Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi OSM"VENDE TUTTI I SUOI AVERI E COMPRA QUEL CAMPO"

XVII TEMPO ORDINARIO – 27 luglio 2014
Mt 13,44-52
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel
campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e
compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle
preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.

Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di
pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci
buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e
separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e
stridore di denti.
Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni
scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo
tesoro cose nuove e cose antiche».
Gesù non parla mai di sacrifici per il regno, bensì di gioia. La parola “sacrifici” nel vangelo di Matteo
appare solo due volte ed è per negarli. Gesù, rifacendosi all’espressione del profeta Osea, ribadisce che
il Signore non chiede sacrifici rivolti a lui, ma misericordia, cioè lo stesso atteggiamento d’amore rivolto
verso gli uomini.
Se Gesù mai parla e richiede dei sacrifici per il regno, invece continuamente parla di gioia. Il termine
“gioia” nel vangelo di Matteo appare sei volte. E qui lo ritroviamo alla fine delle sette parabole che
riguardano il regno, al capitolo 13 di Matteo, versetti 44-52.
Scrive l’evangelista: “«Il regno dei cieli»”, ricordo che regno dei cieli è un’espressione tipica di Matteo
che significa il regno di Dio, quindi non un regno nell’aldilà, ma il regno di qua, un’alternativa alla società
che Gesù presenta. Ebbene Gesù presenta questa alternativa come “«Simile a un tesoro»”, il termine
tesoro apre e chiude il brano liturgico di oggi, “«nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde;
poi va, pieno di gioia»”, letteralmente “per la gioia”.
1E’ la motivazione. L’aver trovato nel messaggio di Gesù, nell’alternativa di società, la risposta al desiderio
della propria pienezza di vita. “«Vende tutti i tuoi averi e compra quel campo»”. Quindi non è frutto di
chissà quali sforzi o rinunce, ma è per la gioia. Non consiste nel lasciare qualcosa, ma nel trovare tutto. E
qui non si parla di una ricompensa esterna, ma di una pienezza interiore.
Quindi l’immagine del regno che Gesù presenta è quella di aver trovato nell’alternativa di società e nel
suo messaggio, la risposta al desiderio di pienezza di vita che ogni uomo si porta dentro. Questo è fonte
di gioia. Il rischio c’è, e l’abbiamo visto nei vangeli, ed è quello di lasciare senza trovare, allora si cerca di
recuperare quello che si è perduto.
Come quando Pietro dice: “Ecco noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, che cosa ne avremo?”
Ma chi lascia e trova questo tesoro, perché lo trova questo tesoro, ha una gioia incontenibile, una gioia
che è la caratteristica del credente. Ugualmente la seconda parabola.
“«Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose»”, il mercante è uno che se ne
intende di affari, “«trovata una perla di grande valore …»”, ne capisce l’importanza e tutto il resto perde
valore. Anche Paolo nelle sue lettere, in quella ai Filippesi scrive “Quello che per me era un guadagno
l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le
considero spazzatura”.
Quindi Gesù invita a vedere nel suo messaggio la pienezza di vita alla quale ogni uomo aspira. E quando
si trova questa pienezza di vita tutto il resto perde valore. La terza parabola è differente e parla del
risultato di questa scelta. “«Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie
ogni genere …»”, l’evangelista non scrive “di pesci”, è un’aggiunta del traduttore. Perché non scrive “di
pesci” anche se di questi si tratta? Perché si rifà alla missione dei discepoli ad essere pescatori di uomini.
Gesù li chiama a pescare gli uomini.
Pescare un pesce significa tirare fuori dal suo habitat naturale nell’acqua dove hanno la vita per dargli la
morte; pescare un uomo significa invece tirarlo fuori da ciò che può dargli la morte per dargli la vita.
“«Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e
buttano via …»”, ecco qui l’evangelista non adopera il termine “cattivi”, che può indicare un giudizio,
con un significato morale.
L’evangelista adopera il termine “marcio”. I pescatori non danno un giudizio morale sui pesci, i buoni e i
cattivi, ma si trovano quelli che sono pieni di vita, e quelli che invece sono già morti in stato di avanzata
putrefazione. E’ la stessa espressione che Gesù ha usato per l’albero, un albero marcio che non può che
produrre frutti cattivi. Quindi non è un giudizio quello di Gesù, ma una constatazione.
Tra chi ha pienezza di vita e chi è invece nella putrefazione della morte. L’accoglienza del messaggio di
Gesù conduce l’uomo ad una pienezza di vita tale che è quella definitiva; il rifiuto di questo messaggio,
vivere soltanto per sé, porta alla morte definitiva, alla putrefazione della propria esistenza.
E l’evangelista continua: “«Così sarà alla fine dei tempi. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi»”, ma
letteralmente il termine è maligni, quelli che si comportano come il loro padre, il maligno, il diavolo,
2“«dai buoni»”, letteralmente i giusti, “«e li getteranno nella fornace ardente»”. Il termine fornace
ardente l’evangelista lo prende dal libro di Daniele, capitolo 3, versetto 6, in cui rappresentava la pena
per chi non adorava la statua di Nabucodonosor.
Quella che era la pena per chi non adorava il potere diventa invece la fine per chi ha adorato il potere.
Chi orienta la propria vita per il bene degli altri, si realizza. Chi ha pensato soltanto a sé, chi ha pensato al
proprio potere in realtà si distrugge.
Vediamo il finale. Scrive l’evangelista: “«Dove sarà pianto e stridore di denti»”. E’ un’immagine biblica
che indica la constatazione del fallimento della propria esistenza. Gesù già dirà “a che serve guadagnare
il mondo intero e poi smarrire se stessi”!
E Gesù chiede ai suoi discepoli: “«Avete compreso tutte queste cose?» Gli risposero: «Sì». Ecco la
conclusione nella quale l’evangelista probabilmente mette la sua firma. “Ed egli disse loro: «Per questo
ogni scriba»”, lo scriba è il grande teologo, colui che quando parlava era Dio stesso che parlava, era colui
che aveva la più grande importanza, il più grande prestigio nel mondo di Israele.
“«Per questo ogni scriba, divenuto discepolo»”. Gesù è abbastanza ironico. Lo scriba, colui che insegna,
di fronte alla novità portata da Gesù, deve tornare scolaro, deve farsi discepolo. “«Discepolo del regno
dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro»” – ecco il brano è iniziato col tesoro e
termina col tesoro – “«cose nuove e cose antiche»”.
E’ importante questa dinamica, prima le cose nuove. Il messaggio di Gesù ha la precedenza su quello di
Mosè. E quello di Mosè si accoglie soltanto nella misura in cui è conforme al suo insegnamento.

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