mons. Roberto Brunelli "Per un buon rapporto col passato e col futuro"
Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno A) (22/06/2014)
Vangelo: Gv 6,51-58
Si legge oggi, dal sesto capitolo del vangelo secondo Giovanni che è tutto imperniato sull'Eucaristia, un passo del discorso pronunciato da Gesù nella sinagoga di Cafarnao, tra lo stupore dei presenti. "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna", ha detto tra l'altro, suscitando in quanti lo ascoltavano sorpresa e sconcerto: "Come può costui darci la sua carne da mangiare?" si chiedevano. La risposta è venuta in seguito, nell'ultima cena, quando egli prese il pane e il vino e ne distribuì ai discepoli dicendo: "Prendete e mangiate, questo è il mio corpo
sacrificato per voi... Prendete e bevete, questo è il mio sangue versato per voi".
Sono parole da molti considerate basilari, se da duemila anni le si ripete, obbedienti al suo comando "Fate questo in memoria di me". Ogni messa rende attuale l'ultima cena di Gesù, offre a tutti la possibilità di parteciparvi, come fossimo tra gli apostoli che là nel cenacolo, duemila anni fa, hanno mangiato quel Pane e bevuto quel Sangue. L'odierna solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, il Corpus Domini come ancora si usa chiamarla, punta l'attenzione su questo mistero, per evitare che proprio la sua continua riproposizione lo collochi tra le abitudini cui non si fa più caso.
Quelle parole portano nel cuore della fede. Esprimono tutta la considerazione, tutto l'amore di Dio per l'uomo, e invitano a intendere la fede non come l'asettica accettazione di una serie di verità, ma come un rapporto vitale, una relazione di intimità con Dio. Mangiare e bere il Signore: i termini concreti, quasi crudi, esprimono da un lato quanto l'uomo abbia bisogno di Dio, e dall'altro con quanto amore Dio sia proteso a soddisfare ogni autentica fame dell'uomo. Gesù era stato preannunciato come l'Emanuele, cioè "Dio-con-noi"; l'Eucaristia ne è il più esplicito adempimento: Dio è con noi al punto da farsi tutt'uno con noi.
Ovviamente questo cambia la vita alla radice. L'uomo non è più solo, con i suoi fantasmi e le sue paure, in bilico tra i suoi tormentosi ricordi e le sue incerte prospettive. Si può dire anzi che nell'Eucaristia egli trova il senso del proprio presente, armonicamente collegato sia al passato sia al futuro. C'è chi guarda al tempo trascorso, nell'arco della propria vita come nella storia in generale, con sterile nostalgia: a fronte dell'oggi, il passato gli sembra da rimpiangere; ne ignora le brutture e i fallimenti, e lo vede come la mitica età dell'oro, quando tutto era bello, tutto andava bene. C'è chi guarda al presente come la sola fase disponibile della vita, e vi si aggrappa quasi con furia, cercando di spremerne tutto quanto gli pare appagante, non importa a che prezzo. C'è chi guarda al futuro come lo spazio entusiasmante di un inesauribile progresso, o viceversa con l'angoscia, per sé, per i propri figli e nipoti, di vedervi i mali presenti ingigantiti sino a soffocare quanti li dovranno affrontare.
Tra i tanti benefici, l'Eucaristia porta chi vi si affida a un corretto rapporto col tempo. Il passato vi è richiamato in quanto di meglio vi si è compiuto: Dio ha tanto amato gli uomini, da mandare il suo Figlio a riscattarli dalla loro misera condizione. Ma non è un passato da rimpiangere come ormai concluso: esso infatti si riversa nel presente; quell'amore è attuale, vivo e operante oggi. Non solo: l'amore di Dio è la più solida garanzia per il futuro, cui si può tendere non solo senza paura, ma anzi con speranza.
Passato, presente e futuro in rapporto all'Eucaristia sono richiamati anche in un'antifona della festa di oggi, composta da quel genio che fu San Tommaso d'Aquino. Con l'acume del teologo e con straordinaria forza di sintesi, egli ha condensato il dono divino in questi termini: "Mistero della Cena! Ci nutriamo di Cristo, si fa memoria della sua passione, l'anima è ricolma di grazia, ci è donato il pegno della gloria", cioè della vita futura con lui.
