Abbazia di Pulsano Lectio Divina, Domenica “delle tentazioni nel deserto”

I Domenica di Quaresima A
Matteo 4,1-11;  Genesi 2,7-9; 3,1-7;  Salmo 50; Rm 5,12-19
Antifona d’Ingresso Sal 90,15-16
Egli mi invocherà e io lo esaudirò;
gli darò salvezza e gloria,
lo sazierò con una lunga vita.
Già dal primo testo liturgico, nell’antifona d’ingresso, il Sal 90,15ac.l6a, DSap. risuona l’ottimismo. Questo Salmo, conosciuto come il Qui habitat, era molto pregato in ogni caso di necessità e dal pellegrino che recatosi al Tempio di Gerusalemme trascorreva la notte entro il suo recinto (v. 1) attendendo un oracolo di JHWH. Mettendosi sotto la protezione divina il fedele troverà salvezza e liberazione dal nemico, dalla
malattia e da ogni pericolo (vv. 3-8.10-13).
Questo salmo è particolarmente conosciuto nel N.T. (cf Mt 4,6: Mc 16,18; Lc 10,19) e il Satana lo utilizza per tentare Gesù che reagisce ribadendo che la fede nella provvidenza divina esclude ogni aspetto magico e non può essere un pretesto per “costringere” il Signore a compiere miracoli. La liturgia giudaica e cristiana (nella Compieta dopo i secondi Vespri della Domenica) lo propone come preghiera serale.
Nei versetti liturgici il Signore proclama per bocca di Cristo, l’Orante dei Salmi in Quaresima, che esaudirà sempre chiunque Lo invocherà (il giusto sof­ferente, Gb 22,27 e Ger 33,3; il giusto caritatevole, Is 58,9), tanto più il Figlio, il sommo Epicleta del Padre nello Spirito Santo (v. 15a). Il Signore lo sottrarrà da qualunque pericolo, e gli conferirà la sua gloria (v. 15c; Mt 4,11, gli Angeli che si accostano come al Re e servono come Dio il Tentato vittorioso). È la gloria che il Padre destina al Figlio (Gv 12,26), a cui il Figlio ha diritto (Gv 17,1-3), a cui il Figlio ammette donando lo Spirito Santo.

Canto all’Evangelo Mt 4,4b
Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria!
Non di solo pane vive l’uomo,
ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.
Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria!

La citazione di Mt 4,4b. (tratta da Dt 8,3) nel canto all’Evangelo e nell’antif. alla comunione dà tono a tutta la Quaresima, e a tutta la celebrazione di oggi
Letta nel contesto dell’Evangelo di oggi, ne dà l’orientamento, accentuando il senso forte della Parola Pane, «il Corpo di Cristo che si mangia ascoltando» (i Padri), il Cibo divino sempre indispensabile, ma tanto più nella tensione spirituale quaresimale.
Nell’antif. alla comunione la Parola si mangia «con la bocca del cuore nostro»:
1. Essa è Corpo di Cristo che nutre.
2. Si prolunga nel Pane e nella Coppa.
3. È nel Corpo di Cristo ch’è la Chiesa Madre.
Induce ad accettare questa triplice unitaria divina Comunione il Dono dello Spirito Santo, il solo che ponga in comunione con il Signore, la Parola del Padre, la Testa del suo Corpo sacrificale ch’è la Chiesa Sposa. Si rende autentica questa celebrazione di Lui accettandone le realtà e le conseguenze di vita. La Vittoria di Cristo Tentato diventa la vittoria di tutti i fedeli. Tale sano ottimismo fa proseguire verso la Casa del Padre, che attende tutti i figli battezzati.
La grande e santa Quaresima per la sua solennità ineguagliabile di tutti i suoi giorni non è soltanto né principalmente sforzo personale, impegno ascetico ma accoglienza e sviluppo della vita divina germinata in noi mediante il battesimo. Per questo il clima quaresimale non è triste, lugubre, pesante ma gioioso perché riflette quello pasquale: «tu doni ai tuoi fedeli di prepararsi con gioia... alla celebrazione della Pasqua1». La tradizione liturgica bizantina parla della Santa e grande Quaresima come di un tempo di “radiosa tristezza”.
