dom Luigi Gioia " Sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna"


III Domenica di Quaresima (Anno A) (23/03/2014)
Vangelo: Gv 4,5-42
La prima e la seconda lettura di questa terza domenica di quaresima ci presentano due atteggiamenti opposti nei confronti del Padre.
La prima lettura ci presenta il popolo nel deserto, questo deserto nel quale era stato condotto dal Padre per scampare alla schiavitù degli egiziani, questo deserto in cui si trovava come popolo liberato. In questo deserto, dunque, vediamo ad un certo punto il popolo dimenticare tutti i benefici ricevuti dal Signore e mormorare a causa della sete contro Mosè e dire: Perché ci hai fatti salire dall'Egitto per farci morire di sete, noi, i nostri figli e il nostro bestiame? Gli israeliti non credono più che il Signore sia in mezzo a loro e si lasciano vincere da un atteggiamento che possiamo descrivere come quello della disperazione. E' successo a loro, ma minaccia costantemente anche noi malgrado la nostra fede, malgrado la nostra vita cristiana, malgrado la nostra preghiera, malgrado il nostro desiderio sincero di riconoscere costantemente il Signore presente nella nostra vita, anche quando questo sembra difficile. Ebbene, non dobbiamo aver paura. Se arrivano momenti nei quali siamo tentati di disperare, siamo tentati di non riconoscere questa sua presenza e questa sua azione nella nostra vita, non dobbiamo spaventarci.


