mons. Antonio Riboldi "Resta con noi, Signore, si fa sera"
III Domenica di Pasqua (Anno A) (04/05/2014)
Vangelo: Lc 24,13-35
La vicenda dei discepoli di Emmaus, che tutti conosciamo, accade nella giornata della domenica di Resurrezione. L'evento della passione e morte di Gesù aveva sconvolto tutti, a cominciare da chi l'aveva seguito, ma la Sua resurrezione era la Notizia stupenda, inattesa del giorno... come dovrebbe essere per il credente, pensando che ci attende un giorno la nostra resurrezione.
Quelli per cui Gesù dalla croce aveva pregato il Padre, perché li perdonasse, poiché ‘non sanno quello che fanno', forse pensavano di essersi finalmente liberati di un incubo, cioè della presenza tra di loro di una Voce scomoda che parlava, viveva, operava, come ‘fosse' Dio,... e lo era realmente! A costoro era insopportabile un Dio che si facesse così vicino, mettendo a soqquadro la loro umana tranquillità. Per loro, i Giudei, e forse per tanti di noi, bastava osservare le Leggi di Dio, anche se queste poi, tante volte, erano solo un muovere le labbra, assumere comportamenti apparentemente ‘giusti', magari ‘andare a Messa', ma con il
cuore lontano.
Per altri, invece, quelli che Lo amavano, i discepoli e tanti altri che lo avevano seguito con fiducia e speranza, avevano creduto in Lui, avevano avvertito la bellezza di sentire in sé palpitare il Cuore di Dio, la Sua crocifissione e morte era stata il giorno del dolore più angosciante, del totale smarrimento e disorientamento, di un'immensa delusione e amarezza.
Ovunque, quel giorno, si parlava di Gesù, a diritto e a rovescio, come del resto si fa oggi.
Non si riesce a comprendere come tanti non credano nella resurrezione di Gesù e nella propria.
Vivono nella convinzione che la vita sia un breve passaggio su questa terra, senza un domani, senza una ragione che giustifichi gioie e tante sofferenze!
Ma domandiamoci: se non ci fosse la certezza che anche noi un giorno risorgeremo, sperando nella Gloria del Cielo, che senso avrebbe nascere e vivere? Che senso avrebbe soffrire o lottare?
È nella nostra natura l'esigenza di avere un traguardo nella vita; anche se non crediamo, parliamo, lavoriamo, soffriamo, gioiamo sempre con l'occhio teso al domani. Ma quale domani?
Solo chi vive con lo sguardo al futuro, che è nella vita eterna con Dio, trova la forza, sempre, di dare una ragione profonda e costante alle sue azioni, alle sue fatiche ed alle sue sofferenze.
Mi ha sempre colpito, visitando gli ammalati, a volte in fin di vita, scoprire come spesso trovassero la ragione di conforto e tante volte di serenità nel credere che la loro vita di sofferenze altro non era che un'attesa di vita felice con Dio. La loro stessa morte non era vista come la fine di tutto, ma il principio del tutto, che non può essere su questa terra.
Ci aiuta in questa riflessione il racconto dei due discepoli di Emmaus, che stavano allontanandosi da Gerusalemme, delusi, dopo la morte del Maestro, che avevano amato, seguito, in cui avevano creduto. L'evangelista Luca fa notare che, quando Gesù in persona si accosta loro, "i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo."
È quello che capita a tanti di noi, quando siamo in difficoltà, emotivamente turbati, e pare che il Cielo sia sparito dai nostri occhi, sentendoci tremendamente soli: quella solitudine che è il più grande dolore che noi uomini possiamo provare. Non la solitudine, piena di Presenza, che alcuni uomini e donne scelgono per camminare più facilmente con Gesù, capace di infondere un'incredibile serenità, ma una solitudine che è isolamento, senso di abbandono, incomunicabilità. Tutta la prima parte della narrazione evangelica è il racconto di due discepoli smarriti, come spesso siamo noi, ma a cui sono giunte voci di qualcosa da loro ritenuto impossibile: la resurrezione, un evento divino, inconcepibile per il nostro ‘buonsenso', ma che, se fosse vero - ed è vero! - Darebbe alla loro e nostra vita la gioia piena, di chi sa che la vita va oltre il ‘qui' ed ‘ora'. La bellezza di ciò che accadde allora e continua ad accadere ogni giorno anche a noi è che, in una ridda di emozioni sospese, Gesù si manifesta, conducendoci per mano nella conoscenza delle Scritture. E la Parola di Gesù, se ci rendiamo disponibili nella fede ad accoglierla, sempre affascina i cuori e chiarisce le menti. È il messaggio che ci permette di essere e ‘sentirci' - se vogliamo - figli di Dio, abitanti del Paradiso per l'eternità.
