don Alberto Brignoli " Bene o male...alla fine si vedrà!

XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (20/07/2014)
Vangelo: Mt 13,24-43
Il male presente nel mondo è tanto, troppo...non se ne può più! Sfogli le pagine dei giornali, consulti il web, accendi la televisione, e - se non la prima - certamente la seconda, poi la terza, poi la quarta, sono notizie di cronaca nera, o comunque di disagi, di situazioni a rischio, di preoccupazioni, di tensioni che generano violenza. È vero, il male fa notizia e audience, attira e fa pure cassa perché incrementa le vendite; mentre del bene, in genere, non importa nulla a nessuno. Forse perché poco
intrigante, forse perché il male attira in maniera anche accattivante, addirittura piacevole, a volte, per poi colpire e distruggere chi, ingenuamente, vi si avvicina. Abbiamo quasi il "gusto" di avere notizie di cronaca nera, per poterci dire l'un l'altro: "Hai visto cos'è successo? Hai sentito di quel tipo là? Hai saputo di quella storia là?".
Ma poi, paradossalmente, succede che ciò di cui abbiamo "fame e sete di aver notizia" ci diventa improvvisamente estraneo, perché se capita a noi fa paura, non vogliamo saperne del male, non ci va di soffrire, non ci teniamo proprio a patire, anzi: più il male sta lontano da noi, tanto meglio è! E allora, questa distanza dal male, la teorizziamo pure: il male riguarda sempre le persone cattive, quelle che se la vanno a cercare, quelle che vivono in paesi lontani dai nostri dove non esiste il diritto, quelli che han commesso qualcosa e allora il male gli si ritorce contro, perché noi...noi no, noi non siamo tra quelli! A noi non capitano certe cose! Come se il male capitasse sempre e solo ai cattivi, a chi commette colpe che poi gli si ritorcono contro...
Come se andare spensierati in vacanza da Amsterdam in Malesia fosse una colpa; come se la corsa di quattro bambini sulla spiaggia di Gaza fosse un delitto! Il male c'è, eccome se c'è, e ci colpisce tutti, innocenti o colpevoli che siamo: ma noi...noi no, noi ci ostiniamo a dire che il male deve starsene ben lontano da noi, e soprattutto (giustamente) dai più piccoli, dai nostri figli. Male, malattia, sofferenza, dolore e morte sono cose che non devono minimamente sfiorare la vita dei piccoli: per cui, vanno assolutamente allontanati da tutte le situazioni che parlino loro di questo. E soprattutto, bisogna insegnare loro sin da piccoli che il male non esiste, e se esiste - come abbiamo detto - riguarda solo alcune particolari categorie di persone: i rom soffrono perché sono ladri; i neri sono discriminati perché sono loro, per primi, i violenti; i senzatetto sono così perché l'han voluto loro; i drogati sono sempre stati ragazzi un po' strani di famiglie problematiche...
Poi però c'è anche il dolore innocente del bimbo malato, del disabile, dell'anziano solo, del malato terminale...: "Sì, ma sai: quelli sono proprio stati sfortunati. A te, figliolo, questo non capiterà mai. Non ci pensare, e non ti impressionare". E così continuiamo, magari pure in buona fede, a creare una società di persone asettiche, insensibili, indifferenti al dolore altrui, perché "la cosa non mi riguarda".
Invece no, non è così: il male ci riguarda tutti, ed eliminarlo dalla nostra vista, estirparlo come erba cattiva dal giardino di casa nostra, vuol dire, in fondo, far del male a noi stessi e alla società in cui viviamo. Il male è senza dubbio da combattere: ma non con una lotta all'ultimo sangue che genera altro male, né cercando di nasconderlo dalla nostra vista, tantomeno di ritenerlo una cosa solo "degli altri". Il male, piuttosto, si vince a forza di bene, anche se questa cosa non si capisce se non "alla fine".
Perché chiedere a Dio di lasciarci raccogliere la zizzania per eliminarla dalla nostra vista, può essere anche facile, comodo ed immediato: ma non serve, ed è dannoso. Occorre pazienza, questa cosa si farà "alla fine". Spesso, siamo come i servitori della parabola, che vorrebbero eliminare il male subito, alla radice, in maniera integrale e diretta, minandolo alle fondamenta: e così diventiamo radicali, integralisti e fondamentalisti, uomini e donne privi di pazienza che cercano e vogliono le soluzioni immediate, pur di eliminare il male dalla faccia della terra. Perché il male ci da fastidio, perché il dolore ci disturba, perché la sofferenza ci disgusta, perché la morte ci fa paura: e tutto questo, per un motivo molto semplice, perché dolore, male, sofferenza e morte fanno parte della nostra vita, ve ne siamo immersi completamente e in prima persona, e doverlo ammettere guardandoci allo specchio ci costa.
Ma occorre pazienza, ed attendere "fino alla fine". Che non è necessariamente la fine del mondo e del tempo: anche la fine di una giornata, di un'attività, di un cammino intrapreso sono occasioni per fare un bilancio e dividere la zizzania dal grano buono. Nel frattempo, entrambi sono da lasciar crescere insieme, perché si guardino in faccia e abbiano il coraggio di chiamarsi ognuno con il proprio nome.
C'è un'altra cosa, piuttosto, da fare immediatamente e senza perdere tempo: far crescere il bene dentro di noi e intorno a noi. Non avere paura a chiamare il male con il proprio nome, ma con altrettanta forza, dire "bene al bene". E il bene, non fa notizia; il bene, non fa rumore; il bene, non fa parlare di sé. Il bene è qualcosa di piccolo e insignificante, rispetto alla caotica e roboante presenza del male. Il bene è come un granello di senapa che diventa un albero grande; è come una misura di lievito, polvere invisibile che fa fermentare la massa per produrre il buon pane; è come il buon seme seminato nel suo campo da un uomo che lo lascia crescere tranquillamente insieme alla zizzania, sapendo che non si perderà proprio perché è buono, sapendo che giungerà a maturazione al momento opportuno.
Il male c'è, e chi lo nega? Eliminarlo? Alla fine, sì, senz'altro: ma non è questo il momento. Ora è il momento di far crescere il bene, anche se non fa notizia. Perché così ce lo chiede il Regno, perché così vuole Dio: perché non c'è Dio, al di fuori di lui, "che abbia cura di tutte le cose".

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