Don Luca Garbinetto " Cristiano, diventa ciò che sei"


V Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (09/02/2014)
Vangelo: Mt 5,13-16
‘Voi siete il sale della terra...'! ‘Voi siete la luce del mondo...'! Mi ha sempre impressionato la forza di queste espressioni di Gesù. Non un imperativo: ‘dovete essere'. Non un esortativo: ‘siate'. Non un ipotetico: ‘potete essere'.
No: ‘voi siete'! Gesù sta manifestando alle persone che ha davanti la loro identità. Sta dicendo ai suoi ascoltatori chi essi sono. Dall'alto del monte delle Beatitudini, mentre si sta spargendo per il mondo la Parola più rivoluzionaria mai pronunciata in tutti i tempi, arriva, subito dopo il dono della beatitudine (cfr. 5, 1-12), la definizione di una identità. ‘Voi siete'!
E chi sono, questi ascoltatori coinvolti da Gesù in questa straordinaria comunicazione di vita? Chi sono questi discepoli, scelti fra le folle che accorrono affascinate da questo autorevole predicatore di Israele?

Sono persone semplici, sono pescatori e artigiani, esattori delle tasse e ‘teste calde', chiamate a una avventura di cui ancora non sanno dove li porterà. Siamo all'inizio del viaggio verso la rivelazione definitiva del Regno di Dio che viene, e Gesù confida a questi normalissimi uomini di Galilea la loro vera vocazione, che corrisponde alla loro identità profonda: ‘voi siete il sale... la luce...'.
É sconvolgente. E consolante. Per due motivi. Primo, perché Gesù non parla a grandi uomini del panorama generale della storia, non si rivolge ai potenti e ai sapienti della terra, ma ai derelitti e agli esclusi, alle folle ‘senza pastore' che vanno errando non solo per le vie commerciali della Palestina, ma anche per i sentieri frastagliati del proprio essere uomini. Secondo, perché ad essi non regala innanzitutto un rimbrotto, un comando morale, un suggerimento o un consiglio; ma svela loro la loro bellezza.
Su questa terra spesso insipida, nei giorni monotoni e uggiosi, mentre scorre il tempo delle giornate ripetitive e faticose, voi - e cominciamo a dire noi, se ci riconosciamo altrettanto poveri e sgangherati - siete il sale che dà sapore e gusto alla vita. In questo mondo buio e annebbiato dall'egoismo, immerso nelle tenebre del relativismo, spogliato di qualsiasi stella che guida e abbagliato da false luminarie artificiose e disumane, voi - noi - siete la luce che si staglia come punto di riferimento per chi ha perso la strada, come raggio di speranza per chi non vede più futuro, come scintilla di gioia dove penetra subdola la tristezza e il pessimismo. Voi - noi siamo i cristiani, i discepoli del Cristo, i ‘posseduti' dallo Spirito Santo.
É chiaro: essere noi stessi, essere sale, essere luce, implica non solo una scoperta, ma anche stupore, riconoscenza e apertura. Perché il sale non si sala da solo; tanto che, se perde il sapore, ha perso se stesso e non si ritrova più. É degno solo di essere gettato via e calpestato. Questo valiamo senza il Cristo: un banale calpestio senza rumore! Il sale nasce invece dal lavoro di altri, prima di tutto della natura misteriosa, debitrice al suo Creatore di processi affascinanti che custodiscono e generano vita. Tra i modi in cui si forma il sale, ve n'è uno che ha molto a che vedere con noi: è il ritirarsi dell'acqua, è l'adagiarsi al fondo o sulla riva, dopo che le onde hanno pazientemente scalfito la materia. Ecco le saline, ecco il prodotto naturale raccolto dall'uomo.
Così siamo anche noi, cristiani. Siamo sale perché immersi nell'acqua del battesimo - immersione, appunto. L'acqua è per uccidere l'uomo vecchio, purificare le scorie, sconfiggere il peccato. Ne viene fuori l'uomo nuovo, la materia pura, la carne tempio dello Spirito. Questo è il sale della terra. Questo è il cristiano. Questi siamo noi: coloro che hanno ricevuto in dono il sapore dello Spirito, il gusto della vita, il tocco pungente dell'esistenza in Dio. É un dono che ci precede e ci sorprende. Dio è il grande lavoratore, che plasma la nostra persona, corpo e spirito, per renderla granello di sale da spargere nel gran banchetto del mondo. Da lì viene il nostro sapore, dal battesimo.