Tutto questo non è però frutto del nostro desiderio e impegno ma è dono gratuito di Dio Padre in Cristo nell’amore dello Spirito Santo che ci viene comunicato.
La duplice indole della Quaresima che come tempo «prepara» alla Resurrezione mentre come contenuti «celebra» la Resurrezione, in specie nelle sue Domeniche è stata affermata già nella Sacrosantum Concilium (cf. SC109 e 110 del Concilio Vat. II).
Il lezionario del tempo quaresimale, ciclo A, esprime questi grandi temi presentandoci, nelle prime due domeniche, Cristo nella sua realtà di uomo orientato all’adempimento della volontà del Padre, nelle altre tre, Cristo che agisce con segni di salvezza.
Centrata su un episodio temibile della Vita del Signore, questa domenica che apre la serie domenicale quaresimale è per intero la presentazione dell’ottimismo evangelico. La vittoria del Signore contro Satana trae con sé infatti una stupenda pagina di «teologia della storia».
Il contesto della pericope evangelica è il battesimo del Giordano, immediatamente precedente, e l’inizio della predicazione in Galilea (rifarsi alle Dom. I e III per l’anno). La breve informazione marciana sul digiuno di 40 giorni nel deserto e sulla tentazione è ampliata da Matteo e Luca in una triplice tentazione.
Una fonte scritta comune per Matteo e Luca non è ovvia; se c’è una fonte comune, uno dei due evangelisti l’ha sfruttata con una certa libertà. Le citazioni bibliche sono identiche nei due evangeli.
L’ordine della seconda e della terza tentazione è invertito in Luca rispetto a Matteo; l’ordine del primo evangelista sembra avere un crescendo deliberatamente voluto.
L’episodio non può essere preso come una narrazione storica nel senso stretto della parola a causa di certi dettagli chiaramente immaginari, come la «levitazione» del Salvatore da parte del diavolo sul pinnacolo del Tempio e la «visione» di tutti i regni della terra dalla cima di un monte, anche se «altissimo», e neppure come una composizione letteraria ben elaborata atta a mettere in risalto, con la forma drammatica, il carattere proprio del messianismo di Gesù. L’accostamento di questa pagina evangelica con Gen 3 e, soprattutto con Dt 6-8 (citato più volte nel corso del racconto), ha indotto vari esegeti moderni a scorgere in essa un «midrash» aggadico, costruito sui due testi veterotestamentari accennati, che tuttavia si rifa ad una esperienza reale del Salvatore. L’esperienza inoltre non è circoscritta a un solo momento della sua vita, bensì l’abbraccia interamente, fino al Getsemani (quando chiede al Padre il trapasso del calice della passione, Mt 26,38-42) e sulla croce (Mt 27,39-44).
Nel parlare delle tentazioni di Gesù l’evangelista pensa a quelle del popolo ebraico nel deserto sinaitico che per 40 anni è stato messo alla prova da Dio (la fame, la sete, il fastidio dei serpenti, ecc.) ma più di una volta ha tenuto a verificare la fedeltà del Signore nei suoi riguardi (cfr. Dt 6,16; Es 16,2-3; 17,1-7; Sal 95,8-10; ecc.). Sia Israele che Gesù hanno avuto varie prove; quelle che i testi sacri segnalano sono riassuntive di tutta la loro esperienza.
Le tentazioni di Gesù sono tre, un numero altamente simbolico; indica la pienezza della prova e la perfezione che consegue chi l’ha superata. Chi si trova a collaborare con Dio deve sempre dar prova di abbandono, di fiducia al suo volere; la differenza sta solo in ciò: Israele troppo spesso è caduto nelle tentazioni, Gesù le ha vinte.
