poi, apparso — nella sua Parousia! — quale Sommo Sacerdote dei futuri Beni" divini, che ottenne agli uomini con il suo indicibile Sacrificio d’offerta al Padre, potendo così tornare al Padre avendo attuato l’eterna Redenzione (Ebr 9,12).
La venuta di Gesù è Parusìa in quanto presenza eterna che adesso si manifesta. Nella Divina liturgia del rito bizantino questo senso è perfettamente conservato nella ricca teologia simbolica nel cosiddetto «piccolo ingresso»: l’Evangeliario dall’altare, è portato processionalmente all’ambone con accompagnamento solenne della Croce, delle luci e dell’incenso attraverso il popolo che s’inchina al Segno di questa Economia della carne che di continuo apppare come presenza trasformante nella Parola evangelica tra i fedeli.
Se i Magi erano venuti dal Bambino e Lo avevano riconosciuto, adorato ed a Lui reso omaggio di doni, adesso l’Uomo (Gesù) compie la sua Parousia propriamente divina, venendo all’uomo Giovanni, per un atto di abbassamento estremo, farsi "battezzare", ossia ricevere un lavacro che dimostra, secondo la predicazione del Battista, l’intima metànoia, la penitenza e conversione (Mt 3,13b). Quando al "Piccolo Esodo" l’assemblea della liturgia bizantina si china all’Evangelo portato in solenne ostensione processionale quale "icona spaziale e temporale della Resurrezione", i fedeli sanno che stanno venerando l’intera Economia della carne del Signore, decretata dal Padre e sigillata dallo Spirito Santo: l’Ingresso "piccolo" è la Parousia iniziale del Signore, Presenza di Lui nella sua Parola vivificante, preludio al "Grande Esodo" sacrificale offertoriale.
«al Giordano»: Matteo non specifica dove è accaduto, lo fa invece Giovanni: avvenne in Betanìa, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando (Gv 1,28). Non è la Betània di Lazzaro e delle sue due sorelle Marta e Maria, ma un sito che si trovava presso la foce del Giordano, sulla riva nord del Mar Morto. Alcuni codici, al posto di Betània, riportano un altro nome, Bethabàra, che significa luogo dove si guada il fiume.
Il Giordano, citato 188 volte nell’Antico Testamento e 15 negli evangeli, ha sempre avuto un solo significato: segnare il confine fra le nazioni pagane - schiave dei loro idoli - e la terra di Israele dove si serviva il vero Dio.
Questo confine è stato varcato la prima volta dagli ebrei al termine del loro esodo dalla terra d’Egitto. Dalla cima del monte Nebo, Mose aveva contemplato la Terra Promessa, ma non vi era entrato. La tappa decisiva era stata guidata da Giosuè, che aveva fatto attraversare il fiume a tutto il popolo proprio nella zona di Bethabàra. Lì Israele aveva varcato il confine, aveva lasciato alle spalle la terra della schiavitù ed era entrato nel regno della libertà. Ma - ci chiediamo - era davvero quella la terra promessa ad Abramo e alla sua discendenza? Noi cristiani abbiamo compreso che quella era solo una pallida immagine del regno della libertà che Dio aveva in serbo per il suo popolo. Dopo milleduecento anni da quel primo esodo, nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare (Lc 3,1) ecco comparire, presso quello stesso guado del Giordano, Gesù di Nazaret. Si presenta per farsi battezzare e per dare inizio a un nuovo esodo, per guidare il popolo preparato dal Battista verso la vera terra promessa.
Il luogo geografico dove questo fatto ha avuto luogo ha anche un altro suggestivo richiamo, meno evidente, ma altrettanto significativo: geologicamente Bethabàra è il luogo abitato più basso della terra (400 m sotto il livello del mare). La scelta di Gesù di iniziare da lì la vita pubblica non è stata casuale. Era venuto dal cielo per condurre ogni uomo nel suo regno e non voleva che alcuno sfuggisse alla salvezza. Per questo, sospinto dalla sua passione d’amore, non poteva che scendere - anche materialmente - fin nel luogo più basso, nel baratro più profondo, mostrando così di voler raggiungere ogni uomo, anche coloro che ritengono sia per loro impossibile risalire da certi abissi di peccato.
