dom Luigi Gioia"Lo riconobbero nello spezzare il pane
III Domenica di Pasqua (Anno A) (04/05/2014)
Vangelo: Lc 24,13-35 )
I viandanti di cui parla il vangelo di oggi siamo noi. Il cammino che percorriamo è quello
della nostra vita. Come i due discepoli, anche noi camminiamo senza sapere dove andiamo.
L'indicazione geografica in questo vangelo è essenziale. Sappiamo che nella mente
dell'uomo biblico il senso della vita, la direzione, sono espressi nel fatto di andare a
Gerusalemme. I nostri due discepoli invece se ne allontanano. Infatti avevano creduto per
un momento che Gesù potesse dare senso alla loro vita, potesse indicare loro la via della vita
-come dice il salmo -ma la loro speranza era stata delusa. Noi speravamo -dicono - che
egli fosse colui che avrebbe liberato Israele.Ma Gesù è stato soppresso, non c'è più, e loro
vanno via tristi.
Se però la loro speranza è andata delusa, è perché avevano sperato in Gesù solo per
questa vita. Avevano creduto che la salvezza portata da Gesù fosse di natura politica, una
liberazione dal dominio dello straniero, come dicono nella frase appena citata: Noi
speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele. Avevano sperato in una felicità
terrena, nel pane e nel pesce per tutti, in guarigioni miracolose da tutte le malattie, in
predicazioni dal successostrepitoso, nell'instaurazione di un regno in questo mondo. Gesù
era per loro semplicemente un profeta potente in parole e opere. Questo ci dimostra che di
fatto, pur vivendo con Gesù, pur conoscendolo di persona, pur avendo mangiato e dormito
con lui, pur avendolo ascoltato, non lo avevano riconosciuto, non lo avevano visto. E'
possibile essere con Gesù e non vederlo, non riconoscerlo.
Quello che succede mentre sono per via in realtà valeva per loro giàquando erano
fisicamente con Gesù. I loro occhi -dice il Vangelo - erano impediti a riconoscerlo.Perché
‘occhi' e ‘speranza' sono la stessa cosa. Se piccola è la nostra speranza, piccoli sono anche i
nostri occhi. Se ci aspettiamo troppo poco dal Signore, rischiamo di non vederlo per nulla, di
non riconoscerlo accanto a noi, sul nostro cammino, nella nostra vita.
Non è forse questo il nostro problema? Ogni volta che crediamo che il Signore ci abbia
abbandonati, che sia assente, non è forse perchénoi lo cerchiamo da unaparte, mentre lui è
dall'altra? Crediamo che ci abbia abbandonato perché viviamo una prova, perché
attraversiamo una sofferenza, senza vedere che proprio questa prova, proprio questa
sofferenza, sono la porta d'ingresso per una vita più grande, la via d'accesso ad una speranza
nuova, l'occasione di un dono inaspettato. Quello che vale per Cristo infatti, vale per ognuno
di noi, come ce lo conferma questa frase importantissima nella quale Cristo ci rivela il senso
profondo di quello che viviamo: Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per
entrare nella sua gloria?
La prova, la sofferenza, l'esperienza della morte e dell'abbandono di Dio, il fallimento,
sono necessari. Bisogna che succedano -dice Gesù -per noi come per lui. Non dobbiamo
certo cercarli noi. La spiritualità cristiana non è una spiritualità masochistadella sofferenza,
ma è una spiritualità realista che non chiude gli occhi davanti alla presenza inevitabile della
sofferenza nella nostra vita. La sofferenza nondobbiamo cercarcela, viene da sola. La vita è
fatta, purtroppo, di queste cose.
La liberazione che Cristo è venuto a portarci non elimina la sofferenza, ma ne cambia il
senso. Trasforma la sofferenza, inevitabile nella nostra vita, da vicolo cieco inporta
d'ingresso, come dice egli stesso: per entrare nella sua gloria. Bisognava che Cristo soffrisse, ma è una sofferenza per entrare nella sua gloria. Così la sofferenza è trasformata
da condanna in offerta, da fine di tutto in inizio di tutto.
Chiediamoci allora: Cos'è che apre i nostri occhi? Cos'è che ci permette di riconoscere
Cristo nella nostra vita, nelle nostre prove, nelle nostre sofferenze, nella nostra esperienza
del limite e della morte? Il Vangelo ce lo dice chiaramente in due frasi importantissime. La
prima, nella quale si dice: E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, Gesù spiegò loro in
tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. E poi la seconda frase: Quando fu a tavola con
loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro.
