Enzo Bianchi"Se la Chiesa ascolta il mondo"

 “La Stampa” del 23 febbraio 2014
In vista del sinodo dei vescovi, papa Francesco ha voluto inaugurare una nuova modalità nella
preparazione del confronto che avverrà in Vaticano il prossimo autunno: affinché si viva davvero un
evento sinodale coinvolgente tutta la Chiesa è stato inviato un questionario alle singole diocesi in
modo che in ogni Chiesa locale, parrocchia o comunità fosse possibile per i cristiani manifestare il
proprio pensiero su temi e problemi morali che devono essere affrontati con urgenza e sui quali va
pronunciata una parola profondamente cristiana. Questa iniziativa - che non è piaciuta ad alcuni i
quali, senza contestarla apertamente, non hanno assunto alcuna iniziativa né avviato la
discussione... - risponde a un bisogno già manifestato negli Anni Cinquanta da Pio XII: l’emergere

di un’opinione pubblica nella Chiesa, di un confronto che, invece di tacitare i conflitti o ignorare i
nuovi problemi, li affronti e cerchi di risolverli con il discernimento ecclesiale. Soprattutto sui temi
inerenti alla famiglia e alla sessualità era diventato necessario ascoltare quanti vivono la realtà del
matrimonio cristiano o della vita di coppia e dare voce anche a quelli che si sentono in situazione di
difficoltà o di contraddizione rispetto al magistero tradizionale della Chiesa. Ascoltare! Operazione
non solo necessaria in tutte le relazioni umane, ma anche profondamente cristiana, essenziale per
vivere la comunità dei credenti, cioè la Chiesa. Ebbene, da questo lungo e intenso confronto
preparatorio, il questionario ha ricevuto una gran quantità di risposte, mostrando quanto le comunità
siano vivaci e capaci di esprimere in modo motivato le loro considerazioni, anche nel
coinvolgimento dei mutamenti culturali e di costume avvenuti in questi ultimi decenni soprattutto
nelle Chiese di antica tradizione cristiana occidentale. Per due anni ci sarà un cammino veramente
sinodale di tutta la Chiesa su questi temi così urgenti.
Contemporaneamente - e non poteva essere altrimenti - aziende e organismi internazionali
operavano sondaggi per conoscere le differenti posizioni delle popolazioni dei vari Paesi. In questi
giorni appaiono sui media i dati, in verità non così sorprendenti per chi conosce le valutazioni etiche
e morali di cui è capace la gente comune. Certo, appare evidente in Italia - l’Italia considerata
cattolica, «zoccolo duro del cattolicesimo» come amano definirla alcuni ecclesiastici - un
disaccordo rispetto alle posizioni della Chiesa più marcato che non in altri Paesi. Questo ci
interpella? Forse il disaccordo dipende dal fatto che in Italia l’etica non è così determinante come in
altri Paesi? Gli italiani pensano che il divorzio non costituisca peccato così come pensano che il non
pagare le tasse non sia peccato? Come mai in Italia - Paese in cui la percentuale (80%) di chi si
definisce cattolico o frequenta la messa domenicale è la più alta di tutte le circa venti nazioni
«cattoliche» occidentali - si disattende così largamente ciò che pensa la Chiesa? E come mai,
soprattutto negli ultimi due decenni, c’è stato questo vistoso allontanamento dalla Chiesa da parte
delle donne e delle nuove generazioni? E come leggere il dato che in Italia - pur nella denuncia
ostinata della pedofilia - quasi un cittadino su tre ritiene ammissibili relazioni sessuali con minori?
Purtroppo sui media appaiono molte semplificazioni che suscitano attese e speranze sbagliate nei
confronti della Chiesa cattolica su situazioni sovente vissute nella sofferenza e nella fatica, ma sulle
quali è necessario anche conoscere ciò che nel Vangelo appare ispirante e determinante. La Chiesa,
infatti, deve sì ascoltare l’umanità, ma deve anche essere capace - in obbedienza a quella che per lei