Da secoli l’umanità peccatrice elevava a Dio questo grido accorato: Dal profondo a te grido, o Signore; Signore, ascolta la mia voce. Siano i tuoi orecchi attenti alla voce della mia supplica (Sal 130,1-2). Nel battesimo di Gesù, Dio ha risposto a questa invocazione d’aiuto ed è sceso a liberarci dalla schiavitù del peccato.
v. 14 - «voleva impedirglielo»: Il dialogo tra Giovanni e Gesù si trova solo in Mt 3,14-15 ed indica un certo imbarazzo da parte di Giovanni a battezzare Gesù. L’imbarazzo può essere attribuito o all’intrinseca superiorità di Gesù e del suo battesimo percepita da Giovanni (vedi Mt 3,11) o al carattere del battesimo di Giovanni «per la conversione» (vedi Mt 3,11). La spiegazione di Giovanni in Mt 3,14 è ambigua, e perciò il testo non è una chiara attestazione della perfetta innocenza di Gesù.
Giovanni, alla lettera, "gli impediva (diakôlyô)" di accostarsi a lui, rifiutando dunque di dargli il segno battesimale penitenziale: "Io ho necessità di essere battezzato da Te!" Sta parlando "il più grande tra i nati da donna", come Gesù stesso lo proclama (Mt 11,11).
La reazione di Giovanni è di stupore e di tale venerazione che lo porta al rifiuto. Anche se nelle dure «rampogne» verso la folla che pure viene a battezzarsi Gv li ha minacciati a parole esternando la necessità di purificazione (esortandoli alla conversione del cuore) mai si è posto al di là dei peccatori. Il suo è un atto preparatorio al fine di preparare al Signore un popolo ben disposto e ora sa di essere davanti all’Atteso dei secoli e al suo battesimo con lo Spirito Santo. E ora Colui che viene si accosta proprio alla sua umiltà?
v. 15 - «Lascia fare per ora, conviene che adempiamo tutto ciò che è giusto»: All’umiltà ed all’angoscia di Giovanni però Gesù risponde in modo deciso, che non ammette replica: "Lascia, adesso!" (v. 15a). Non può aversi esitazione: è la Parousia cominciata.
Non sembra appropriato vedere nella frase un riferimento al battesimo cristiano (vedi Rm 6,1-11) né all’economia dell’Antica Alleanza (come nelle citazioni di adempimento di Matteo). Più probabilmente allude piuttosto allo stile di vita che dovevano praticare coloro che si facevano battezzare da Giovanni («produrre buoni frutti»). Pur riconoscendo la superiorità del proprio battesimo, Gesù si dice tuttavia disposto a comportarsi secondo le esigenze del battesimo di Giovanni.
La risposta di Gesù è breve e senza repliche. Un parallelo si può vedere in Gv 13,7: il rifiuto di Pietro di lasciarsi lavare i piedi. Anche lì la risposta di Gesù è senza repliche: «Quello che faccio adesso tu non lo capisci». L’opera divina non dev’essere impedita.
Ma se a Pietro non è data una spiegazione a Giovanni invece è densa e misteriosa: «così adempiamo ogni giustizia»: il noi è riferito anzitutto al Padre e allo Spirito in rapporto a Lui stesso; poi a Gesù e Giovanni; in seguito significa anche il popolo di Dio.
In quanto il Figlio dimostra di far parte del popolo "suo" solo allora il Padre con lo Spirito mediante il Figlio potrà adempiere "l’intera Giustizia.
Qual’è questa “Giustizia divina”: quella promessa lungo tutto l’A.T.
E’ l’intervento misericordioso, soccorrevole, spontaneo gratuito di Dio per il popolo suo e da questo verso tutte le nazioni.
Ma quale Giustizia è la dikaiosynê? Un esempio: in Gen 18,17-19 mentre il Signore decide la punizione di Sodoma e Gomorra ha questo progetto per Abramo: «Poi il Signore parlò…».
Nel linguaggio dell’A.T., al greco dikaiosynê corrisponde il vocabolario della Misericordia divina. Esercitare la "giustizia" perfetta, è dare a ciascuno quanto gli necessita, così che tutti abbiano tutto, ed a nessuno manchi più alcunché. È la carità, è anche la definizione del Regno, e la definizione della salvezza del Regno. La Giustizia comprende una "via", inaugurata da Giovanni, e che sarà accolta allora solo da pubblicani e prostitute, che precederanno gli altri nel Regno, "ma perché credettero" a Giovanni (Mt 21,32). È la prima forma. Adesso la Giustizia va "adempiuta", per modi misteriosi che però il Battesimo con lo Spirito Santo additerà alla contemplazione ed alla vita vissuta. È l’apertura alla Croce, alla morte iniqua. Quella che in altra forma proverà anche Giovanni (Mt 14,1-12).