La sola esperienza che apre i nostri cuori è la frequentazione assidua della scrittura. E'
attraverso di essa che il Signore ci parla. E' essa che costantemente accende, nutre, rinnova
la nostra speranza. Proprio comedice il salmo responsoriale della liturgia di oggi: Benedico
il Signore che mi ha dato consiglio, anche di notte il mio cuore mi istruisce. Il Signore mi da
consiglio attraverso la sua Parolaamata, meditata, letta e riletta ogni giorno, custodita nel
cuore. Solo il cuore che custodisce la Parola, arde, brucia, trova consolazione.
Poi riconosciamo Cristo nello spezzare del pane, cioè nel dono di noi stessi in
ringraziamento al Padre, perché è questo il senso dell'eucarestia, parola che vuol dire
appunto ‘azione di grazia'. Come il pane spezzato può essere condiviso da molti, come soloil
pane spezzato può essere condiviso da molti, così morendo, donando la sua vita,
"spezzandosi",Gesù diventa sorgente di vita per tutti. In Cristoogni nostra sofferenza, ogni
nostra prova, ogni nostra morte possono diventare uno spezzare il pane, un dono di noi
stessi. Lo diventano quandoinvece di maledire la prova troviamo, in unione con Cristo, la
forza di benedirla. Invece di rifiutarla, ribellandoci, troviamo con Cristo la forza di
abbracciarla. Invece di considerarla una punizione, la accogliamo come una sfida, il
passaggio ad una vita più grande, a un senso più profondo. Invece di chiuderciin noi stessi,
lasciamo che la prova, come per il pane, ci spezzi. La prova ci spezza, per farci diventare
dono di noi stessi a tutti.
Come ce lo insegna il salmo, poniamoallorasempre davanti a noi il Signore: Sta alla mia
destra, non posso vacillare. Alla mia destra, il mio cammino è il Signore. Se apro gli occhi
per riconoscerlo, trovo la gioia: Così gioirà il nostro cuore ed esulterà la nostra anima. E
anche nella morte il nostro corpo riposerà al sicuro, perché crediamo che il Signore non
abbandona la nostra vita negli inferi. Si apriranno così i nostri occhi, arderà il nostro cuore e
potremo riconoscere Gesù sulla via, accanto a noi, passo dopopasso, che ci indica il sentiero
della vita per ricondurci al Padre: Gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla
tua destra.
Vangelo: Lc 24,13-35 )
I viandanti di cui parla il vangelo di oggi siamo noi. Il cammino che percorriamo è quello
della nostra vita. Come i due discepoli, anche noi camminiamo senza sapere dove andiamo.
L'indicazione geografica in questo vangelo è essenziale. Sappiamo che nella mente
dell'uomo biblico il senso della vita, la direzione, sono espressi nel fatto di andare a
Gerusalemme. I nostri due discepoli invece se ne allontanano. Infatti avevano creduto per
un momento che Gesù potesse dare senso alla loro vita, potesse indicare loro la via della vita
-come dice il salmo -ma la loro speranza era stata delusa. Noi speravamo -dicono - che
egli fosse colui che avrebbe liberato Israele.Ma Gesù è stato soppresso, non c'è più, e loro
vanno via tristi.
Se però la loro speranza è andata delusa, è perché avevano sperato in Gesù solo per
questa vita. Avevano creduto che la salvezza portata da Gesù fosse di natura politica, una
liberazione dal dominio dello straniero, come dicono nella frase appena citata: Noi
speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele. Avevano sperato in una felicità
terrena, nel pane e nel pesce per tutti, in guarigioni miracolose da tutte le malattie, in
predicazioni dal successostrepitoso, nell'instaurazione di un regno in questo mondo. Gesù
era per loro semplicemente un profeta potente in parole e opere. Questo ci dimostra che di
fatto, pur vivendo con Gesù, pur conoscendolo di persona, pur avendo mangiato e dormito
con lui, pur avendolo ascoltato, non lo avevano riconosciuto, non lo avevano visto. E'
possibile essere con Gesù e non vederlo, non riconoscerlo.
Quello che succede mentre sono per via in realtà valeva per loro giàquando erano
fisicamente con Gesù. I loro occhi -dice il Vangelo - erano impediti a riconoscerlo.Perché
‘occhi' e ‘speranza' sono la stessa cosa. Se piccola è la nostra speranza, piccoli sono anche i
nostri occhi. Se ci aspettiamo troppo poco dal Signore, rischiamo di non vederlo per nulla, di
non riconoscerlo accanto a noi, sul nostro cammino, nella nostra vita.