A fronte di questa tentazione infatti vediamo, nella seconda lettura, la lucida e profonda confessione di fede di Paolo il quale alla tentazione della disperazione risponde con un elogio straordinario della speranza: La speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.
Non è un caso se troviamo qui espressa la metafora del versamento. Alla nostra sete, che prima di essere una sete fisica è una sete di amore, una sete di senso, una sete di vita, può rispondere solo quello che il Signore versa nel nostro cuore. La speranza non delude, perché alla nostra sete d'amore ha risposto il Padre, versando il suo Spirito Santo nei nostri cuori. Noi sappiamo che lo Spirito Santo è chiamato nella Bibbia il Paraclito, il Consolatore. Lo Spirito Santo è colui che ci consola, è colui che ci da la forza, che ci insegna a pregare, che ci rivela le profondità di Dio, che ci aiuta sempre più profondamente ad entrare nella vita divina.
In questo tempo di quaresima, in questo deserto nel quale ci troviamo per aver seguito Gesù, possiamo trovarci anche noi ad un bivio tra la disperazione e la speranza.
Possiamo anche noi, come il popolo nel deserto, attraversare dei momenti nei quali non riconosciamo più l'azione del Signore nella nostra vita ed essere anche noi tentati dalla disperazione: perché averci condotti in questo deserto?
Oppure ci può essere anche per noi, come per Paolo, l'apertura verso questa speranza che non confonde: osare continuare a sperare nel Signore anche contro ogni evidenza contraria. La speranza non confonde perché alla fine il Signore risponde sempre. Noi lo sappiamo, perché ne abbiamo la prova nel nostro stesso cuore, perché basta rientrare in noi stessi per ritrovare questo Spirito, questo Amore che il Padre vi ha versato.
Ed è proprio questo ciò che lo splendido brano del vangelo di oggi chiama adorazione. Viene l'ora - dice Gesù - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità. Che cos'è l'adorazione se non questa capacità di rientrare in noi stessi e scoprire che in
noi zampilla una fonte di acqua viva, la fonte dello Spirito Santo che è stato versato nei nostri cuori? Questa è l'adorazione!
L'adorazione è qualcosa che abbiamo bisogno di imparare. Ed essa si impara solo in due modi. Prima di tutto lasciandoci condurre nel deserto dove siamo provocati dalla nostra sete a cercare dove dissetarla. Questo ci conduce allora a prendere questo cammino, questa via dell'adorazione, lasciandoci condurre per mano dalla meravigliosa pedagogia di Gesù, che vediamo all'opera nello stupendo Vangelo di oggi.
Prima di tutto, allora, dobbiamo lasciarci condurre da Gesù nel deserto. Sappiamo che il popolo di Israele è stato condotto nel deserto per poter adorare Dio. Quando Mosè chiede al faraone di poter condurre il popolo nel deserto, la ragione che dà è proprio questa: per condurlo in un luogo nel quale possa adorare il Signore. Ed effettivamente se il popolo resta 40 anni nel deserto è perché è un popolo idolatra, è un popolo che non sa adorare il Signore. Allora il Signore ha bisogno di un ricambio generazionale totale -come si vede nella storia dell'esodo- perché appaia una generazione nuova di Israeliti, non contaminati dall'idolatria, che sappiano riconoscere che il Signore è il loro tutto.
Quanto è successo nella storia di Israele si ripete in ciascuna delle nostre storie. Anche noi abbiamo bisogno di morire all'uomo vecchio, l'uomo autosufficiente, l'uomo idolatra, per rinascere a questo uomo nuovo creato da Gesù, creato nel Battesimo, creato attraverso l'ascolto della parola di Dio, creato attraverso la preghiera, creato attraverso i sacramenti dell'Eucarestia e della Riconciliazione. Ebbene, questo uomo nuovo sa riconoscere nel Signore la fonte di senso, la fonte di amore, la fonte di vita alla quale potersi dissetare. Per questo il Signore ci conduce nel deserto. Per questo viviamo questo tempo di deserto in modo particolare nel tempo di quaresima: per poter imparare ad adorare Dio. Ma il Signore fa di più, perché in questo deserto non ci lascia da soli. Se in questo deserto ci smarriamo o siamo assaliti dal dubbio, dalla tentazione o ci lasciamo invadere dal senso di scoraggiamento per i nostri limiti oppure cadiamo preda dalla sempre più cocente insoddisfazione di noi stessi - ebbene, in questo deserto il Signore non ci lascia da soli.
Lo vediamo in questa pagina del Vangelo, nella quale Gesù si presenta a noi addirittura sotto i tratti del seduttore! Non bisogna, per falso pudore, cercare di sminuire l'audacia di Gesù in questa storia nella quale lo vediamo aspettare una donna conosciuta per la facilità dei suoi costumi presso un pozzo. Soprattutto nella mentalità di Israele questa cosa la faceva solo un seduttore. Ma Dio, già nell'Antico Testamento, si era presentato non solo sotto il volto del Padre, del salvatore, del liberatore, del condottiero, ma anche sotto quello del seduttore. Nel libro di Osea dice chiaramente: Ecco -dice parlando del proprio popolo, quindi di ciascuno di noi- io la sedurrò, la condurrò nel deserto e là parlerò al suo cuore.
Quello che il Signore vuole fare per ciascuno di noi è condurci nel deserto e sedurci per parlare al nostro cuore. Come fa con questa donna samaritana. Prima le chiede da bere. La donna risponde con una certa sorpresa e all'inizio non capisce cosa voglia Gesù. Ma Gesù con questa donna parla, parla al suo cuore, parla molto chiaramente e le dice: Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva.
Se c'è una frase del vangelo di oggi che dovremmo portare con noi, è proprio questa. Se conoscessimo il dono che Dio vuole farci! Se davvero capissimo che la ragione per la quale non accogliamo questo dono, non lo vediamo, non lo percepiamo, è perché il nostro cuore è diventato troppo piccolo, troppo angusto, troppo disilluso!
In una magnifica pagina dei suoi sermoni, sant'Agostino afferma che il Signore con la sua pedagogia dilata il nostro cuore per permettergli di accogliere tutta la grandezza del dono che lui vuole farci. E quello che Dio vuole donarci non sono delle cose, ma è sé stesso! Se tu conoscessi il dono di Dio!
Vediamo Gesù fare esattamente ciò che Dio annuncia nel libro di Osea: seduce questa donna, la conduce nel deserto e là parla al suo cuore. Infatti quando la donna gli parla del Messia, la risposta di Gesù non è semplicemente: "Sono io il Messia" ma "Sono io che parlo con te".
Questo è ciò che caratterizza il nostro Dio. Il nostro Dio non è un Dio che sta nel cielo, che ci dice quello che dobbiamo fare attraverso la Parola, attraverso le mediazioni umane come quelle della Chiesa, e poi ci lascia alla nostra iniziativa. Il nostro è un Dio che ci viene incontro, è un Dio che ci parla, è un Dio che è più intimo a noi di noi stessi, perché l'amore di Dio, perché lo Spirito Santo, cioè Dio stesso, è stato versato nei nostri cuori. Se vogliamo riconoscerlo, se vogliamo incontrarlo, se vogliamo trovare il vero fondamento della nostra speranza, è nel nostro cuore che dobbiamo ritornare, perché - come dice ancora Gesù in questa pagina del Vangelo - viene l'ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità.
Che cos'è adorare Dio, se non questa grazia immensa che ci è fatta di trovare le ragioni della nostra speranza non al di fuori di noi stessi, ma nel nostro cuore? Basta entrare nel nostro cuore per trovarvi il Signore, per trovarvi la consolazione, per trovarvi la sorgente di acqua viva.
La quaresima deve essere certamente un tempo per prendere delle risoluzioni, per decidere di vivere meglio, per decidere di riconciliarci con il Signore, forse per cercare di lottare di più contro le occasioni di peccato. Ma il senso profondo del nostro itinerario quaresimale non lo troveremo nelle cose che facciamo al di fuori di noi, ma ci attende prima di tutto in questa adorazione alla quale Gesù ci invita con il Vangelo di oggi.
Troveremo il senso profondo dell'itinerario quaresimale se sapremo ritagliarci nelle nostre giornate piccoli momenti nei quali metterci in disparte, entrare nella nostra camera e chiudere la porta, là dove il Padre ci scruta, ci vede nel segreto, e là pregarlo. Pregarlo semplicemente con le parole del Padre Nostro, capite, meditate. Là riconoscerlo presente. Là sperimentare che la sua non è una presenza vuota, ma è una presenza di amore, è una presenza di consolazione, è una presenza di prossimità. E' la presenza del Dio che si definisce proprio in questo modo: "Sono io, che parlo con te. Sono io che parlo al tuo cuore".

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