Il Battesimo ora apre alla Giustizia perché apre alla Croce e alla Gloria; questo per adesso lo capisce solo Giovanni (egli vide...) anche se non in tutta la sua estensione verso un futuro inimmaginabile.
vv. 16-17 - Il simbolismo di quanto detto sono: le acque, l’immersione e la riemersione, lo Spirito Santo, la Parola del Padre ecc. (cf Icona).
«ed ecco»: Il "Kài idoù, Ed ecco", come sempre, annuncia il prodigio divino che si manifesta.
«I cieli aperti»: sono una metafora per indicare il Padre. Cf Ez 1,1 preludio alla Sua Parola; At 10,11 apertura del messaggio evangelico al mondo.
L’apertura dei cieli significa una nuova possibilità di comunicazione tra Dio e il genere umano (vedi Ez 1,1; 2 Mac 3,24ss; 2 Baruch 22; Gv 1,51; At 7,55-56; 10,11; Ap 11,19; 19,11-21).
I cieli aperti non sono dunque un’informazione meteorologica. Non è che, fra le nubi dense e cupe, improvvisamente sia filtrato un luminoso raggio di sole. Se così fosse, Matteo ci avrebbe riferito un dettaglio banale e di nessun interesse per la nostra fede. Egli alludeva, in modo esplicito, a un testo dell’Antico Testamento, a un brano del profeta Isaia che è necessario richiamare.
I rabbini insegnavano che il trono di Dio si trovava al di sopra del settimo cielo e che fra un firmamento e l’altro c’era la distanza equivalente a un viaggio di cinquecento anni. Ora, negli ultimi secoli prima di Cristo, il popolo d’Israele aveva avuto la sensazione che tutti e sette i cieli fossero stati chiusi. Sdegnato per i peccati e le infedeltà del suo popolo, Dio era divenuto inaccessibile, aveva smesso di inviare profeti e sembrava aver rotto ogni dialogo con l’uomo. Non ci sono più profeti e tra noi nessuno sa fino a quando, esclamava il salmista (Sal 74,9), e un altro pio israelita, sconsolato, confidava al Signore: Non abbiamo più né capo, né profeta, né luogo per offrirti olocausti (Dn 3,38).
Quando avrà fine questo silenzio che tanto ci angoscia? - si chiedevano tutti - Il Signore non tornerà a parlarci, non ci mostrerà più il suo volto sereno, come nei tempi antichi? Lo si invocava con questa stupenda preghiera: Tu sei adirato perché abbiamo peccato,.. Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani, .. Se tu squarciassi i cieli e scendessi! (Is 64,7; 63,19).
Affermando che, con l’inizio della vita pubblica di Gesù, i cieli si sono aperti, Matteo vuole dare ai suoi lettori una sorprendente notizia: Dio ha esaudito la supplica del suo popolo, ha spalancato il cielo e non lo richiuderà mai più. E finita per sempre l’inimicizia fra Cielo e terra. La porta della casa del Padre rimarrà eternamente spalancata per accogliere ogni figlio che desideri entrare, nessuno sarà escluso.
«ed egli vide»: Sarebbe una forzatura del testo sostenere da questa espressione di Mt 3,16 che ciò che ha sperimentato Gesù era una visione privata. Molto probabilmente Matteo l’ha intesa come una manifestazione pubblica accessibile ad altri (come in Mc 1,10-11 e in Lc 3,21-22).
«lo Spirito discendere come una colomba»: L’idea della comunicazione aperta tra Dio e l’umanità è ulteriormente sviluppata con la discesa dello Spirito Santo sopra Gesù. La descrizione della discesa dello Spirito è presentata con una frase avverbiale («come una colomba» = come scende una colomba) che potrebbe evocare il racconto della creazione («e lo Spirito di Dio aleggiava sulla faccia delle acque», Gn 1,2).
Per il peccato antico lo Spirito del Signore non potè più convivere con la carne fragile e peccaminosa che lo respingeva e il Signore lo ritirò (Gen 6,1-3) ma ecco ora lo Spirito del Signore su un uomo e per sempre (cf At 10,38).
«Ed ecco una voce dal cielo»: L’espressione potrebbe rispecchiare o essere legata all’espressione rabbinica bat qòl («figlia di una voce», ossia l’eco di una parola pronunciata in cielo), altra immagine dell’apertura di un canale di comunicazione tra Dio e il genere umano.
