Commento al Vangelo di Enzo Bianchi - 27 aprile 2014 Domenica in albis

Gv 20,19-31
Siamo nell’ultimo capitolo del vangelo scritto dal discepolo amato, dove ci è data la testimonianza della
resurrezione di Gesù da parte di Maria di Magdala, del discepolo amato stesso e degli altri discepoli, tra i quali
Tommaso (il capitolo 21 è stato aggiunto dalla comunità del discepolo amato, tant’è vero che i vv. 30-31 del
capitolo 20 costituiscono la conclusione del vangelo). Sempre in quel “primo giorno della settimana”, il giorno
della resurrezione e dunque il giorno del Signore (Dominus, da cui dies dominicus, domenica), alla sera i
discepoli di Gesù sono ancora nella paura, chiusi in casa, nonostante Maria di Magdala abbia annunciato loro:
“Ho visto il Signore!” (Gv 20,18). Dov’erano i discepoli? In quale casa? Non ci viene detto, ma l’evangelista
sembra suggerirci che dove sono i discepoli, là viene Gesù. Così il lettore comprende che ogni primo giorno
della settimana, nel luogo in cui lui si trova con altri cristiani, là viene Gesù risorto e vivente.
In quel giorno della resurrezione Gesù ha inaugurato un altro modo di presenza: sta in mezzo ai suoi non più
come prima, uomo tra gli uomini, ma come Risorto vivente per sempre. È sempre lui, Gesù, il figlio di Maria,

l’inviato da Dio nel mondo, ma ormai non più in una carne mortale, bensì in una vita eterna nello Spirito di
Dio. Questa nuova presenza è più forte e più potente della presenza fisica, perché vince ogni porta chiusa e
ogni muro, e diventa credibile, sperimentata, vissuta nel quadro di una vita fraterna, di una vita di comunione:
la chiesa.
Gesù, dunque, venuto tra i suoi nella posizione centrale (“stette in mezzo a loro”) di chi presiede l’assemblea,
saluta i suoi con la benedizione messianica: “La pace sia con voi!”, e nel consegnare la pace mostra loro il suo
corpo piagato, le mani che portano i segni della crocifissione (cf. Gv 19,17) e il costato che aveva ricevuto il
colpo di lancia (cf. Gv 19,34). Gesù è vivente, è risorto da morte, ma non cessa di essere il Crocifisso : quella
morte, destino di ogni uomo ma anche morte violenta data a Gesù dall’ingiustizia di questo mondo, è stata da
lui vissuta e assunta, fa parte della sua umanità ormai trasfigurata in Dio ma sempre presente, non cancellata
né dimenticata. Sì, Gesù risorto è vita eterna, divina, ma anche vita umana trasfigurata, sicché ormai non è
più possibile pensare a Dio, dire Dio, senza pensare anche all’uomo.
A questa percezione i discepoli gioiscono, realizzando le parole dette loro da Gesù prima della passione:
“Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete … Un poco e
non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete … Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno
potrà togliervi la vostra gioia” (Gv 14,19; 16,16.22). Gesù allora quale Risorto alita, soffia su quella comunità,
gioiosa perché credente in lui, e li fa tutti inviati, apostoli. Inviati per cosa? Nel quarto vangelo questi
discepoli resi apostoli sono inviati per dare agli uomini la possibilità di sperimentare la salvezza nella
remissione dei peccati: rimettere i peccati, rimettere i debiti, perdonare, questo è il mandato missionario.
Nient’altro, nient’altro! Perché questo è ciò di cui gli uomini hanno bisogno: il perdono, la remissione dei
peccati, la cancellazione dei peccati da parte di Dio e da parte degli uomini loro fratelli.
A questa esperienza della presenza del Risorto da parte dei discepoli Giovanni aggiunge l’esperienza di uno
dei Dodici: Tommaso, quel discepolo che aveva detto di voler andare a Gerusalemme per morire con Gesù (cf.
Gv 11,16), ma che poi in realtà era fuggito come tutti gli altri. Tommaso non vuole credere, sulla parola dei
suoi fratelli, alla presenza di Gesù risorto e vivente, ma otto giorni dopo, quando la comunità è nuovamente
radunata nel primo giorno della settimana, egli è presente.
Ed ecco che, di nuovo, viene Gesù, sta in mezzo e dà la pace ai discepoli; poi si rivolge a Tommaso
mostrandogli le mani bucate e il costato trafitto, i segni della passione in un corpo trasfigurato. Tommaso
allora non può fare altro che invocare: “Mio Signore e mio Dio!”, pronunciando la confessione di fede più alta
di tutto il quarto vangelo. Quel Risorto è Kýrios e Dio per la chiesa! Questo occorre credere senza aver visto nulla, ma accogliendo l’annuncio della comunità del Signore e il dono di Dio che rivela la vera identità di Gesù
risorto per sempre. Per Tommaso toccare il corpo di Gesù è ormai diventato inutile, ed egli non lo fa, perché la
contemplazione e l’incontro con i segni della passione trasfigurati gli bastano.
Ma l’operazione più difficile, per Tommaso come per noi, sta proprio nel vedere nei corpi piagati la potenza di
una trasfigurazione che fa delle piaghe delle cicatrici luminose e piene di senso: non più segno di morte o di
peccato, ma segno di guarigione e di vita per sempre.

Enzo Bianchi

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