Don Luca Garbinetto"Vincere la rassegnazione del peccato"

IV Domenica di Quaresima - Laetare (Anno A) (30/03/2014)
Vangelo: Gv 9,1-41
Ci sono due tipi di persone rassegnate. Il primo tipo sono coloro che si sono convinti che tutto è sbagliato, tutto va male, loro soprattutto. E vivono ancorati nella passività, perché la storia familiare li ha bloccati in un passato disastroso e in un futuro senza speranza: ne risulta un presente di oscurità, in cui lo sforzo principale è quello di raccogliere le briciole che cadono magicamente dall'alto. Il cieco nato è la figura di questo genere di persone. Incastonate nello schema del ‘do ut des': se qualche disgrazia mi è capitata, certamente me la sono meritata io, o pago per causa degli sbagli di qualcuno a me molto vicino. Si sopravvive così nel pessimismo, nel vittimismo, che però porta parecchi vantaggi: meno responsabilità, meno rischi, meno cambiamenti...
Il secondo tipo, però, sembra essere più insidioso. Apparentemente sembrano persone attive e intelligenti, aperte e al passo con la storia. In realtà, la loro aggressività e la loro violenza si scarica nell'esercizio di un potere spesso subdolo e meschino. Comandano e incasellano la realtà dentro i propri schemi: ‘si è sempre fatto così', ‘i nostri padri ci hanno insegnato, e noi non possiamo
cambiare'. É la dittatura dello ‘status quo', che implica la necessità di ostruire ogni passaggio di novità e di non credere alla fantasia dell'uomo e della storia. Rassegnati alla routine, alzano la roccaforte della ragione, nascondendo invidie e gelosie. Così sono i farisei, nel vangelo di Giovanni. Rassegnati alla propria visione di un Dio ‘che non ascolta i peccatori' (v. 31). Dio giudice, rancoroso e vendicativo, che rende l'uomo oggetto delle proprie ripicche, privandolo di ogni libertà e responsabilità personale. Questo sistema di rassegnazione, radicato in una falsa comprensione della religione e in una maschera di Dio, è il più pericoloso e triste. Questo tipo di persone generano il sistema affinché esistano, accomodate, anche le altre. E porteranno Gesù sulla croce.
Perché Gesù, luce del mondo, non tollera la tenebra della rassegnazione. Non sopporta la passività e l'ozio ripetitivo. Non gode della fredda razionalità dell'uomo religioso, che non ha fede.
Gesù è un lavoratore, impegnato a trasformare il giorno della propria attività messianica in luogo di mietitura copiosa e abbondante. Gesù cerca i frutti del Regno, instancabilmente e con creativa novità. Questo Messia fa discutere. Nel brano di oggi, Gesù appare in azione all'inizio e alla fine, all'alba e alla sera del giorno di lavoro. Nel mezzo, un lungo dibattito su di Lui, icona di certi talk show televisivi che vanno di moda nei nostri mezzi di comunicazione, ma che sono bacati fin dalla radice: si tratta, infatti, di un dialogo tra sordi, privo di una pur minima onestà intellettuale.
I farisei, rassegnati ai loro pregiudizi, deformano la realtà con ragionamenti arzigogolati e cedono all'insidia della rabbia e dell'accusa gratuita, quando vedono sfuggire loro di mano la situazione e la comprensione della realtà. Più sottilmente, vedono sfumare le fondamenta del loro potere, arroccato sulla falsità.
La folla, i genitori, il cieco guarito - almeno all'inizio del racconto -, rassegnati alla condizione di servilismo, approfittano dell'immagine di Dio che è stata loro spacciata per vera, e si defilano, evitando ogni assunzione di responsabilità e abdicando ai rischi della libertà. Hanno paura: la vita, per essere vissuta bene, richiede coraggio e prese di posizione.
Gesù partecipa: agisce sereno, all'alba del giorno, come Dio agì all'alba della storia. Lui, che è padrone del sabato, rinnova il gesto creatore, e con il fango impastato restituisce la vista e la vita all'uomo accecato da se stesso. È la notte del peccato, quella che ha catturato l'esistenza del cieco, nato sotto l'influsso del serpente delle origini. Ha bisogno, l'uomo, di questo gesto gratuito e ri-creatore del Figlio dell'Uomo. Nemmeno lo chiede, il malato di morte: quante volte anche noi ci siamo ritrovati destinatari di un gesto di totale e gratuita misericordia senza averlo nemmeno chiesto, senza esserci nemmeno accorti di averne avuto bisogno. Ecco la peggiore cecità, quella che lo stesso Gesù richiamerà, nel paradossale gioco di parole, ai farisei ostinati (v. 41): chi non vede di non vedere e si considera armato di buona vista, chi non percepisce l'insidia del peccato e si ritiene superbamente a posto, chi suppone di avere da sé tutto il necessario per la salvezza... Terribile cecità, di chi non sa di essere cieco e non si dispone ad accogliere la luce!
