Mons. Francesco Follo. Lectio Divina "Ecco l'Agnello di Dio - Ecco l'Uomo"



PARIGI, 17 Gennaio 2014 (Zenit.org) - Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la II Domenica del Tempo Ordinario – Anno A.

LECTIO DIVINA

Ecco l’Agnello di Dio - Ecco l’Uomo

II Domenica del Tempo Ordinario – Anno A - 19 gennaio 2014

Rito Romano



Is 49, 3. 5-6; Sal 39; 1 Cor 1, 1-3; Gv 1, 29-34

Rito Ambrosiano – II Domenica dopo l’Epifania

Nm 20, 2. 6-13; Sal 94; Rm 8, 22-27; Gv 2, 1-11

1) L’Agnello di Dio è promozione dell’uomo.

Con questa Domenica inizia il periodo più lungo dell'anno liturgico: il Tempo ordinario [1], durante il quale la Chiesa non celebra un particolare mistero della vita del Signore e della storia della salvezza, ma il mistero di Cristo nella sua totalità. E’ il tempo per eccellenza della sequela sulle orme di Gesù verso il compimento della storia (34a domenica). E il periodo nel quale siamo invitati a contemplare gli insegnamenti e le opere del Salvatore durante la sua vita pubblica, così di domenica in domenica si segue il Signore sulla via del “compimento di ogni giustizia” (Mt 3,15), affinché la Chiesa diventi sempre più somigliante al suo maestro e sposo.

Per una comprensione più approfondita di questi avvenimenti, la Liturgia di oggi ce li fa esaminare alla luce della divinità di Gesù, la cui incarnazione rende la vita santuario della divinità. Non solo la sua vita è divina. Con la salvezza da lui portata portando via i peccati, la nostra vita quotidiana, il nostro lavoro, le nostre gioie e tenerezze diventano l’ambito della santità divina. In Gesù, Agnello di Dio[2], la santità si rivela come formidabile promozione della vita e dell’uomo. E l’uomo, perdonato, è trasfigurato, è reso figlio di Dio et artigiano di luce con le sue mani.

Nel giorno della sua ordinazione, il prete riceve la consacrazione delle mani. E’ un fatto magnifico. Ma nel Cristo tutte le mani sono sante, tutte le mani sono consacrate, tutte le mani possono diventare mani di luce. Nel Cristo tutti i corpi sono chiamati a diventare Tempio dello Spirito Santo e Membra di Gesù Cristo. Il Tempio che noi siamo è molto più bello di ogni chiesa fatta di pietra e Dio è in noi più che in una chiesa, perché è in quella chiesa per essere in noi.

Nel Vangelo tutti i volti sono chiamati a irradiare il Volto di Cristo. La vocazione che Lui offre quando ci è presentato come Agnello di Dio non è una chiamata ad entrare in un ambito proibito. Per raccoglierci in unità ci invita alla mensa, dove “molto semplicemente” si mangia del pane e del vino, che il sacramento ha reso il corpo ed il sangue dell’Agnello di Dio, perciò diventiamo Colui che mangiamo.

2) L’Agnello di Dio che perdona.

Nel brano evangelico di questa domenica (Gv 1,29-34) troviamo una professione di fede in Cristo che si articola in tre affermazioni:

“Ecco l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo” (1,29), l’Agnello che conduce alla sorgente della vita, della felicità, e asciuga ogni lacrima dai nostri occhi (cfr. Ap 7,14-17);

“Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba e fermarsi su di Lui”(1,32);

E “il Figlio di Dio” (1,34).

La dichiarazione su cui mi soffermo in particolare è la prima: “Ecco l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”, mettendoli su di sé. L’Immacolato, il quale cancella il peccato del mondo con le sue sofferenze e con la sua morte, svela il Suo Cuore a questo mondo che vuole misurare tutto, persino Dio e il suo dono.  Oggi, come ad ogni Messa, ci è chiesto di accogliere questa affermazione come di fatto è: indicazione del dono eucaristico di Dio a noi e di rispondervi come la liturgia ci chiede: “Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma di' soltanto una parola e io sarò salvato”. L’Agnello, che il prete mostra elevando l’ostia, è da adorare nella sua divina umiltà e da mangiare nella comunione alla sua infinita carità.

