Antonio Riboldi Solennità della SS. ma Trinità

Omelia del giorno 15 Giugno 2014
Santissima Trinità (Anno A)
La Chiesa, lungo tutto l’anno liturgico, ripercorre il continuo cammino della storia dell’amore che Dio ha per ciascuno di noi, facendo memoria dell’amore del Padre, che, dopo averci creati, ci ha donato il Suo
Figlio Gesù, nato, morto e risorto per la nostra salvezza, che ci ha inviato, con la Pentecoste, la Presenza vivificante dello Spirito Santo.
La Chiesa sempre inizia la celebrazione del solenne Mistero di amore, che è la S. Messa, con le parole: ‘La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti noi’ ed oggi celebra la solennità della SS. Trinità, che – sono parole di Papa Francesco – “non è il prodotto di ragionamenti umani; è il volto con cui Dio stesso si è rivelato, non dall'alto di una cattedra, ma camminando con l'umanità, nella storia del popolo d'Israele e soprattutto in Gesù di Nazareth. E' proprio Gesù che ci ha salvato. Gesù è il Figlio che ci ha fatto conoscere il Padre misericordioso e ha portato sulla terra il suo «fuoco», lo Spirito Santo, che dentro noi ci guida, ci dà delle buone idee, delle ispirazioni"

È la fede che ognuno di noi esprime con un semplice gesto, che traccia sul corpo, a partire dalla fronte fino al cuore, accompagnato con le essenziali parole, ‘nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo’, con cui non solo facciamo una solenne professione di fede, ma diamo un senso altissimo alla nostra vita, nella sua quotidianità: all’inizio di ogni giornata o di ogni azione, compresa quella di mettersi a tavola, un segno, con cui vogliamo dedicare ciò che facciamo a Colui da cui tutto proviene, a cui tutto dovrebbe essere indirizzato: è come dipingere dei colori del Cielo: la nostra storia, fino all’eternità.

Forse non siamo abituati o educati a considerare la nostra vita come la storia di un grande Amore, che viene proprio dall’opera della Trinità, presente ed operante in noi.

Se potessimo, per un solo istante, contemplare il complesso ricamo di Amore del Padre, l’opera di Gesù, sempre in noi e con noi, e ‘il fuoco’ dello Spirito, che è in ogni aspetto della nostra giornata, moriremmo di gioia, come quando un artista contempla il dettaglio di un’opera d’arte.

Ed è proprio così: io, tu, agli occhi di quanti ci sono vicini o incontriamo, a volte siamo meno di niente. E non ci scandalizziamo per questo, abituati come siamo a valutare tutto fermandoci alle apparenze, ossia a ciò che ‘luccica’ e che non è mai la nostra verità e bellezza.

Bisognerebbe invece essere capaci di contemplare ‘le meraviglie’, che Dio dona ed opera nella nostra storia personale; meraviglie a volte oscurate da orribili debolezze, ma sempre affiancate dalla misericordia di Dio, pronto a cancellarle per mettere al loro posto il colore dell’Amore che perdona.

E’ la certezza espressa da Mosè nella I lettura di oggi: “In quei giorni, Mosè si alzò di buon mattino e salì sul Monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano. Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: ‘Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà’. Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò. Disse: ‘Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa’ di noi la tua eredità” (Es. 34, 4-9)

E come a confermare quanto il Padre aveva detto a Mosè, l’apostolo Giovanni così dichiara:

“Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di Lui. Chi crede in Lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel Nome dell’Unigenito Figlio di Dio”. (Gv. 3, 16-18)

C’è in questa Parola tutto l’amore con cui Dio s’impegna per noi, ma anche il segno della nostra incapacità di scorgerlo, con la conseguenza di sentirci terribilmente vuoti di amore.

Diceva Paolo VI – cui mi riferisco spesso come a un grande maestro della fede – “Una verità fondamentale è da ricordare: Dio è nascosto, come dice Isaia (45, 15). Molti segni, molti stimoli ci parlano e ci conducono alle soglie della Sua ineffabile realtà, ma è pur vero che noi, in questa vita presente, li vediamo di riflesso, nel mistero …. Dio tace, dice la letteratura moderna; tace al nostro orecchio, ma per farsi cercare e ascoltare per altri mezzi. E allora un primo dovere ci coglie, quello di godere della conoscenza che già abbiamo di Dio, e un secondo, quello di cercarLo, di cercarLo appassionatamente, dolcemente, come quando Egli si lascia incontrare. È questo il senso profondo della nostra vita presente: una vigilia che spia e attende la Sua luce. Dio non è un’invenzione, è una felice scoperta’. (Novembre 1968)

È vero che occorre tanta fede per arrivare non solo a Dio, ma, con Dio, alla bellezza nostra. E la fede è un dono che tanti forse desiderano e non riescono a raggiungere. Ma quando si cerca Dio con passione, il Padre non si fa attendere. Ed allora si apre il grande sipario della Presenza in noi della Trinità.

Il male è che tante volte neppure ci pensiamo alla nostra dignità e, di conseguenza, non la vediamo negli altri. Ma Dio non smette di volerci bene e di avere cura di noi.

Abbiamo iniziato la nostra vita con il diventare totalmente suoi figli e ,quindi, partecipi della ‘famiglia di Dio’, nel santo Battesimo. Gesù si è fatto nostro Cibo, Viatico di vita, Pane di vita, nell’Eucarestia; ci ha donato il suo Spirito, Spirito di sapienza, di fortezza, di scienza, nel Sacramento della Confermazione. Davvero siamo ‘figli in pienezza’. Abbiamo tutto quello che potremmo sognare di avere dal Padre e tocca a noi, ora, nella ferialità della vita, costruire quella santità, o dignità di figli, che è poi la bellezza di vivere non una vita qualunque, a volte priva di senso, ma piena di gioia: una vita che va oltre la morte, per essere in cielo figli della ‘grande famiglia di Dio’.

Antonio Riboldi – Vescovo

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