A tutti noi, però, Dio ha preparato il dono assolutamente gratuito della redenzione. É il battesimo, tanto più evidente nella sua dimensione di grazia quanto più piccini sono i bambini che lo ricevono. Il battesimo è dono e invio: la piscina di Sìloe ne è il simbolo. Gesù, l'Inviato (cfr. v. 7), invia e invita ogni nuovo figlio di Dio a intraprendere il viaggio verso la luce, accesa al cero pasquale del Risorto.
Ma il viaggio non è scontato. ‘Beato chi decide nel suo cuore il santo viaggio' (Sal 83, 6). Alla gratia gratis data deve corrispondere una scelta libera e responsabile; la dura cervice della rassegnazione deve essere scalfita dall'atteggiamento dell'abbandono fiducioso e intraprendente. Al cieco guarito servirà un po' di tempo per rendersene conto: il confronto con la realtà, l'incomprensione della sua religione, i conti che non tornano nei riguardi di Dio. ‘Ma sarà proprio vero che questo Dio non ascolta i peccatori? Ma allora chi è questo peccatore che, in giorno di sabato, mi ha restituito la vista senza che glielo chiedessi?' C'è un momento, nel cammino della vita, in cui si risveglia il germe piantato in noi in virtù del battesimo. Quel giorno le contraddizioni del mondo risultano decisamente insopportabili. Quel giorno l'abbaglio della luce del mistero di Dio fa troppo contrasto con la meschinità dei ragionamenti umani. Quel giorno si è davanti a una scelta decisiva. Si chiama conversione, cambio di rotta, svolta a U. Non è mai troppo tardi, non c'è limite di età, né di condizione sociale o religiosa.
Il cieco guarito viene sbattuto fuori dalle relazioni vitali della sua esistenza proprio nel momento in cui la logica dei rassegnati avrebbe dovuto dargli il placet. E invece, mossi dall'invidia, nessuno clicca mi piace nella bacheca della sua esistenza rinnovata. L'uomo si ritrova paradossalmente solo. Non c'è nulla da fare: Dio, il vero Dio, il Dio di Gesù rompe con i cliché finora mantenuti e cambia da dentro la persona. É a questo punto, quando si affaccia l'esperienza desolante e stimolante insieme del deserto e dell'emarginazione, che, delicato ma puntuale, risuona l'appello del Figlio dell'Uomo: ‘Tu, credi?' (v. 35). L'inviato è ora invitato. A credere, a scegliere la fede, a intraprendere decisamente il santo viaggio, per il quale da tempo, ormai, ha ricevuto in dono tutto l'equipaggiamento, ma che ancora non aveva deciso di fare proprio. La fede non è un sentimento naturale e scontato. La fede è una scelta, che presuppone l'incertezza e il dubbio: ‘Ma chi è, Signore, perché io creda in lui?' (v. 36). L'uomo perde il controllo, e si arrende impotente: gli schemi rassegnati e ripetitivi non reggono più. Rimane, liberante, solo l'incontro, la relazione vera con Gesù. Umilmente disposta alla scoperta, alla progressiva illuminazione.
Oggi il Signore chiede anche a noi di fare una scelta, di lasciare risuonare in noi l'appello: ‘Tu, credi nel Figlio dell'Uomo?'. Ci invita a rinunciare a una fede immatura e scontata, oscurata dalle tenebre del conformismo. Ci sollecita a trasformare i fuochi di paglia della religione superstiziosa e legalista nella fiamma ardente della fiducia in Lui. Siamo ciechi, ciechi dalla nascita, ciechi nel cuore: ma che esperienza affascinante abbandonarci, nella nostra cecità, alla mano del Figlio dell'Uomo, che ci solleva dal buio e ci guida per il giusto cammino. Che vertigine si sperimenta nel perdere il controllo della nostra esistenza per affidarlo a chi l'ha voluta e generata fin dalle origini della Storia!
O felix culpa, canteremo nella grande veglia pasquale; o felice oscurità del cuore, che, riconosciuta, mi ha permesso di lasciarmi cercare e trovare dalla Luce che salva.
‘Signore, io credo ma tu aumenta la mia fede' (cfr. Mc 9, 24); Signore, io non vedo, ma tu illumina la mia oscurità.

Commenti

Post più popolari