La fede non ha bisogno di prove; ha il suo fondamento solo sulla Parola di Dio.
Il titolo abitualmente dato a Mt 4,1-11 e ai passi paralleli (Mc 1,12-13 e Lc 4,1-13) è «Le tentazioni di Gesù». Un titolo migliore, più consono alla base biblica del racconto contenuto nel libro del Deuteronomio sarebbe «Il Figlio di Dio messo alla prova». Lo scopo del passo non è tanto di vedere se il diavolo riesca ad adescare Gesù in questo o quel peccato, quanto piuttosto di presentare Gesù come Figlio di Dio che è stato «lui stesso provato in ogni cosa, come noi, escluso il peccato» (Eb 4,15). Nelle cose in cui Israele nel deserto ha fallito, Gesù supera tutte le prove.
La versione di Marco (Mc 1,12-13) è molto breve in confronto a Mt 4,1-11 e Lc 4,1-13. Quello di Marco è un racconto lineare, senza i lunghi dialoghi degli altri Evangeli. Le versioni di Matteo e di Luca sono chiaramente affini. Dato che si allontanano da Marco e sono molto simili tra loro, vengono normalmente attribuite alla fonte Q (anche se per la loro lunghezza e complessità si scostano dal semplice materiale dei detti caratteristico di Q).
Dopo un’introduzione narrativa (Mt 4,1-2) la versione di Matteo riporta tre dialoghi tra il diavolo e Gesù (4,3-4.5-7.8-10) e una conclusione narrativa (4,11). In ciascuno dei dialoghi il diavolo presenta una prova e Gesù risponde con una citazione dal Deuteronomio 6-8. Le citazioni bibliche corrispondono da vicino ai Settanta, il che sta ad indicare che perlomeno il testo attuale è stato composto in greco sulla base della Bibbia greca. Se la storia risalga a qualche scriba giudeo-cristiano o allo stesso Gesù non è dato di sapere.

Esaminiamo il brano

v. 1 - «Gesù»: non è chiamato messia o con altro titolo; Matteo vuol porre in evidenza che quanto sta per esporre e le conclusioni teologiche che ne derivano, riguardano quel Gesù partorito da Maria e del quale ha esposto gli eventi della nascita e del battesimo. È l’uomo come noi che sta per essere tentato (Eb 2,18).
«fu condotto dallo Spirito nel deserto»: è il passivo della divinità. Gesù non va’ nel deserto di sua spontanea volontà. Quello stesso Spirito che rese possibile la sua generazione (Mt 1,20; Lc 1,35) ed era venuto visibilmente su di lui per mostrare a tutti il compiacimento del Padre (Mt 3,16), ora lo conduce nel deserto come aveva condotto il popolo eletto (Dt 8,2). Secondo la tradizione, teatro delle tentazioni fu la zona desertica intorno a Gerico (deserto della Giudea), non lontano dal luogo del battesimo (zona, sempre secondo la tradizione, individuata con El Maghtas, circa 9 Km a est-sud est di Gerico).
I visitatori di Tell es-Sultan (la Gerico dell’A.T.) godono un’ottima vista del tradizionale Monte delle Tentazioni (la tradizione risale al VII secolo) sulla cui cima Satana offrì a Gesù tutti i regni della terra a patto che si prostrasse per adorarlo. Il nome arabo della montagna, Jabal Quruntul, deriva evidentemente dalla parola francese quarante introdotta dai crociati in ricordo dei quaranta giorni delle tentazioni.
«per essere tentato»: (il verbo è peirázō) tentare nel linguaggio biblico ha un duplice significato: «mettere alla prova, saggiare» e «far deviare dalla retta via».
Nell’AT «tentare» o «mettere alla prova» si riferisce al procedimento per cui la controparte in un contratto o alleanza viene attentamente esaminata per stabilire la sua fedeltà nell’osservanza dell’accordo. Nel contesto dei rapporti tra Israele e Dio questo procedimento rivelerà se Israele è fedele o meno. Dio può mettere alla prova Israele, ma Israele non può mettere alla prova Dio. Qui le tentazioni dimostreranno la fedeltà del Figlio di Dio.