Non è forse questo il nostro problema? Ogni volta che crediamo che il Signore ci abbia
abbandonati, che sia assente, non è forse perchénoi lo cerchiamo da unaparte, mentre lui è
dall'altra? Crediamo che ci abbia abbandonato perché viviamo una prova, perché
attraversiamo una sofferenza, senza vedere che proprio questa prova, proprio questa
sofferenza, sono la porta d'ingresso per una vita più grande, la via d'accesso ad una speranza
nuova, l'occasione di un dono inaspettato. Quello che vale per Cristo infatti, vale per ognuno
di noi, come ce lo conferma questa frase importantissima nella quale Cristo ci rivela il senso
profondo di quello che viviamo: Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per
entrare nella sua gloria?
La prova, la sofferenza, l'esperienza della morte e dell'abbandono di Dio, il fallimento,
sono necessari. Bisogna che succedano -dice Gesù -per noi come per lui. Non dobbiamo
certo cercarli noi. La spiritualità cristiana non è una spiritualità masochistadella sofferenza,
ma è una spiritualità realista che non chiude gli occhi davanti alla presenza inevitabile della
sofferenza nella nostra vita. La sofferenza nondobbiamo cercarcela, viene da sola. La vita è
fatta, purtroppo, di queste cose.
La liberazione che Cristo è venuto a portarci non elimina la sofferenza, ma ne cambia il
senso. Trasforma la sofferenza, inevitabile nella nostra vita, da vicolo cieco inporta
d'ingresso, come dice egli stesso: per entrare nella sua gloria. Bisognava che Cristo soffrisse, ma è una sofferenza per entrare nella sua gloria. Così la sofferenza è trasformata
da condanna in offerta, da fine di tutto in inizio di tutto.
Chiediamoci allora: Cos'è che apre i nostri occhi? Cos'è che ci permette di riconoscere
Cristo nella nostra vita, nelle nostre prove, nelle nostre sofferenze, nella nostra esperienza
del limite e della morte? Il Vangelo ce lo dice chiaramente in due frasi importantissime. La
prima, nella quale si dice: E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, Gesù spiegò loro in
tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. E poi la seconda frase: Quando fu a tavola con
loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro.
La sola esperienza che apre i nostri cuori è la frequentazione assidua della scrittura. E'
attraverso di essa che il Signore ci parla. E' essa che costantemente accende, nutre, rinnova
la nostra speranza. Proprio comedice il salmo responsoriale della liturgia di oggi: Benedico
il Signore che mi ha dato consiglio, anche di notte il mio cuore mi istruisce. Il Signore mi da
consiglio attraverso la sua Parolaamata, meditata, letta e riletta ogni giorno, custodita nel
cuore. Solo il cuore che custodisce la Parola, arde, brucia, trova consolazione.
Poi riconosciamo Cristo nello spezzare del pane, cioè nel dono di noi stessi in
ringraziamento al Padre, perché è questo il senso dell'eucarestia, parola che vuol dire
appunto ‘azione di grazia'. Come il pane spezzato può essere condiviso da molti, come soloil
pane spezzato può essere condiviso da molti, così morendo, donando la sua vita,
"spezzandosi",Gesù diventa sorgente di vita per tutti. In Cristoogni nostra sofferenza, ogni
nostra prova, ogni nostra morte possono diventare uno spezzare il pane, un dono di noi
stessi. Lo diventano quandoinvece di maledire la prova troviamo, in unione con Cristo, la
forza di benedirla. Invece di rifiutarla, ribellandoci, troviamo con Cristo la forza di
abbracciarla. Invece di considerarla una punizione, la accogliamo come una sfida, il
passaggio ad una vita più grande, a un senso più profondo. Invece di chiuderciin noi stessi,
lasciamo che la prova, come per il pane, ci spezzi. La prova ci spezza, per farci diventare
dono di noi stessi a tutti.
Come ce lo insegna il salmo, poniamoallorasempre davanti a noi il Signore: Sta alla mia
destra, non posso vacillare. Alla mia destra, il mio cammino è il Signore. Se apro gli occhi
per riconoscerlo, trovo la gioia: Così gioirà il nostro cuore ed esulterà la nostra anima. E
anche nella morte il nostro corpo riposerà al sicuro, perché crediamo che il Signore non
abbandona la nostra vita negli inferi. Si apriranno così i nostri occhi, arderà il nostro cuore e
potremo riconoscere Gesù sulla via, accanto a noi, passo dopopasso, che ci indica il sentiero
della vita per ricondurci al Padre: Gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla
tua destra.
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