Conservare il sapore, allora, significa ravvivare in noi la grazia del battesimo. Ovunque, anche nella consuetudine di una vita ritmata dal lavoro domestico o operaio, d'ufficio o precario. É il battesimo, è lo Spirito in noi che ci rendono capaci di ‘pizzicare' con gioia l'esistenza, non le garanzie e le certezze della terra. É il nostro agire e operare secondo l'intuito della fede che ci rende conformi alla nostra identità di cristiani, anche quando siamo nascosti nel bel mezzo di un quadro d'impresa totalmente ateo o di uno staff di lavoro agnostico e indifferente. Di noi, più che le competenze lavorative, pur necessarie per essere coerenti e responsabili con la società che Dio ci ha affidato, devono ‘pungere' i tocchi dello Spirito: i gesti di gentilezza, le parole di sapienza, le scelte controcorrente. I sorrisi, la pazienza, l'onestà integerrima.
Il sale, così, conserva il bene e il bello della vita. Ma proprio perché pizzica, non sempre suscita piacere e interesse in chi preferisce un'esistenza sciapa, perché comoda.
L'ultima beatitudine, di fatto, ce lo annunciava. Mantenere il sapore del sale significa accettare la logica della persecuzione, che non è masochismo, ma offerta di sé. Non cerco di essere maltrattato e ingiuriato, cerco soltanto di essere me stesso: cristiano, uomo di Spirito, uomo con sale buono nel cuore e nella testa. Se questo porta l'esperienza della Croce con sé, alzo gli occhi e guardo a Lui, il primo ad essere stato salato con il fuoco del martirio. Il primo che, accettando di perdersi per salare e dare gusto alla vita degli altri, si è ritrovato in bellezza e in pienezza, Cibo perenne spezzato sul monte della beatitudine che è l'Eucaristia.
Sulla stessa scia di sapore, l'immagine della luce. La lampada è accesa di luce non propria. É la fonte della luce ciò che conta, è restare attaccati ad essa, perché non si spenga la fiammella che è in noi. La stessa che le vergini sagge portano fino all'incontro definitivo con lo Sposo, la stessa che lo Sposo stesso custodirà e proteggerà anche se lo stoppino è fumigante e debole. Ma quando la lampada è accesa, fa luce. Non c'è scampo: nel mondo la luce c'è per indicare una strada, per contrapporsi alla notte, per vincere le tenebre. Se la metto sotto il moggio, la lampada non si spegne, ma non fa il suo dovere.
Il che significa che, una volta ricevuto il dono dello Spirito, comunque portiamo in noi questo fuoco. Ciò che ne facciamo, diventa in ogni caso testimoniante: o nel bene, o nel male. Se sono cristiano, e non vivo come tale, comunque testimonio: testimonio negativamente, spreco l'energia della vita, occulto a chi ne ha bisogno un barlume di speranza.
Se sono cristiano, e compio ‘opere buone', testimonio la bellezza e la forza della fonte, alimento il fascino per la sorgente, indirizzo alla centrale elettrica. A volte c'è rimasta solo la brace sotto la cenere... ma il fuoco c'è, niente e nessuno può spegnerlo definitivamente!
Anche nel lavoro, nell'ordinarietà delle nostre faccende, scegliere il bene anziché il male, realizza la nostra identità e suscita nuovi squarci di luce nelle ombre dell'esistenza. Forse sono più importanti queste fiammelle che non spaventano chi ci è accanto, piuttosto che gli incendi che mascherano fuochi di paglia. Perché sono solo le fiammelle che possono contagiare e accendere altre fiammelle, e una luce pur tenue suscita nella lampada timorosa il desiderio di essere a sua volta luce.
E le fiammelle non corrono il rischio mai di offuscare lo splendore abbagliante del Sole. "Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli"(5,16).

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