Don Luciano Cantini " Ascoltare per vedere"

IV Domenica di Quaresima - Laetare (Anno A) (30/03/2014)
Vangelo: Gv 9,1-41
«Siamo ciechi anche noi?».
Il "segno" che Gesù compie nel guarire il cieco nato, coglie in fallo chi pretende di essere vedente. Nessuno discute sulla capacità ottica ma sulla capacità di elaborazione di quello che i sensi percepiscono. Per i giudei i ciechi erano confinati non potendo fisicamente leggere le Scritture, a stare fuori dal tempio, erano esclusi per la loro ignoranza. La cecità era considerata manifestazione del peccato e punizione divina, perché «l'uomo vede l'apparenza, ma il Signore vede il cuore» (1Sam 16,7). Ecco che il racconto evangelico si fa insistente, ripete e ripete lo stesso fatto, le stesse parole a dimostrazione della cecità ottusa dei vedenti di fronte alla evidenza. Proprio chi ha occhi per scrutare le Scritture non vede l'opera di Dio. È la cecità malata di cui è affetto ogni potere sicuro di se stesso, sia politico, finanziario o religioso.
Fece del fango con la saliva

Ciò che scandalizza i farisei è l'opera creatrice e libera di Dio che si manifesta in Gesù. Per loro, il riposo sabbatico è sacro, l'opera di Dio si è conclusa, tutto è determinato e stabilito; l'uomo, e Dio stesso, deve necessariamente stare dentro ciò che è stato stabilito. Gesù invece, facendo del fango di sabato, esprime una libertà inaudita, sta dicendo che Dio continua a creare e ci riempie di meraviglie, inonda di luce questo nostro mondo assalito dalle tenebre, rompe gli schemi in cui gli uomini lo hanno relegato. Uno dei peccati più grossi dell'uomo - e scandalo che allontana da Dio - è proprio quello contemplare Dio nella sua maestà regale e contemporaneamente negargli la libertà di poter rompere le regole che lui stesso ha dato e che l'uomo interpreta.
E c'era dissenso tra loro
Coloro che non essendo ciechi si sono arrogati il compito di interpretare la Scrittura e di disporre degli altri hanno perso momentaneamente le proprie sicurezze, si trovano in una difficoltà tale da dover chiedere al cieco stesso un parere, la risposta che offre è chiara: «È un profeta!», ma il pregiudizio è più forte, allora provano a chiedere ai genitori. La storia raccontata diventa contorta come la mente dei giudei ma finisce per sancire chiaramente la cecità dei vedenti, e la loro prepotenza.
Succede sempre così, anche ai nostri giorni; abbiamo l'abitudine di interrogare gli altri per non interrogare noi stessi, per non metterci in discussione. Ostentiamo sicurezza per nascondere la paura, che alberga nel profondo, di perdere le sicurezze acquisite e per questo teniamo gli occhi ben serrati: Adamo ed Eva, aperti gli occhi, scoprirono di essere nudi (cfr. Gn 3,7).
Non avete ascoltato
Quando mai si ascolta un mendicante, o un povero! Cosa ha da insegnarci o dirci uno zingaro, un barbone, un immigrato, un carcerato...? Se fossimo capaci di liberarci dai concetti teologici o da costruzioni filosofiche o da pregiudizi sociali ed ascoltare le loro storie avremmo tanto da imparare sul Vangelo. I fatti come sono, nella loro semplicità, raccontano la verità sull'uomo e su Dio. Quando Papa Francesco, rispondendo ai giornalisti in aereo tornando dal Brasile, ha detto: «Chi sono io per giudicare...», si è messo dalla parte del discepolo che ascolta.
Il primo comandamento di Dio è «shemà» - ascolta! Ascoltare quel Dio che ha «nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25).

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