Don Alberto Brignoli "Né sul monte, né a Gerusalemme"

III Domenica di Quaresima (Anno A) (23/03/2014)
Vangelo: Gv 4,5-42
Nei luoghi aridi e semidesertici, come ce ne sono molti nel Medioriente, quando il sole arde, lo si sente. E ci sono alcune ore del giorno in cui è decisamente proibitivo stare al sole. Meglio starsene in casa e uscire solo in caso di necessità. Come, ad esempio, quando hai bisogno di qualcosa che ti è venuto a mancare improvvisamente. Altrimenti, non si spiega come mai una donna, sola, andasse ad attingere acqua al pozzo a mezzogiorno. Non certo per incontrare le comari, che a quell'ora stavano certamente pensando a preparare qualcosa da mangiare per i loro figli e i loro mariti. Certo, quelle che li hanno...
Quella donna samaritana aveva bisogno di acqua, a tutti i costi; e la casualità vuole che incontri al pozzo un uomo, non uno che usciva appositamente di casa a quell'ora, ma un uomo in viaggio, un pellegrino, un viandante, uno che ha egli pure assoluta necessità di acqua, non per cucinare ma perché affaticato dal viaggio
e riarso dalla sete. Un uomo e una donna vicini a un pozzo, alla stessa ora, entrambi assetati. Senza dubbio, sete di acqua, per via dell'arsura.
Ma anche un'altra sete, ognuna delle due diversa dall'altra, eppure spinte da un unico desiderio: l'incontro. La donna, desiderosa di incontrare qualcuno con cui parlare, con cui instaurare un dialogo, con cui forse confidarsi anche sulle difficoltà della propria vita (avere avuto cinque mariti e un compagno può anche essere segno di un certo disagio affettivo), oppure sulle questioni di fede. L'uomo, assetato di incontrare in quella donna qualcosa di totalmente differente da ciò che gli uomini in lei avevano forse con facilità cercato e trovato fino ad allora. "Finalmente", avrà pensato la donna, "un uomo diverso dagli altri. Una persona profonda, un profeta, forse. Peccato che sia Giudeo e che con lui non sia proprio il caso di soffermarsi troppo a parlare".
Eppure, i momenti decisivi della vita avvengono così, quasi casualmente, e bisogna essere capaci di coglierli e accoglierli, di là dai pregiudizi che si possono avere per l'interlocutore che si ha di fronte. Quando c'è desiderio, sete di incontrare, non si può stare a guardare: ci si butta, ci si lancia, si cerca di ottenere dall'altro il più possibile. Soprattutto quando di fronte a noi c'è una persona estremamente interessante, che ci affascina, che ci colpisce perché "sa tutto ciò che abbiamo fatto", sa tutto di noi, e ci smaschera, ci fa subito uscire allo scoperto. Questa cosa del "dirmi tutto ciò che ho fatto" colpirà profondamente anche i compaesani della donna, che hanno finalmente trovato un uomo che getta la maschera e parla in maniera schietta e aperta.
È di gente così che i Samaritani avevano bisogno. È di gente sincera, capace di incontrare gli altri, di dialogare senza pregiudizi, che questo popolo così strano, così bistrattato dai Giudei, andava in cerca.
Quella donna "d'avanguardia" dei Samaritani vive nel cuore di ognuno di noi. Quella donna di Samaria è la nostra società, la nostra quotidianità, forse è la nostra stessa Chiesa: assetata, assetata di incontri veri, assetata di cose profonde, nonostante la consapevolezza dei propri limiti. Assetata di qualcosa di giusto al momento opportuno, mentre va in cerca di sicurezze nei momenti più inopportuni. Assetata di sapere e di conoscere ciò che è nuovo, eppure strenua difensora della propria tradizione e della propria storia, come se non esistesse nessuno "più grande del suo padre Giacobbe"... Assetata di incontri veri, e nel frattempo venduta in modo opportunista al seduttore di turno per cercare di lucrarvi qualcosa, ma rimanendo delusa da tutto. Assetata di una fede genuina, ma estremamente confusa su come viverla: se nella Gerusalemme dell'ufficialità o sul Garizim delle esperienze alternative. Assetata di portare le ultime novità tra la sua gente, e nel frattempo capace di smarrire l'anfora delle proprie poche certezze. Assetata di tutto e capace di niente; eppure, in questo caos provocato dalla sua multiforme sete, l'eterna Samaritana che è in ognuno di noi finalmente, un giorno, fa l'incontro decisivo della sua vita.
Perché lei, il Cristo, il Messia, colui che deve annunciare ogni cosa, sa benissimo che lo deve cercare, e lo attende pure: forse è proprio per quello che un giorno lo incontra. Né a Gerusalemme (come vorrebbero i Giudei dalla fede genuina) né sul monte Garizim (come vorrebbero i Samaritani dalla fede alternativa ma pur sempre "re-ligiosa", legata a strutture e luoghi): per sua fortuna, lei, il Messia lo incontra per strada, in piena arsura, nell'ora più inconsueta e meno raccomandabile del giorno, nelle condizioni meno fresche ed esaltanti possibili, nelle sembianze più banali e quotidiane che ci si potesse immaginare.
Perché Dio è così. È il Dio delle strade aride, dei luoghi deserti, dei luoghi non ufficiali, delle fedi alternative, delle persone poco raccomandabili, dei popoli reietti, dei discepoli cocciuti e ignoranti, della gente che crede prima per sentito dire e poi perché si mette lì, paziente, ad ascoltarlo, per due giorni interi.
E in soli due giorni, quei "senza Dio" dei Samaritani riconoscono che egli è veramente il Salvatore del mondo. I discepoli neppure dopo tre anni sono stati capaci di chiedersi: "Dov'è Dio?".
A Gerusalemme o sul monte Garizim? Non importa, non servono più: chi crede in lui lo cerca in Spirito e verità. Lungo le strade riarse della sua quotidianità, verso mezzogiorno, continuamente assetati di lui. Per ritrovarci con lui, ancor più assetato di noi e della nostra vita riarsa.

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