è «parola del Signore» - di operare un discernimento per riconoscere anche la mondanità che può
essere presente nelle richieste e nelle valutazioni dei cattolici. È un dato evidente che oggi una certa
mondanità alligna in tutta la Chiesa e perciò anche nel popolo dei credenti: anche nello spazio
cristiano abita una dominante di resa al mondo, di accoglienza di una cultura che contraddice il
vangelo perché idolatra. Ora, l’idolatria è un falso umano, non teologico: è infatti alienazione e
impedimento a un cammino di autentica umanizzazione. Ci basti come esempio il matrimonio. C’è
una parola precisa di Gesù sulla non bontà del divorzio, alla quale il cristiano deve fare obbedienza.
La chiesa, nel richiedere questa obbedienza, deve mettersi in ginocchio, deve proclamarla senza arroganza né spirito di condanna nei confronti di chi infrange questa volontà di Dio, ma non può
tacerla o negarla. Che senso ha, allora, chiedere se i divorziati devono essere ammessi alla
partecipazione eucaristica? Quali divorziati? Quelli che fanno della vita di coppia un’avventura?
Quelli che non hanno né esigenze etiche né saldezza nella fede? Oppure quelli che hanno vissuto il
matrimonio senza le condizioni necessarie perché fosse un vero sacramento, dunque indissolubile, e
che poi in una nuova unione mostrano fedeltà, perseveranza e capacità di compiere un autentico
cammino cristiano? Sì, conosciamo bene nella vita di ogni giorno quanti sono i fallimenti nella
vicenda del matrimonio. E conosciamo anche molti che trovano in una nuova unione una via che
conosce l’amore fedele, la perseveranza, una vita rinnovata che cerca di realizzare le esigenze
cristiane. Con un vero discernimento, senza fretta ma dopo un tempo congruo che possa
testimoniare una determinazione di amore fedele e di «fare storia» nell’amore, sarà possibile la
riammissione eucaristica? Non potremmo ascoltare dalle Chiese ortodosse la loro prassi millenaria
nella quale si cerca di vivere la vocazione cristiana del matrimonio indissolubile nell’economia
della misericordia? La relazione del cardinal Kasper tenuta in questi giorni ai cardinali riuniti in
concistoro è voce non solo di un grande teologo, ma di un pastore che conosce bene la situazione
del gregge, così come conosce bene la parola del Signore: verità nella misericordia, sempre.
La Chiesa non può svuotare il Vangelo o annacquarlo, ma può ricercare e leggere, più in profondità,
le nuove condizioni in cui sono immessi i credenti e discernere se ci sono possibilità di considerare
un nuovo cammino matrimoniale come autentico e coerente con le parole di Gesù. Noi credenti
siamo tutti peccatori, e i peccati mutano da una persona all’altra, ma tutti li commettiamo e ne
siamo responsabili. Certo, alcuni peccati non sono intimi, nascosti, bensì pubblici: per questo la
Chiesa vuole che visibilmente appaia coerenza tra la vita pubblica e le esigenze della partecipazione
all’eucaristia, ma le situazioni sono molto diverse e la Chiesa deve imparare a discernerle per
accompagnare ciascuno con misericordia nel cammino della verità. Del resto, come diceva già il
concilio di Trento, l’eucaristia è anche per la remissione dei peccati, è viatico per il credente
pellegrino e penitente. Non si dimentichi che la legge secondo il Vangelo vige finché non avviene il
peccato ma, consumato il peccato, deve regnare la misericordia. Nessun legalismo, allora, nessuna
rigidità, ma anche nessuna grazia a basso prezzo. Fra etica dominante ed etica cristiana non c’è
identificazione, anche se i cristiani devono ascoltare le istanze provenienti dalla società. Ma i
discepoli di Cristo devono avere anche il coraggio della «differenza», dell’essere sale della terra,
capaci di dare sapore alla vita umana e di impegnarsi per l’umanizzazione e l’autentica libertà di
tutti.

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