«Questi è il Figlio mio...»: Le tre immagini dell’apertura di comunicazioni - l’apertura dei cieli, la discesa dello Spirito come una colomba, la voce dal cielo - preludono alla identificazione del Figlio di Dio.
L’identificazione è fatta in terza persona («Questi è ...»), a differenza di Mc 1,11 e Lc 3,22 («Tu sei...»). La voce del cielo mette insieme diverse espressioni dell’AT: «mio figlio» (Sal 2,7 = il re davidico come figlio adottivo di Dio), il «prediletto» (Gn 22,2 = Isacco), e «il mio eletto in cui mi compiaccio» (Is 42,1; 44,2 = il Servo di Dio). All’inizio del suo ministero pubblico Gesù viene identificato in termini di figure bibliche che costituiscono altrettanti tipi o modelli della sua persona e della sua attività.
Le parole del Padre 3 sole volte in tutto il N. T. al Battesimo; alla Trasfigurazione e alla Resurrezione.
Paolo nel suo 1° viaggio missionario At 13,32-33 espone così il kérygma apostolico rivelando che il Padre chiamò il Figlio dal sepolcro, per donargli lo spirito della Resurrezione (Rm 1,4) chiamandolo per sempre Figlio mio!
«Figlio»: indica forme convergenti: il popolo Es 4,22-23; il Re messianico Sal 2,7; 2 Sam 7,14; Il servo messianico Is 49,1-6.
«il diletto»: in greco ho-agapètòs , dove l’articolo ha la funzione di sottolineare la straordinaria potenza e significato del titolo. Come testo di partenza si legga Gen 22 dove l’ebraico ha jahid = l’unico, il Monogenito (vv. 2.12.16) che è la vittima sacrificale, quella che il Padre dona per tutti gli uomini come ci ricorda la lettera ai Romani: «Egli che il proprio Figlio non risparmiò, bensì a favore di noi tutti o consegnò» alla croce (8,32).
Da questo momento con lo Spirito Santo Gesù si avvicina alla Croce, annunciando l’evangelo e operando i segni della Resurrezione che riconquistano il Regno al Padre in favore degli uomini.
«nel quale mi sono compiaciuto»: il verbo "compiacere" in greco eudokéó = essere lieto, soddisfatto è in greco tradotto con un indicativo aoristo complessivo. L’aoristo è un tempo puntuale del passato ma può abbracciare anche un tempo molto lungo, purché venga considerato come un unico blocco (aoristo complessivo). Possiamo chiamarlo un "passato profetico" che indica il futuro. L’aoristo qui può rendere anche il semitico perfetto statico, che equivale al presente, il tempo immutabile di Dio. Il Padre nel suo eterno presente (per necessità si esprime nella temporalità degli uomini) rivela qui il suo compiacimento divino perché vede già del tutto compiuta l’obbedienza e la missione del Figlio.
L’Eudokìa divina del Padre è già un fatto. Un indizio era già presente nell’inno angelico di Lc 2,14, quando le schiere celesti glorificavano il Signore per il Fatto avvenuto: «Gloria a Dio nei cieli altissimi e sulla terra pace e agli uomini l’eudokìa (= la benevolenza divina)». Tra le traduzioni possibili abbiamo:
a) quella che vede gli uomini aventi "buone disposizioni d’animo";
b) quella che vede gli uomini oggetto della benevolenza divina. Quest’ultimo significato è più conforme alla mentalità biblica.
Tutto questo noi lo cantiamo ogni Domenica e festa: Gloria a Dio nell ‘alto dei cieli e....
Nel battesimo di Gesù è sigillata dallo Spirito Santo l’alleanza paterna e filiale; qui l’Evangelo è pronunciato; qui l’opera del Padre è svolta per intero. Il tempo per l’Anno, tempo fortissimo, viene adesso a mostrare ai fedeli tutti, la vita del Signore battezzato che passa visitando gli uomini e preparandoli al Regno, affinché ne prendano parte.

II Colletta
Padre d’immensa gloria,
tu hai consacrato con potenza di Spirito Santo
il tuo Verbo fatto uomo,
e lo hai stabilito luce del mondo
e alleanza di pace per tutti i popoli:
concedi a noi
che oggi celebriamo il mistero del suo battesimo nel Giordano,
di vivere come fedeli imitatori del tuo Figlio prediletto,
in cui il tuo amore si compiace.
Egli è Dio, e vive e regna con te ...




Abbazia Santa Maria di Pulsano
lunedì 7 gennaio 2014

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