C'è di meglio?
Vangelo: Gv 6,51-58
Si legge oggi, dal sesto capitolo del vangelo secondo Giovanni che è tutto imperniato sull'Eucaristia, un passo del discorso pronunciato da Gesù nella sinagoga di Cafarnao, tra lo stupore dei presenti. "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna", ha detto tra l'altro, suscitando in quanti lo ascoltavano sorpresa e sconcerto: "Come può costui darci la sua carne da mangiare?" si chiedevano. La risposta è venuta in seguito, nell'ultima cena, quando egli prese il pane e il vino e ne distribuì ai discepoli dicendo: "Prendete e mangiate, questo è il mio corpo
sacrificato per voi... Prendete e bevete, questo è il mio sangue versato per voi".
Sono parole da molti considerate basilari, se da duemila anni le si ripete, obbedienti al suo comando "Fate questo in memoria di me". Ogni messa rende attuale l'ultima cena di Gesù, offre a tutti la possibilità di parteciparvi, come fossimo tra gli apostoli che là nel cenacolo, duemila anni fa, hanno mangiato quel Pane e bevuto quel Sangue. L'odierna solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, il Corpus Domini come ancora si usa chiamarla, punta l'attenzione su questo mistero, per evitare che proprio la sua continua riproposizione lo collochi tra le abitudini cui non si fa più caso.
Quelle parole portano nel cuore della fede. Esprimono tutta la considerazione, tutto l'amore di Dio per l'uomo, e invitano a intendere la fede non come l'asettica accettazione di una serie di verità, ma come un rapporto vitale, una relazione di intimità con Dio. Mangiare e bere il Signore: i termini concreti, quasi crudi, esprimono da un lato quanto l'uomo abbia bisogno di Dio, e dall'altro con quanto amore Dio sia proteso a soddisfare ogni autentica fame dell'uomo. Gesù era stato preannunciato come l'Emanuele, cioè "Dio-con-noi"; l'Eucaristia ne è il più esplicito adempimento: Dio è con noi al punto da farsi tutt'uno con noi.
Ovviamente questo cambia la vita alla radice. L'uomo non è più solo, con i suoi fantasmi e le sue paure, in bilico tra i suoi tormentosi ricordi e le sue incerte prospettive. Si può dire anzi che nell'Eucaristia egli trova il senso del proprio presente, armonicamente collegato sia al passato sia al futuro. C'è chi guarda al tempo trascorso, nell'arco della propria vita come nella storia in generale, con sterile nostalgia: a fronte dell'oggi, il passato gli sembra da rimpiangere; ne ignora le brutture e i fallimenti, e lo vede come la mitica età dell'oro, quando tutto era bello, tutto andava bene. C'è chi guarda al presente come la sola fase disponibile della vita, e vi si aggrappa quasi con furia, cercando di spremerne tutto quanto gli pare appagante, non importa a che prezzo. C'è chi guarda al futuro come lo spazio entusiasmante di un inesauribile progresso, o viceversa con l'angoscia, per sé, per i propri figli e nipoti, di vedervi i mali presenti ingigantiti sino a soffocare quanti li dovranno affrontare.
Tra i tanti benefici, l'Eucaristia porta chi vi si affida a un corretto rapporto col tempo. Il passato vi è richiamato in quanto di meglio vi si è compiuto: Dio ha tanto amato gli uomini, da mandare il suo Figlio a riscattarli dalla loro misera condizione. Ma non è un passato da rimpiangere come ormai concluso: esso infatti si riversa nel presente; quell'amore è attuale, vivo e operante oggi. Non solo: l'amore di Dio è la più solida garanzia per il futuro, cui si può tendere non solo senza paura, ma anzi con speranza.
Passato, presente e futuro in rapporto all'Eucaristia sono richiamati anche in un'antifona della festa di oggi, composta da quel genio che fu San Tommaso d'Aquino. Con l'acume del teologo e con straordinaria forza di sintesi, egli ha condensato il dono divino in questi termini: "Mistero della Cena! Ci nutriamo di Cristo, si fa memoria della sua passione, l'anima è ricolma di grazia, ci è donato il pegno della gloria", cioè della vita futura con lui.
C'è di meglio?
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