Nel nostro brano il secondo significato prevale, ma non si esclude del tutto il primo, a motivo della velata allusione a Dt 8,2.
Che vuol dire che Gesù possa essere tentato?
Intanto la tentazione è voluta dal Padre, che la permette, e lo Spirito ve lo accompagna senza resistenza; poiché la «tentazione» è da accettare, afferma l’apostolo per i fedeli, come «gioia», in quanto così - forse, solo così - la fede genera la pazienza divina, e chi sta in queste condizioni è «perfetto ed integro, in nulla lasciato indietro» (cfr Giac 1,2-4).
Ma non solo. La riflessione apostolica aggiunge il nucleo sostanziale della spiegazione; la Chiesa antica comprese che solo se tentato il Signore può aiutare realmente i tentati (Eb 2,18), e per operare questo, egli deve essere «in tutto come noi, salvo il peccato» (cfr Eb 4,15).
Immenso richiamo a noi: «voi siete quelli che perseveraste con me nelle tentazioni mie» (Lc 22,28), se vogliamo «avere parte» intera con lui (cfr Gv 13,8b).
«diavolo»: in gr diábolos. Qui si insinua colui che è sempre in agguato tra gli uomini, «il tentatore», come già contro Adamo ed Eva innocenti ancora (cfr I Lett.), come poi contro tutti i fedeli del Signore (cfr 1 Tess 3,5).
Il tentatore ha 3 nomi di morte, e produce 3 tentazioni di morte:
a)  «il tentatore», v. 3; come tale chiede a Gesù di fare un inutile prodigio;
b)  «il diavolo», alla lettera «il divisore», gr. dia-bàlló, v. 5 (vedi anche vv. 1 e 8 quale nome generico); come tale chiede a Gesù di «separarsi» dal Padre sfidandolo in un capitombolo temerario e inutile.
c)  «satana», v. 10, nome datogli da Gesù, che significa dall’ebr. satan, aramaico satana’, «il nemico», l’accusatore dell’uomo per rovinarlo e rovinare il Disegno divino (cfr tutto Giobbe).
v. 2 «quaranta giorni e quaranta notti»: È il tempo dell’attesa e della prova; della rivelazione.
Gesù segue l’esempio dei Padri: Mose aveva digiunato 40 giorni sul monte, alla presenza del Signore, per ricevere la sua Legge santa (cfr Es 34,28; Dt 9,9); spezzate le tavole per il grande peccato del Vitello d’oro, ripetè lo stesso digiuno (Dt 9,18).
vv. 3-4 - Eccoci alle 3 tentazioni (numero perfetto), ripetute puntualmente, come all’inizio, così al culmine della Vita del Signore, alla Croce, dove al Figlio di Dio e Re Salvatore si chiede nella beffa più incosciente che malvagia, «scendi dalla Croce, salvati - salvati, scendi dalla Croce» (Mt 27,40.42.44).
Le tre tentazioni possono essere sintetizzate come tentazioni sull’uso del potere; la prima tentazione infatti è una sollecitazione ad usare il potere taumaturgico per provvedere alle ordinarie necessità materiali.
«Se sei Figlio di Dio»: proclamato al battesimo "Tu sei", ecco il dubbio "se". È la radice di ogni tentazione anche per noi, resi da Dio veramente suoi figli, battezzati e segnati dalla Croce di lui.
"Figlio di Dio" è detto proprio dai demoni (8,29); dai discepoli (14,33) e da Pietro (16,16); è la domanda del sommo sacerdote (26,63) a cui Gesù risponde con decisione ed estrema chiarezza; è la proclamazione finale del centurione sotto la Croce (27,54). Nessuno ne dubita. Ma il tentatore obliquamente accusa il Padre di aver mentito al Battesimo.