Il racconto dei discepoli di Emmaus si chiude con la rivelazione di Chi Lui è... per noi!
"Resta con noi, Signore, perché si fa sera e il giorno già volge al declino"
Una preghiera che tante volte sale spontanea alle nostre labbra, quando ci sentiamo soli o smarriti!
Ed è davvero commovente la delicatezza con cui Gesù ci mostra quanto ci sia vicino!
"Gesù entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese del pane, diede la benedizione, lo spezzò e lo diede loro".(Lc. 24, 13-35)
Questa è la vera Pasqua di ogni giorno, per noi che tante volte camminiamo nella vita con le delusioni e il volto triste dei due che ritornavano ad Emmaus.
"Perché siete tristi? - Chiedeva Paolo VI - Vedete che il Signore rimprovera anche noi. Un maestro dello spirito conferma dicendo: ‘Nella vita spirituale i nostri peccati soltanto sono la nostra tristezza'. Perciò la vita cristiana deve sempre avere questa lampada accesa sopra di sé: la gioia. Tutto deve svolgersi nel clima di una semplice ma serena pace, che parte dalla grazia di Dio che consola e fa liete le anime. Avete mai incontrato un santo? Qual è la nota caratteristica che avete trovato in quell'anima? Sarà una gioia, una letizia così composta, così semplice, così vera. Ed è questa trasparenza di letizia che ci fa dire: quella è davvero un'anima buona, perché ha la gioia nel cuore. Ebbene io auguro che voi tutti, che siete uniti a Cristo, abbiate sempre la letizia nel cuore".
Ed è anche il mio augurio... per noi, che tante volte, per la nostra poca fede, tanto somigliamo ai due discepoli di Emmaus, ‘tristi', quando sentiamo la mancanza del Maestro (anche se Lui è sempre con noi!) ma pronti a ritrovarLo ‘nello spezzare il pane' dell'Eucarestia.
Vangelo: Lc 24,13-35
La vicenda dei discepoli di Emmaus, che tutti conosciamo, accade nella giornata della domenica di Resurrezione. L'evento della passione e morte di Gesù aveva sconvolto tutti, a cominciare da chi l'aveva seguito, ma la Sua resurrezione era la Notizia stupenda, inattesa del giorno... come dovrebbe essere per il credente, pensando che ci attende un giorno la nostra resurrezione.
Quelli per cui Gesù dalla croce aveva pregato il Padre, perché li perdonasse, poiché ‘non sanno quello che fanno', forse pensavano di essersi finalmente liberati di un incubo, cioè della presenza tra di loro di una Voce scomoda che parlava, viveva, operava, come ‘fosse' Dio,... e lo era realmente! A costoro era insopportabile un Dio che si facesse così vicino, mettendo a soqquadro la loro umana tranquillità. Per loro, i Giudei, e forse per tanti di noi, bastava osservare le Leggi di Dio, anche se queste poi, tante volte, erano solo un muovere le labbra, assumere comportamenti apparentemente ‘giusti', magari ‘andare a Messa', ma con il
cuore lontano.
Per altri, invece, quelli che Lo amavano, i discepoli e tanti altri che lo avevano seguito con fiducia e speranza, avevano creduto in Lui, avevano avvertito la bellezza di sentire in sé palpitare il Cuore di Dio, la Sua crocifissione e morte era stata il giorno del dolore più angosciante, del totale smarrimento e disorientamento, di un'immensa delusione e amarezza.
Ovunque, quel giorno, si parlava di Gesù, a diritto e a rovescio, come del resto si fa oggi.
Non si riesce a comprendere come tanti non credano nella resurrezione di Gesù e nella propria.
Vivono nella convinzione che la vita sia un breve passaggio su questa terra, senza un domani, senza una ragione che giustifichi gioie e tante sofferenze!
Ma domandiamoci: se non ci fosse la certezza che anche noi un giorno risorgeremo, sperando nella Gloria del Cielo, che senso avrebbe nascere e vivere? Che senso avrebbe soffrire o lottare?