Per capire bene il brano del Vangelo di oggi, riandiamo alla scena che esso descrive. Trascorsi i quaranta giorni nel deserto dove era andato dopo il battesimo di Giovanni, Gesù ritorna dal Battista. Questi deve essere rimasto sconvolto dal vedere il Figlio di Dio tornare da lui e per di più con un aspetto di uomo provato dal digiuno e dalle tentazioni subite nel deserto. Giovanni sa che l’uomo che gli viene incontro di nuovo è il Figlio di Dio, l’Amato. Vede il Messia, che è della tribù di Giuda, ma in lui non percepisce il Leone di Giuda, vede l’Agnello di Dio, la vittima che si offriva liberamente in sacrificio perché il mondo fosse redento. Riconobbe tra la moltitudine dei peccatori lo splendore innocente dell’Uomo-Dio, che aveva lasciato la gloria del Cielo per andare al macello sulla Terra e lo indicò ai discepoli come persona da seguire al suo posto.

 I discepoli non capirono, non erano in grado di capire cosa volesse dire il loro maestro Giovanni indicando il Maestro Gesù come l’Agnello, immagine non chiaramente nota agli ebrei per indicare il liberatore tanto atteso. Noi invece sappiamo (o almeno possiamo saperlo) che nel Nuovo Testamento agnello ricorre quattro volte[3]  e sempre in riferimento a Gesù. In effetti fin dagli inizi la Chiesa guardò Gesù come Gesù vedeva se stesso, e cioè come il servo di Dio - innocente, sofferente e paziente - come un agnello, condotto al macello. Inoltre in aramaico “talja” significa sia “agnello” che “servo”. Infine secondo Giovanni[4]  Gesù è paragonato all'agnello pasquale, come si deduce dal fatto che la crocifissione ebbe luogo in coincidenza con la Pasqua ebraica e addirittura con l'ora stessa in cui nel tempio venivano immolati gli agnelli per il sacrificio pasquale (Come si può leggere anche nel libro Gesù di Nazareth di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Milano 2007, pp 446).

Il Vangelo di oggi ci mette di fronte alla missione di tenerezza di Cristo che domanda la collaborazione del nostro amore. Questo Vangelo ci fa mettere i nostri passi nei passi di Gesù e ci domanda di accompagnarlo fino alla fine, di realizzare questo piano misterioso in cui il trionfo di Dio deve compiersi nella “sconfitta” della Croce affinché sappiamo che non si tratta per noi di aspettare a braccia conserte la realizzazione di un destino che si compie senza di noi. Al contrario noi siamo coinvolti nel lavoro per costruire con Dio un mondo fondato sull’amore, un mondo la cui dimensione creatrice è una dimensione di generosità e di dono di sé, con Cristo, per Cristo e in Cristo.

La Chiesa conserva sempre nel suo cuore il Cuore dello Sposo e nel cuore della Chiesa è sempre possibile vivere la santità e divenire la sposa bella dell’Agnello immolato. In ciò ci sono di esempio le Vergini consacrate. Esse hanno risposto di sì a Cristo sposo e grazie a quel sì la loro presenza nella Chiesa e nel mondo è un Vangelo vivente, una testimonianza di Dio, che loro offrono, rivelano e comunicano senza bisogno di parlare.  La loro vita è vita di comunione d'amore con Cristo, che chiama, perdona e dimora con noi conformando noi a Lui: “Nella vita consacrata, dunque, non si tratta solo di seguire Cristo con tutto il cuore, amandolo «più del padre e della madre, più del figlio o della figlia» (cfr Mt 10, 37), come è chiesto ad ogni discepolo, ma di vivere ed esprimere ciò con l'adesione «conformativa» a Cristo dell'intera esistenza , in una tensione totalizzante che anticipa, nella misura possibile nel tempo e secondo i vari carismi, la perfezione escatologica”. (B. Giovanni Paolo II, Es. Ap. Post-Sin. Vita Consecrata,   N.16).

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