Che cosa deve fare il Figlio di Dio per dimostrare di esserlo? Poco. Tramutare «queste pietre in pane» con la sola parola.
Gesù è tentato a porre un segno di sfiducia nel Padre suo incapace di procurargli il cibo; è la tentazione a cui Israele non seppe resistere quando si trovava nel deserto: anch’egli "Figlio di Dio" (cfr Es 4,22), non ebbe fiducia nel Padre (Es 16,3) mormorando contro di lui perché mancava di cibo (cf “gli affanni” della Dom. VIII Tempo Ord. A).
«dì»: (comanda) l’imperativo aoristo positivo ordina di dare inizio a un’azione nuova. Gesù usa la parola, ma delude il tentatore; risponde in modo tagliente rimandando alla sola Parola divina.
Così Gesù «prende la Spada dello Spirito ch’è la Parola di Dio» (cfr Ef 6,17) e taglia netto: «Sta scritto» ossia alla lettera, «è stato scritto da Dio» (è il passivo della Divinità, per non nominare il nome di divino).
Gesù contrappone alla tentazione la riflessione e l’ammonimento di Mose ad Israele proprio riguardo a quell’episodio (Dt 8,3); Gesù sa che ogni parola di Dio è promessa che non viene mai meno.
vv. 5-7 - Anche la seconda tentazione, non meno insidiosa, riguarda il potere taumaturgico; viene chiesto a Gesù di dare un segno spettacolare e convincente che forzerebbe a credere nella sua messianicità.
Dalla mancanza di fiducia nella Provvidenza il tentatore passa al lato opposto suggerendo una eccessiva fiducia, tale da mettere alla prova Dio, cosa severamente condannata nella Bibbia (cfr Dt 6,16, che è il testo citato).
«Prende Gesù» (il testo traduce "condusse con se"), verbo paralambánō che indica la «consegna», alla lettera, che il Padre e lo Spirito fanno di Gesù al diavolo. Richiama quasi alla lettera un testo antico e importante:
Io vi assunsi verso l’alto (analambànó)
come su ali di aquile,
ed Io mi feci accostare voi a Me stesso (Es 19,4), dal testo greco dei Settanta. Mentre il Signore ha assunto a sé il popolo suo per donargli la grazia dell’alleanza al Sinai, adesso il medesimo permette che il Figlio suo unico sia catturato fisicamente, estremo atto di violenza, che avrà il seguito solo alla Passione ed alla croce.
Il diavolo mostra di conoscere perfino i testi «messianici» e di saperli applicare; cita Sal 91(90),11a.l2ab, un salmo didattico sapienziale e l’applicazione al Messia calza a pennello, beninteso quello immaginato dal diavolo.
Gesù è «la Parola Vivente» del Padre; egli è il contenuto della scrittura; la conosce solo lui e la sa applicare solo lui.
Con pazienza respinge la seconda tentazione citando ancora la Scrittura, questa volta dal Deuteronomio cap. 6, celebre contesto dello Shema’, Jisrael!, «Ascolta, Israele!», che inculca il precetto dell’amore verso il Signore unico, che è fedele e non và tentato come avvenne a Massah (Es 17,7).
Gesù ha subito nuovamente questa stessa tentazione durante la passione (cfr Mt 26,51-54).
«gettati»: il verbo è ancora all’imperativo aoristo positivo che ordina di dare inizio a un’azione nuova.
vv. 8-9 - Ancora il diavolo fa violenza a Gesù «ricevuto» (paralambánō) dal Padre e dallo Spirito; lo porta su un monte alto.
È una tentazione di potenza politica, dominio sfrenato, potere sconfinato, successo militare, tirannia su tutti gli uomini.
Il sogno dell’«impero universale», cominciato nel 3° millennio a. C. in Mesopotamia, con gli Assiri, poi i Persiani, Alessandro Magno, Roma, i barbari, Carlo Magno, l’islam, Napoleone, il nazismo ecc. sino ai giorni nostri.