È nella nostra natura l'esigenza di avere un traguardo nella vita; anche se non crediamo, parliamo, lavoriamo, soffriamo, gioiamo sempre con l'occhio teso al domani. Ma quale domani?
Solo chi vive con lo sguardo al futuro, che è nella vita eterna con Dio, trova la forza, sempre, di dare una ragione profonda e costante alle sue azioni, alle sue fatiche ed alle sue sofferenze.
Mi ha sempre colpito, visitando gli ammalati, a volte in fin di vita, scoprire come spesso trovassero la ragione di conforto e tante volte di serenità nel credere che la loro vita di sofferenze altro non era che un'attesa di vita felice con Dio. La loro stessa morte non era vista come la fine di tutto, ma il principio del tutto, che non può essere su questa terra.
Ci aiuta in questa riflessione il racconto dei due discepoli di Emmaus, che stavano allontanandosi da Gerusalemme, delusi, dopo la morte del Maestro, che avevano amato, seguito, in cui avevano creduto. L'evangelista Luca fa notare che, quando Gesù in persona si accosta loro, "i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo."
È quello che capita a tanti di noi, quando siamo in difficoltà, emotivamente turbati, e pare che il Cielo sia sparito dai nostri occhi, sentendoci tremendamente soli: quella solitudine che è il più grande dolore che noi uomini possiamo provare. Non la solitudine, piena di Presenza, che alcuni uomini e donne scelgono per camminare più facilmente con Gesù, capace di infondere un'incredibile serenità, ma una solitudine che è isolamento, senso di abbandono, incomunicabilità. Tutta la prima parte della narrazione evangelica è il racconto di due discepoli smarriti, come spesso siamo noi, ma a cui sono giunte voci di qualcosa da loro ritenuto impossibile: la resurrezione, un evento divino, inconcepibile per il nostro ‘buonsenso', ma che, se fosse vero - ed è vero! - Darebbe alla loro e nostra vita la gioia piena, di chi sa che la vita va oltre il ‘qui' ed ‘ora'. La bellezza di ciò che accadde allora e continua ad accadere ogni giorno anche a noi è che, in una ridda di emozioni sospese, Gesù si manifesta, conducendoci per mano nella conoscenza delle Scritture. E la Parola di Gesù, se ci rendiamo disponibili nella fede ad accoglierla, sempre affascina i cuori e chiarisce le menti. È il messaggio che ci permette di essere e ‘sentirci' - se vogliamo - figli di Dio, abitanti del Paradiso per l'eternità.
Il racconto dei discepoli di Emmaus si chiude con la rivelazione di Chi Lui è... per noi!
"Resta con noi, Signore, perché si fa sera e il giorno già volge al declino"
Una preghiera che tante volte sale spontanea alle nostre labbra, quando ci sentiamo soli o smarriti!
Ed è davvero commovente la delicatezza con cui Gesù ci mostra quanto ci sia vicino!
"Gesù entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese del pane, diede la benedizione, lo spezzò e lo diede loro".(Lc. 24, 13-35)
Questa è la vera Pasqua di ogni giorno, per noi che tante volte camminiamo nella vita con le delusioni e il volto triste dei due che ritornavano ad Emmaus.
"Perché siete tristi? - Chiedeva Paolo VI - Vedete che il Signore rimprovera anche noi. Un maestro dello spirito conferma dicendo: ‘Nella vita spirituale i nostri peccati soltanto sono la nostra tristezza'. Perciò la vita cristiana deve sempre avere questa lampada accesa sopra di sé: la gioia. Tutto deve svolgersi nel clima di una semplice ma serena pace, che parte dalla grazia di Dio che consola e fa liete le anime. Avete mai incontrato un santo? Qual è la nota caratteristica che avete trovato in quell'anima? Sarà una gioia, una letizia così composta, così semplice, così vera. Ed è questa trasparenza di letizia che ci fa dire: quella è davvero un'anima buona, perché ha la gioia nel cuore. Ebbene io auguro che voi tutti, che siete uniti a Cristo, abbiate sempre la letizia nel cuore".
Ed è anche il mio augurio... per noi, che tante volte, per la nostra poca fede, tanto somigliamo ai due discepoli di Emmaus, ‘tristi', quando sentiamo la mancanza del Maestro (anche se Lui è sempre con noi!) ma pronti a ritrovarLo ‘nello spezzare il pane' dell'Eucarestia.
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