Comunità Marango«Preso per mano»

«Preso per mano» per il solo gesto della solidarietà

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Nella prima Lettura, lo Spirito di Dio è posto sul suo «servo ed eletto». Questi «non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta». Sono le azioni che l’araldo del Gran Re di Babilonia compiva per decretare l’esecuzione di una condanna a morte: il senso è che il Servo del Signore non viene a condannare, ma a dare vita.

Nella seconda Lettura, Pietro annuncia la consacrazione in Spirito Santo di Gesù di Nazaret a partire dal suo battesimo, a iniziare dal quale «passò beneficando e risanando tutti» coloro che si trovavano nel bisogno.
Infine, nel Vangelo, lo Spirito Santo discende come una colomba su Gesù «appena battezzato» da Giovanni al Giordano; battesimo legato alla confessione del proprio peccato.
Quindi le Letture ci dicono, innanzi tutto, che la discesa e la presenza dello Spirito su Gesù, suo vero battesimo, lo invia a prendersi cura di tutti gli uomini, soprattutto dei più privati di dignità di vita; ed è sigillo di conferma per il suo inaudito e sorprendente “stile” di farsi concretamente solidale con la condizione umana, come fosse un peccatore come gli altri, proprio Lui che non ha commesso alcun peccato.

Tutte e tre le Letture parlano poi di «giustizia»: «un solo gesto», è il significato originale del termine. Il Servo del Signore, mandato proprio per la giustizia (prima Lettura), avrà da compiere l’unico gesto di essere «luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri»: porta solo riscatto e liberazione, al di là delle colpe, senza rimproveri e giudizi.
Dio «accogliere chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga». È la constatazione di Pietro nella seconda Lettura. Il favore e la benevolenza di Dio si riversano, come dono dello Spirito, anche – e soprattutto – sui più lontani (così giudicati dagli uomini più religiosi): è l’esito della missione di Gesù Cristo. Se la Chiesa si limita a chiudere le porte e a sanzionare le persone (dice papa Francesco), finisce per andare in senso opposto all’unico solo gesto del Signore, la sua giustizia: cercare e accogliere tutti, soprattutto quelli che stanno nella periferia.
Dinanzi a Gesù che vuole ricevere il battesimo, Giovanni si rifiuta perché vede i ruoli invertiti. Gesù gli chiede di accondiscendere al suo desiderio di essere battezzato, «perché conviene che adempiamo ogni giustizia».
Paolo dice: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2Cor 5,). In noi si compie la possibilità di vivere nella giustizia davanti a Dio: cioè di avere un reale e corretto rapporto con Lui. Noi che siamo deboli, poveri peccatori. Questo è stato reso possibile dal fatto che Cristo è stato addirittura reso peccato, «in nostro favore». Ha assunto tutta la debolezza umana e l’ha trasformata da impossibilità a situazione favorevole del rapporto con Dio. Cristo ha gridato tutto l’abbandono di Dio nella condizione di peccato, sulla croce. Vera preghiera di fede, che apre il cielo e ne fa discendere Dio. Non una via di perfezione, ma di abbassamento, di solidarietà, di fede dentro il buio, di consegna di sé al Padre dentro la più totale disperazione… E’ tutta la gamma della miseria umana assunta da Gesù Cristo che esprime il suo compiere la giustizia divina: l’unico gesto di liberare l’uomo povero e condannato.

Gesù «sale» (letteralmente) dall’acqua del battesimo. È un segno anticipato della risurrezione: è lo stesso verbo. Immerso – battezzato nella sua umanità, ma per sollevarla a vita nuova, risorta, ormai del tutto appartenente a Dio, alla sua salvezza e al suo regno.
Lo Spirito che scende e la voce dal cielo (voce del Padre nelle Scritture), gli vengono incontro: come un primo saggiare la vita nuova. Lo Spirito e la Parola del Padre esprimono tutto Dio che ormai riposa sull’umanità di Gesù di Nazaret: «Questi è il Figlio mio, l’amato». Lo Spirito non ha altro da suggerire, e la Parola non ho altro da rivelare: Dio è tutto amore paterno e materno (perché lo Spirito in ebraico è femminile). E tutto ciò a cui Lui guarda lo rende sua emanazione, suo compiacimento, suo figlio. Tutte le vite che il Figlio incontrerà saranno rese appartenenti al Padre; a partire dagli abitanti della Galilea, popolo che abitava nelle tenebre (cfr. Mt 4,12-17), dagli ignari pescatori di Galilea (cfr. Mt 4,18-22) e dai tanti malati della stessa regione (cfr. Mt 4,23-24). Per poi svilupparsi per le folle che arrivano dai territori più lontani (cfr. Mt 4,25), a cui Gesù rivela la beatitudine del regno: essere «figli del Padre vostro; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni…» (Mt 5,45): cuore di tutto il discorso della montagna.

Alberto Vianello

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