Il diavolo mente spudoratamente: «io donerò tutto questo a te», come se la sovranità traesse origine da lui.
In realtà «tutto il potere» è stato rimesso, ai fini della salvezza degli uomini, solo al Figlio dell’uomo, e direttamente da Dio (cfr Dn 7,13-14; Mt 28,18a). Il tentatore svela il suo pensiero recondito: egli non tanto vuole informarsi sulla qualità di «Figlio di Dio» di Gesù, ma intende provarlo e farlo deviare dal piano divino, inducendolo a scegliere la via di un messianismo terreno.
Satana mira a possedere il cuore dell’uomo: il tentatore dà per avere; il suo non è un dono gratuito né, tanto meno, disinteressato. Egli intende far da padrone della vita delle persone e ricevere da loro il massimo onore che è appunto l’adorazione.
v. 10 – L’evangelista Matteo pone un avverbio: tòte, allora; finalmente Gesù dice la parola finale, una risposta che supera in severità le precedenti, ed è preceduta da un ordine al demonio di allontanarsi.
Il tentatore è smascherato; è «il nemico» (satana) è cacciato via; anche Pietro, per aver tentato di distogliere il Maestro dalla linea del messianismo doloroso, meriterà, nonostante la sua recente confessione messianica, il titolo di «satana» (Mt 16,23). Contro il diavolo l’arma micidiale è la Scrittura; il Signore ce lo dimostra, armiamoci di essa per sempre. Gesù per la terza volta cita la Scrittura, per la seconda volta dal Deuteronomio, dallo stesso contesto della citazione precedente.
La prostrazione e il servizio liturgico è dovuto solo al Signore; è lo stesso credo proclamato ogni giorno da Israele, fedeltà non sempre autentica, spesso macchiata da compromessi. In Gesù è riproposta la storia d’Israele, ma in Gesù si deve rispecchiare la Chiesa, che continua la sua missione, e quindi tutti noi che la formiamo. È questo il senso della prima unzione, quella sul petto, della liturgia battesimale; per mezzo di essa si esprime il dono del Cristo Risorto che attraverso lo Spirito mette in grado il fedele di sfuggire alla presa della tentazione e mantenere il suo orientamento al Padre.
v. 11 - Ecco la conclusione attesa dal Padre e dallo Spirito per il Figlio: «allora il diavolo lo lascia» al Padre ed allo Spirito.
Luca annota preziosamente per noi: «il diavolo si allontanò da lui fino al kairós» (Lc 4,13c), «tempo prestabilito» da Dio, la Croce sotto la quale il diavolo farà ripetere le tre tentazioni.
Il «servizio» (diakonéō) degli angeli a cui Marco aggiunge l’amichevole compagnia delle fiere (Mc 1,13), è indice, e simbolo insieme, del paradiso terrestre riconquistato dall’umanità mediante la rivincita del Messia su satana.
Gesù è accompagnato dagli angeli nel suo percorso anche per sottolineare come in realtà quello che il diavolo vantava come promessa di Dio, da sottoporre a verifica, di cui poter dubitare, ha una pronta attuazione, una volta che è superata la tentazione di fare della realizzazione di sé il centro e la condizione della propria scelta di fede. Se Dio è scelto con libertà e per se stesso, interviene poi a prendersi cura di chi lo ha scelto e consente che parta l’avventura della predicazione affidata a Gesù. È la fedeltà espressa in Gesù che apre le strade alla giustificazione annunciata dalla lettera ai Romani.

II Colletta:
O Dio, che conosci la fragilità della natura umana ferita dal peccato,
concedi al tuo popolo di intraprendere
con la forza della tua parola
il cammino quaresimale,
per vincere le seduzioni del maligno
e giungere alla Pasqua nella gioia dello Spirito.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...




Lunedì 3 marzo 2014
Abbazia Santa Maria di Pulsano

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